Guillermo del Toro è un autore famoso per il gusto
particolare che ha costruito in anni di produzioni ambiziose. La forma dell’acqua
- opera ultima del regista -, fresca delle tredici candidature agli Oscar, si
propone come la summa di un certo ideale visivo e narrativo che da sempre
accompagna le produzioni del cineasta messicano.
Il processo creativo di del Toro si è sempre focalizzato sulla
creazione di uno stile composito estremamente cinematografico che
desse sostanza e sostegno a trame lineari. La forma dell’acqua rappresenta,
insieme a Il labirinto del fauno, la miglior espressione del connubio tra forma
e contenuto, tra la ricerca di fondamenta artistiche e lo svolgimento della
narrazione. Il film è, sì, la storia d’amore improbabile tra uno donna resa
muta in età infantile da un atto barbaro e un anfibio umanoide catturato dai
servizi segreti, ma a fare il film è tutto ciò che ruota attorno ai due
protagonisti, dalle ambientazioni ai colori, dalle musiche alle atmosfere da
Guerra Fredda. Ogni elemento, ogni scelta nel film concorre a ricreare un mondo
originale e fantastico; ogni aspetto cinematografico è funzione di una visione
d’insieme.
Nonostante queste premesse possano sembrare assunti di qualità
assoluta, per apprezzare il film è però necessario entrare in empatia con il
mood della pellicola e accettare alcune peculiarità lontane dalla moderna
concezione di dramma romantico. Bisogna aprirsi incondizionatamente a quel
qualcosa di molto più giocoso e bambinesco che anima il senso di meraviglia di
cui l’opera è permeata. Un senso che tende più verso i classici del
rinascimento Disney che verso film volutamente complessi nel loro sviluppo, rivolti
evidentemente ad un pubblico adulto. Ne La forma dell’acqua sono presenti
alcuni elementi che richiamano direttamente il mondo fiabesco di casa Disney,
proprio a partire dai due protagonisti: la principessa senza voce (“La
Sirenetta”) e il mostro scontroso e bistrattato dalla comunità (“La bella e la
bestia”). Il loro rapporto ripercorre linee già tracciate dalla cinematografia
statunitense e anche lo sviluppo delle apparenze riguardanti la creatura che
vengono ribaltate nel corso della pellicola non fanno eccezione. I personaggi secondari seguono una struttura familiare ai bambini di un tempo:
Giles, vicino di casa e amico della protagonista, è lo stereotipo della
classica spalla comica che porta una ventata di spensieratezza per spezzare i
momenti più tesi. E proprio come i migliori personaggi secondari di casa
Disney, anche Giles non sembra avere una conclusione all’altezza, ma vive in funzione del percorso di Elisa. In generale
tutti i personaggi presentati nel corso della narrazione tendono ad essere
stereotipati secondo una morale assoluta, per cui i buoni sono fin troppo
candidi e innocenti, mentre i cattivi tendono ad essere spregevoli e violenti,
senza mezze misure. Le musiche poi hanno proprio l’obiettivo che dare alla
pellicola quel tocco di spensieratezza infantile, a dispetto di alcuni momenti
topici. Il main theme era così vicino alle scelte musicali della Pixar che sono
uscito dalla sala canticchiando la colonna sonora di Up.
Ma questo gusto fiabesco classico che rivive nelle scelte
del regista passa anche dalla violenza, dalle scene di nudo, dalla tensione
palpabile e da una toccante e sublime scena in bianco e nero che spezza il
ritmo della pellicola per mostrare, senza dire, il senso di un amore
impossibile.
La forma dell’acqua è un film raffinato e grottesco allo
stesso tempo; è in grado di dare alla luce una nuova creatura mischiando a
dovere la storia di diversi generi cinematografici. Ipnotico, ironico, intenso.
Per apprezzarlo appieno dovrete però essere disposti ad accoglierlo con la
mente di cui disponete ora e il cuore di quando, da bambini, avete conosciuto il
mondo fuori attraverso i film Disney.