Era da tempo che non mi capitava di imbattermi in un film
così poco accessibile. Madre! Propone
un turbinio di eventi ritmati da un tempo irreale. La consequenzialità causale
è in realtà rispettata nei minimi dettagli e proprio questa discontinuità tra
la dimensione causale e quella temporale provoca uno smarrimento che opprime lo
stomaco dello spettatore. Il problema di un film di questo genere è anche la
sua forza maggiore: esso si sviluppa su un simbolismo forte - e talvolta
forzato - ma non è in grado di individuare una linea che possa fare da collante
per gli elementi narrativi proposti. Si resta quindi incastrati nella scomoda
posizione di unificatore dei sensi multipli del film, delle diverse letture; in
una parola, siamo chiamati ad interpretare.
L’interpretazione ha da tempo abbandonato le sale
cinematografiche. Siamo ormai abituati ad associare un lavoro soggettivo alla
carta stampata che, mancante della componente visiva, ha in sé intrinsecamente
una richiesta. Inception fu un grande argomento di dibattito al tempo, pur
lasciando all’interpretazione dello spettatore solo l’ultima scena della
trottola. Confrontarsi con un’opera che viaggia a fari spenti dall’inizio alla
fine e non rinuncia ad uno stile narrativo confusionario è un’esperienza che
travalica i canoni della cinematografia moderna. È necessario però dare un
senso alle esperienze perché passino alla memoria e siano significative in
chiave futura. Dopo alcuni giorni di riflessione ho quindi maturato una certa
visione d’insieme dell’opera. Innanzitutto è necessario prendere una situazione
di quelle fondati per farne la struttura centrale attorno alla quale costruire
il resto dell’interpretazione; e, nonostante siano evidenti i rimandi biblici,
è sulla storia dello scrittore che vorrei soffermarmi. Il rapporto tra Javier
Bardem e Jennifer Lawrence è quello tra l’arte e la vita, tra la creatività e l’ordine,
tra il dionisiaco e l’apollineo. È un dualismo che la storia dell’uomo si
trascina da sempre e che stavolta è stato connotato in maniera alquato bizzarra
e materiale. L’oggetto del contendere è la capacità di creare dello scrittore
che è stata rinchiusa con violenza dalla quiete mite di Lei. Il loro rapporto
reale, stanco e affamato di novità, è oppresso proprio dall’austerità di una
sopravvivenza senza guizzi, rappresentata dalla casa, che, come sappiamo, si
identifica con la figura della donna. È quindi la donna-vitale a togliere la
vita dalla creazione. È la figura femminile ad imporre il sopraggiungere dello
stile apollineo e l’uomo tenta di sottostare al rigore della casa, ma le figure
sui generis che invadono l’abitazione sono esse stesse proiezioni della volontà
dionisiaca, che ha bisogno di auto sabotarsi e di sgretolarsi per poter
riemergere come nuova forza creatrice. La nascita della nuova vita è infatti
conseguenza della prima ondata di invasioni barbariche che rompono il silenzio
dell’ordine. La creazione più profonda, quella della vita, tiene immacolato l’equilibrio
dei due stili e contribuisce all’apertura di una spazio di comunicabilità in
cui l’uomo è anche in grado di riprendere una continuità di scrittura, di
riprendere a generare idee. Ma quando la componente dionisiaca prende il
sopravvento sulla casa, ecco che l’uomo non riesce più a soddisfarsi della sua
produzione ed è portato per natura a divorare la sua stessa creatura,
fagocitando se stesso, per tornare all’origine.
Sotto questo punto di vista il film è una meravigliosa
allegoria che presta uno stile raffinato ad una riproposizione del mito greco
nell’interpretazione nietzschiana. Ma identificare l’opera di Aronofski con
questa visione sarebbe certamente riduttiva: molti elementi restano fuori e non
viene minimante sfiorato il sottostrato religioso che permea l’intera
pellicola. Dai protagonisti ai primi intrusi, dalla folla fino al nascituro,
tutti gli elementi di Madre! Potrebbero
essere ricollocati in un quadro biblico ricco di rimandi e citazioni. Credo però
che, nella mente del regista, la questione religiosa sia stata adottata più
come mezzo che come fine dell’opera, la quale infatti vede nella sua componente
teologica lo slancio per tendere ad un finale in sé chiuso, ma le
speculazioni possibili e immaginabili costruite sopra le associazioni cristiane
fanno del sostrato religioso un fondamento dell’opera, non una definizione
della stessa. Il film va oltre le simbologie, arrivando a toccare una profonda
critica sociale sul successo al di là dell’interpretazione filosofica data.
Il problema di Madre!
sta a metà tra la complessità e l’approccio: da una parte è necessario
comprendere gli elementi che sguazzano nel fiume in piena del delirio, dall’altra
uno spettatore medio non può prescindere da una chiave interpretativa - anche
aprioristica - che possa guidarlo nella lettura dei contenuti. In questo caso
le forme non si traducono nei contenuti che l’inconscio si prefigura e l’esperienza
si trasfigura in una perdibile manifestazione di stile, anche alquanto
supponente. Invece è appagante scoprire di essere l’autore del proprio film, un’opera
personale e universale. Unica.
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