lunedì 3 aprile 2017

LA CANZONE DELL’EREMITA

Tolse le scarpe e scordò il suo nome. Con il nome lasciava anche un passato di anni di vita costruiti tra falsi miti e immagini prestate. Prese la strada meno battuta della collina animata dal vento e avanzò carezzando i fili d’erba con i nudi piedi. Giunse stanco alle pendici di un monte ripido, dove scelse di fermarsi per la notte, e per i giorni, e per gli anni. Visse in quell’anfratto per anni, senza sentire il bisogno di ricongiungersi con la civiltà, senza provare nostalgia per il tempo smarrito a ricercare la solitudine.


Un giorno smise di parlare, sentiva di essere ormai parte di quel luogo e non trovava un motivo per non dimenticare anche il suo linguaggio umano. Passavano le stagioni, ma non riusciva a scordare una canzone. Un motivetto allegro che aveva imparato da bambino. Talvolta cercava di seminarlo durante una battuta di caccia, una sessione di raccolta. Scattava improvvisamente col pensiero e la sua ombra con lui. Ma alla fine della corsa sentiva ancora avvicinarsi dalla valle l’eco di quella musica, che tornava a stare nel luogo a cui apparteneva. Un giorno ci riuscì e la scordò. Era impegnato ad esplorare l’altro versante del monte e, calato il sole, crollo su un tappeto di foglie e rugiada fresca. Quando si svegliò sentì la natura, sentì il suo respiro e quello della brezza silenziosa, ma nessuna traccia di una canzone. E poté finalmente fondersi con la terra morbida.

Gli anni sfiorirono e con loro le forze della vita. Una lunga ruga segnava la fronte serena dell’uomo attempato, intento ad inspirare le ultime boccate. Una lunga barba segnava il tempo che l’uomo aveva trascorso fuori dal mondo, dentro la vita. Una lunga e fredda notte coincise con il suo silenzioso congedo. Stanco si copriva di pelli scuoiate e foglie secche, cercando di limitare il pungente vento senza sentenza. Brividi lo tenevano semicosciente, al valico della vita, quando sentì nella notte dei passi gentili. Cercò di aprire gli occhi, me le assenti forze glielo impedirono. Sentì una presenza candida avvicinarsi al suo riposo, tentò di voltarsi, ma fallì. Percepì un calore amorevole colorargli la guancia, imbrattata di un rosa perduto, e una bocca sinuosa avvicinarsi all’orecchio. Udì docili le note del motivetto allegro che aveva imparato da bambino e che non era mai riuscito a cancellare dall’orecchio del cuore. I muscoli del viso si tirarono un’ultima volta in un sereno sorriso. Non era mai stato solo.

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