mercoledì 21 febbraio 2018

LA FORMA DELL’ACQUA - SOLO UN CLASSICO DISNEY?

Guillermo del Toro è un autore famoso per il gusto particolare che ha costruito in anni di produzioni ambiziose. La forma dell’acqua - opera ultima del regista -, fresca delle tredici candidature agli Oscar, si propone come la summa di un certo ideale visivo e narrativo che da sempre accompagna le produzioni del cineasta messicano.


Il processo creativo di del Toro si è sempre focalizzato sulla creazione di uno stile composito estremamente cinematografico che desse sostanza e sostegno a trame lineari. La forma dell’acqua rappresenta, insieme a Il labirinto del fauno, la miglior espressione del connubio tra forma e contenuto, tra la ricerca di fondamenta artistiche e lo svolgimento della narrazione. Il film è, sì, la storia d’amore improbabile tra uno donna resa muta in età infantile da un atto barbaro e un anfibio umanoide catturato dai servizi segreti, ma a fare il film è tutto ciò che ruota attorno ai due protagonisti, dalle ambientazioni ai colori, dalle musiche alle atmosfere da Guerra Fredda. Ogni elemento, ogni scelta nel film concorre a ricreare un mondo originale e fantastico; ogni aspetto cinematografico è funzione di una visione d’insieme. 


Nonostante queste premesse possano sembrare assunti di qualità assoluta, per apprezzare il film è però necessario entrare in empatia con il mood della pellicola e accettare alcune peculiarità lontane dalla moderna concezione di dramma romantico. Bisogna aprirsi incondizionatamente a quel qualcosa di molto più giocoso e bambinesco che anima il senso di meraviglia di cui l’opera è permeata. Un senso che tende più verso i classici del rinascimento Disney che verso film volutamente complessi nel loro sviluppo, rivolti evidentemente ad un pubblico adulto. Ne La forma dell’acqua sono presenti alcuni elementi che richiamano direttamente il mondo fiabesco di casa Disney, proprio a partire dai due protagonisti: la principessa senza voce (“La Sirenetta”) e il mostro scontroso e bistrattato dalla comunità (“La bella e la bestia”). Il loro rapporto ripercorre linee già tracciate dalla cinematografia statunitense e anche lo sviluppo delle apparenze riguardanti la creatura che vengono ribaltate nel corso della pellicola non fanno eccezione. I personaggi secondari seguono una struttura familiare ai bambini di un tempo: Giles, vicino di casa e amico della protagonista, è lo stereotipo della classica spalla comica che porta una ventata di spensieratezza per spezzare i momenti più tesi. E proprio come i migliori personaggi secondari di casa Disney, anche Giles non sembra avere una conclusione all’altezza, ma vive in funzione del percorso di Elisa. In generale tutti i personaggi presentati nel corso della narrazione tendono ad essere stereotipati secondo una morale assoluta, per cui i buoni sono fin troppo candidi e innocenti, mentre i cattivi tendono ad essere spregevoli e violenti, senza mezze misure. Le musiche poi hanno proprio l’obiettivo che dare alla pellicola quel tocco di spensieratezza infantile, a dispetto di alcuni momenti topici. Il main theme era così vicino alle scelte musicali della Pixar che sono uscito dalla sala canticchiando la colonna sonora di Up.


Ma questo gusto fiabesco classico che rivive nelle scelte del regista passa anche dalla violenza, dalle scene di nudo, dalla tensione palpabile e da una toccante e sublime scena in bianco e nero che spezza il ritmo della pellicola per mostrare, senza dire, il senso di un amore impossibile.

La forma dell’acqua è un film raffinato e grottesco allo stesso tempo; è in grado di dare alla luce una nuova creatura mischiando a dovere la storia di diversi generi cinematografici. Ipnotico, ironico, intenso. Per apprezzarlo appieno dovrete però essere disposti ad accoglierlo con la mente di cui disponete ora e il cuore di quando, da bambini, avete conosciuto il mondo fuori attraverso i film Disney.

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