giovedì 1 febbraio 2018

TRE MANIFETSI A EBBING, MISSURI

Nelle sue produzioni, Martin Mcdonagh ha sempre approfondito il tema della violenza nel tessuto sociale attraverso una macabra ironia, molto vicina a quella coeniana. Dopo un interessante esordio e una conferma ad alti livelli, con Tre manifesti ad Ebbing, Missouri arriva la consacrazione mondiale di uno stile fresco e intelligente. I tre film finora diretti da Mcdonagh sono diversi tra loro per la capacità di intrattenere un rapporto verosimile con la realtà, e proprio su questa linea possiamo notare la definitiva maturazione del pensiero cinematografico dell’autore.


La violenza di Tre manifesti ad Ebbing, Missouri è reale, tangibile, calata perfettamente nella quotidianità dell’America contemporanea. Non si tratta più di sette psicopatici o di due criminali sui generis, ma di una donna matura e disillusa la cui figlia è stata prima stuprata, poi brutalmente uccisa e infine arsa. Il film non si risparmia alcun tipo di immagine, e la realtà della finzione non viene mai edulcorata né filtrata. Attraverso il dramma interiore della protagonista, l’autore mostra uno spaccato dell’animosità americana. La stessa premessa è radicata in una comunità scossa dall’azione brutale e razzista della polizia locale. Vendetta, dissenso e odio sono all’ordine del giorno. 

Raped while dying

And still no arrests?

How come, chief Willoughby?

La campagna mediatica di Mildred si scaglia quindi contro la polizia, contro le istituzioni incapaci di garantire anche una parvenza di giustizia.


L’altro pilastro su cui si regge Tre manifesti ad Ebbing, Missouri è l’ironia: tutto il quadro realistico precedentemente descritto è presentato attraverso un sottile velo di profonda e soprattutto contestualizzata ironia, legata alla caratterizzazione dei personaggi. Questa particolare scrittura, che arriva a compimento di un’evoluzione ben precisa dell’autore, ha la doppia funzione di alleggerire il peso concettuale di alcuni eventi e contemporaneamente di esaltarne per contrasto la drammaticità. Il modo in cui il regista ha scelto di trattare il tema della violenza, unito al gusto dell’opera, rappresenta la peculiarità più significativa della produzione. In molti, nel corso degli anni, hanno tentato di accendere il dramma con l’ilarità e viceversa, Martin Mcdonagh ci è riuscito appieno. Raramente Hollywood aveva visto un dramma agrodolce con momenti d’ilarità così irresistibili a cui corrispondono picchi di tragicità talmente bui. Tre manifesti ad Ebbing, Missouri lascia senza fiato in ogni situazione, per l’uno o l’altro aspetto. Sorprende, gioca con lo spettatore e non perde mai la bussola morale.


Il finale appeso arriva a conclusione di un’epopea di emozioni, una valanga che lentamente termina la sua corsa nella silenziosa vallata. La violenza iniziale è ormai esplosa in scatti d’ira che hanno drasticamente modificato la situazione di partenza. Nel corso dell’opera la rabbia si è costantemente consumata, convertendosi in dolore da interiorizzare e portare con sé. Ferite del corpo e dell’anima. E dopo la manifestazione della violenza più assurda, incontrollabile e per questo spaventosa, resta un dolore comune che riavvicina e riunifica.

Distrutta l’America dell’odio di Trump c’è ancora lo spazio e il modo per costruire una nuova società. Insieme.

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