Nelle sue produzioni, Martin Mcdonagh ha sempre
approfondito il tema della violenza nel tessuto sociale attraverso una macabra
ironia, molto vicina a quella coeniana. Dopo un interessante esordio e una
conferma ad alti livelli, con Tre manifesti
ad Ebbing, Missouri arriva la consacrazione mondiale di uno stile fresco e
intelligente. I tre film finora diretti da Mcdonagh sono diversi tra loro per
la capacità di intrattenere un rapporto verosimile con la realtà, e proprio su
questa linea possiamo notare la definitiva maturazione del pensiero
cinematografico dell’autore.
La violenza di Tre
manifesti ad Ebbing, Missouri è reale, tangibile, calata perfettamente
nella quotidianità dell’America contemporanea. Non si tratta più di sette
psicopatici o di due criminali sui generis, ma di una donna matura e disillusa
la cui figlia è stata prima stuprata, poi brutalmente uccisa e infine arsa. Il film
non si risparmia alcun tipo di immagine, e la realtà della finzione non viene
mai edulcorata né filtrata. Attraverso il dramma interiore della protagonista,
l’autore mostra uno spaccato dell’animosità americana. La stessa premessa è
radicata in una comunità scossa dall’azione brutale e razzista della polizia
locale. Vendetta, dissenso e odio sono all’ordine del giorno.
Raped while dying
And still no arrests?
How come, chief Willoughby?
La campagna
mediatica di Mildred si scaglia quindi contro la polizia, contro le istituzioni
incapaci di garantire anche una parvenza di giustizia.
L’altro pilastro su cui si regge Tre manifesti ad Ebbing, Missouri è l’ironia: tutto il quadro
realistico precedentemente descritto è presentato attraverso un sottile velo di
profonda e soprattutto contestualizzata ironia, legata alla
caratterizzazione dei personaggi. Questa particolare scrittura, che arriva a compimento di un’evoluzione ben precisa dell’autore, ha la doppia funzione di
alleggerire il peso concettuale di alcuni eventi e contemporaneamente di
esaltarne per contrasto la drammaticità. Il modo in cui il regista ha scelto di
trattare il tema della violenza, unito al gusto dell’opera, rappresenta la
peculiarità più significativa della produzione. In molti, nel corso degli anni,
hanno tentato di accendere il dramma con l’ilarità e viceversa, Martin Mcdonagh
ci è riuscito appieno. Raramente Hollywood aveva visto un dramma agrodolce con
momenti d’ilarità così irresistibili a cui corrispondono picchi di tragicità
talmente bui. Tre manifesti ad Ebbing,
Missouri lascia senza fiato in ogni situazione, per l’uno o l’altro
aspetto. Sorprende, gioca con lo spettatore e non perde mai la bussola morale.
Il finale appeso arriva a conclusione di un’epopea di
emozioni, una valanga che lentamente termina la sua corsa nella silenziosa
vallata. La violenza iniziale è ormai esplosa in scatti d’ira che hanno
drasticamente modificato la situazione di partenza. Nel corso dell’opera la
rabbia si è costantemente consumata, convertendosi in dolore da interiorizzare
e portare con sé. Ferite del corpo e dell’anima. E dopo la manifestazione della violenza
più assurda, incontrollabile e per questo spaventosa, resta un dolore comune
che riavvicina e riunifica.
Distrutta l’America dell’odio di Trump c’è ancora lo
spazio e il modo per costruire una nuova società. Insieme.
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