domenica 16 aprile 2017

PIUMA, O L’INASPETTATA LEGGEREZZA DELL’ESSERE

Ha ancora senso parlare di natalità in Italia? I dati raccolti dall’Istat nel primo trimestre di quest’anno parlano di un minimo storico. Il bilancio tra nascite e decessi in Italia è negativo dal 1990 e una recessione popolosa è stata scongiurata in questo lasso di tempo solo grazie ai flussi migratori. La realtà dei fatti è che la nuova crisi delle certezze, a braccetto con quella economica, ha minato le basi della fertilità, rendendo complicato per la mia generazione perfino immaginare un futuro da genitore. In questo contesto si è inserito silenziosamente “Piuma”, piccola produzione di Roan Johnson, presentata all’ultima mostra del cinema di Venezia. La pellicola non ha colpito particolarmente la giuria e non ha di certo sbancato il botteghino - nonostante il supporto di Sky Cinema -, ma ha generato diverse discussioni per il soggetto più che per lo sviluppo della sceneggiatura o per l’aspetto tecnico. I critici si sono straniti nel vedere sullo schermo una storia di vita così lontana dalla realtà, una disavventura normale che narra dei nove mesi di gestazione di una nascita inaspettata.


Ferro e Cate sono due adolescenti all’ultimo anno di liceo che, un mese prima dell’esame orale, scoprono l’inaspettata gravidanza della ragazza. Il film quindi narra delle vicissitudini dei due protagonisti, intenti a resistere ad un mondo che non ha più la forza di sorreggere la vita nuova. A dispetto di uno sviluppo poco originale e di una messa in scena assolutamente rivedibile, resta il coraggio di produrre un’opera sull’assenza della necessità. Non è scontato che per parlare di una problematica sociale si debba mettere in scena la presenza di essa, ma il contrasto e l’esagerazione del contrario possono, se incanalati nella giusta direzione, produrre un risultato ancora più dirompente. Non è forse questo l’esempio più riuscito in assoluto della volontà della rappresentazione dell’opposto, ma gli intenti andrebbero apprezzati.


Ferro e Cate decideranno di tenere la bambina e di chiamarla Piuma, per la leggerezza con cui dovrà sorvolare sulla città e il frastuono, che investono ogni giorno di più la vita. La nascita, nel suo carattere epifanico, è anche la rinascita: la chiave di lettura dell’uscita da una crisi dei costumi può e deve essere nel futuro oggi incupito di una generazione al bivio della detonazione e della depressione perenne, bistrattata per una mancanza non sua. Lo sconforto di una società in crisi di nascite si rispecchia nell’incapacità di rendere possibile uno sguardo futuro alla realizzazione umana, che passa anche dalla creazione di un nucleo familiare. E, se siamo animali sociali, la creazione di un nucleo familiare rientra di diritto nelle nostre naturali aspirazioni, mozzate, interrotte, bruciate ancor prima di essere piantate.


Una “Piuma” a diciott’anni è una responsabilità enorme, e in questa semplificazione sta la costruzione creativa del film, ciò che invece appare reale è il contesto che risponde all’impossibile della creazione. Genitori senza prospettiva, abitazioni diroccate e presunti specialisti. I centri scommesse. Tutto ciò che riguarda Ferro e Cate è reale e pesa proprio sulla decisione dei ragazzi di tenere la bambina. Tutto ciò che affossa i sogni di gloria e rilancio è quello che c’è, e che c’era anche prima; la rivincita sta nella possibilità di sbagliare seguendo le nostre visioni.

Se i giovani d’oggi valgono poco, gli anziani cosa ci hanno lasciato?
I pregiudizi delle persone per bene e le autostrade
I partiti, che sono scatole vuote
E una bella costituzione
La Salerno - Reggio Calabria, gli Esselunga

E miss Italia.


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