sabato 12 novembre 2016

TRUMP E LA VITTORIA DEI TROPPO FURBI

Abbiamo vissuto di peggio, non c’è bisogno che io elenchi eventi di portata maggiore. Ma l’elezione di Trump alla Casa Bianca ha fatto molto rumore, e ancora i cocci della democrazia intelligente sono sparsi sul viale che camminiamo tutti assieme. Se questa è la democrazia l’avevamo sovrastimata, ingigantita per qualche tempo, ma è sempre stata questa.


Sono sinceramente lontano da Trump. Ogni volta che indica il Sole ci vedo la luna. Mi rispecchio nella sua nemesi, quella che abbiamo perso con la fine delle ideologie. Ciò che mi colpisce nel profondo, mi disgusta e mi porta ad una considerazione della quale facciamo parte anche noi Europei è legato alla vittoria di un modello popolare sulle idee che avevamo quando costruivamo il mondo che abitiamo oggi. Portiamo avanti da sempre una regola. Esiste un metro per misurare i passi, uno per valutare le reazioni, uno ancora per comprendere le intenzioni. Abbiamo applicato una norma a ciò che ci circonda perché tutti abbiano un approccio simile alla situazione e su di esso si possa costruire un dialogo collettivo. Da sempre seguiamo una regola scritta o legge, nata dal lavoro degli stessi sottoposti alla punizione prevista dalla carta. Non arriva dall’esterno, siamo noi ad aver generato i limiti umani ai quali crediamo, ma non possiamo fare a meno di questa struttura sociale che ci guida nel mondo. Siamo condizionati nell’inconscio da ciò che sappiamo essere male e ciò che invece dovremmo perseguire come bene, nostro e di chi ci circonda. Eppure viviamo di strappi alla regola: abbiamo un bisogno tangibile di infrangere le norme che ci costringono per poterci esprimere, altrimenti ci sentiamo oppressi. Operiamo questa necessità in due modi: sbandierando ai quattro venti le nostre malefatte, quando non sentiamo plausibile la sanzione, oppure agendo nell’ombra, ma un’ombra però visibile a chi vogliamo che noti la nostra infrazione. Il superamento del limite alla giuda appartiene al primo caso. L’automobile è un ottimo esempio di mezzo d’infrazione perché possiede le caratteristiche strutturali per rendere la soglia dell’illegalità facilmente raggiungibile e quasi desiderabile. Talvolta ci fingiamo di fretta proprio per poter superare di qualche inezia il limite che un cartello ci impone, e questa pratica è così socialmente accettata che ragioniamo in massa escludendo colui che scioccamente ancora segue le indicazioni del regolamento, quasi che la norma fosse invece il contrario. Ma continuiamo a temere gli autovelox e i posti di blocco, perché in fondo sentiamo ancora di essere costretti dalla normativa che tanto amiamo infrangere.
L’evasione fiscale invece appartiene al secondo caso, ossia a quelle delle azioni illegali che vengono compiute nell’ombra della fama negativa. Eludere la tassazione è meno socialmente accettato, ma, in questi ultimi tempi, ha generato una reazione contraddittoria nella società, quasi a voler glorificare i paladini dell’illegalità per la loro capacità spiccatamente sovversiva. In ogni caso, sia nel primo che nel secondo, abbiamo associato a questi individui una specifica categoria sociale, quella dei “furbetti”. Sono furbetti quelli che superano i limiti e rallentano prima dell’autovelox, quelli che evadono le tasse nonostante il loro reddito superi di gran lunga la media nazionale, quelli che saltano le file con un escamotage imbarazzante, quelli che viaggiano sulla corsia d’emergenza, quelli che arrivano ad occupare determinate posizioni in un’azienda grazie alla loro compravendita di favori. Tutti eventi con un diverso grado di tolleranza in società, ma che si trascinano dietro una scia d’ammirazione popolare. Ciò che però abbiamo sempre preteso è il rispetto di queste norme da parte delle figure di potere, da parte di coloro che nella nostra mente potrebbero avere la legge dalla parte del manico, essendo loro stessi la legge. Pretendevamo in passato che i politici fossero l’esempio della trasparenza, poi abbiamo smesso di farlo, concedendo loro altre occasioni, abbassando le richieste e di conseguenza anche il valore dell’istituzione politica. Il cittadino non cambia quando entra a far parte del sistema politico, ma si genera un’aura che lo circonda. È il potere, che dà, ma richiede un impegno ed una dedizione sovraumani. Quest’aura sta svanendo.

Durante la campagna elettorale americana ha fatto molto discutere un’inchiesta economica legata alla figura di Trump secondo la quale l’imprenditore statunitense non avrebbe (legalmente) pagato le tasse per diciotto anni, sottraendo allo stato una cifra vicina ai 900 milioni di dollari. Trump ha ammesso questo basso escamotage e ciò non ha fatto altro che fortificare la sua posizione sociale, sopraelevandolo a rappresentate dei furbetti americani. È riuscito a mescolare le due categorie di cui sopra, sbandierando pubblicamente un comportamento negativo, al limite della legalità e decisamente contro produttivo rispetto alle sue proposte economiche. Ha trasformato definitivamente l’infrazione oscura in meritocratica infrazione pubblica. La reazione della popolazione americana a questo comportamento ha dimostrato definitivamente la direzione della società verso un rifiuto delle norme civili in un periodo di forte regressione sociale e culturale. La vittoria di Trump segna definitivamente il trionfo dei furbetti dall’asso nella manica, di coloro che non si preoccupano di sporcarsi le mani per perseguire un bene, che quasi sempre è un bene personale. La politica non ha più bisogno della legalità, di un linguaggio diverso, di una postura ordinata. Abbiamo perso tutti.

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