martedì 21 giugno 2016

DOV’È MARIO? - COMMENTO FINALE

Il quarto ed ultimo atto della miniserie di Corrado Guzzanti è un momento di televisione totale. La critica super partes si estende ad ogni angolo della nostra malata società e il cerchio si chiude. Ogni personaggio sopra le righe ha vissuto un percorso di sostanzializzazione e realizzazione che l’ha portato, in questo finale aperto ma definitivo, a collocarsi con precisione nello scacchiere della società contemporanea, senza stonare e senza strafare. Ma, ad aver subito la trasformazione più definita è stato indubbiamente il personaggio di Mario Bambea, alias Bizio Capoccetti. In quest’ultimo episodio, infatti, attraverso le sequenze oniriche dell’incidente-suicidio, gli argini della divisione mentale si rompono e lasciano il posto ad un individuo reale, frastagliato e non coincidente con le situazioni in cui i suoi due poli l’hanno incastrato. Il Bizio tormentato, che Guzzanti ha portato in scena nel finale, risente delle influenze della sua parte tollerante e intellettuale. Dietro questo doppio personaggio, protagonista anche di un divertente siparietto di metatelevisione legato a Dr. Jack e Mr. Aids, si cela la metafora di un soggetto che siamo noi, combattuti, dibattuti, costantemente tra due fuochi opposti, costantemente obbligati a dover prendere una posizione, che sia intellettuale o filistea, che sia un estremo o l’altro, ma pur sempre un estremo. Ci troviamo invischiati in una società che non tollera la via mediana ed esalta ogni evento, oggetto, soggetto. Etichetta e non lascia lo spaio di un cambiamento. Un po’ la storia di ognuno di noi con la musica: il secondo album di un gruppo sarà sicuramente troppo uguale al precedente o troppo diverso; perché non possediamo più una mente rilassata nei tempi e nei movimenti in grado di mantenersi flessibile ai cambiamenti altrui, ma il nostro ego, le nostre credenze e la necessità di trovare un posto a tutto ciò che ci circonda ci porta all’assolutizzazione della realtà. Rigorosamente in chiave produttivistica e capitalistica. Sempre badando al fine del percorso, sempre pensando materialmente al guadagno. E crediamo che un premio orrendo di una squallida competizione tra comici di bassa lega sia la svolta, in un mondo che fonda sulla predominanza di uno il benessere degli altri, la leggerezza del non essere protagonisti. Questa scissione ingombrante e incompatibile con la società contemporanea non può fare altro che portare Mario Capoccetti al (tentato) suicidio. Bizio Bambea è tutti coloro che non coincidono, che non si riducono, che non si abbassano e che forse in fondo non c’entrano nulla con questa piccola Italia. L’Italia degli chef in TV, dei salotti politici, di twitter, del Ciaone, delle bombe, dei referendum, delle cose importanti, della famiglia, del posto fisso, del razzismo, dei talenti ai talent, della violenza, della paura, dei muri. Che era l’Italia del valzer e l’Italia del caffè.


E in tutto questo si continua a ridere senza freni: Guzzanti continua a mantenere alta il livello di comicità, stavolta forse più riuscito nei momenti in cui le circostanze dovevano assumere una parvenza di serietà (Bambea) piuttosto che nelle sequenze incentrate sull’eccessività del comico di bassa lega. Il ritorno all’ordine dell’intellettuale di sinistra coincide con i momento in cui Guzzanti tira le fila del discorso. Irresistibile la scena in cui Veltroni, ospite della Gruber insieme a Bambea, dimostra di non aver capito nulla dell’intera faccenda e di continuare ad interpretare il mondo per interpreti che rispondano alle esigenze della società, forte del fatto che si è in quanto si appare in questo mondo di duellanti amichevoli. Un mondo a cui però manca il dialogo necessario a sviluppare un reale dibattito. Cosa che infatti viene a mancare anche nel momento in cui Guzzanti sceglie di non scegliere la verità, e di diventare lo scrittore che il mondo vuole. Alla ricerca di sé per gli altri.
Ma la facciata di questa profonda critica complessiva rimane quella di una serie all’apparenza semplice, costruita per episodi che fanno il verso ad eventi con cui ci troviamo a fare i conti giornalmente. Ed è forse in questo aspetto che emerge la capacità innata di Guzzanti, palesemente presente anche in “Dov’è Mario?”, di rendere potenzialmente esilarante e allo stesso tempo tristemente satirica ogni scena di vita vissuta. Ogni frangente è buono per irridere i nuovi modelli di famiglia, lo show business, il festival di Nepi che cambia le persone, i manicomi, l’editto Bulgaro, Charlie Hebdo. Nulla è lasciato al caso e, nel bene e nel male, il nonpiùgiovane Corrado ha dimostrato ancora una volta la differenza che intercorre tra lui e quelli che chiamano “comici” sulle reti nazionali. Un abisso che passa sia dalle abilità tecniche che dall’interpretazione del ruolo del comico satirico.
Considerando in toto “Dov’è Mario?”, la miniserie in quattro episodi di Sky si conferma come un prodotto differente, per persone che vorrebbero essere abituate ad una comicità differente, ma che purtroppo non lo sono. Si potrebbe discutere della trama, dello sviluppo, delle interpretazioni. Ma sarebbero parole vane, perché il livello di giudizio di un’opera concettualmente così superiore alla normale scrittura delle serie TV comedy richiede un salto qualitativo. E allora un Guzzanti rimane un Guzzanti, anche se non ha le unghie. Anche se il mio falegname con trenta mila lire lo faceva meglio.

Corrado Guzzanti, sei un nummero uno!

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