venerdì 6 ottobre 2017

COME INTERPRETARE "MADRE!"?

Era da tempo che non mi capitava di imbattermi in un film così poco accessibile. Madre! Propone un turbinio di eventi ritmati da un tempo irreale. La consequenzialità causale è in realtà rispettata nei minimi dettagli e proprio questa discontinuità tra la dimensione causale e quella temporale provoca uno smarrimento che opprime lo stomaco dello spettatore. Il problema di un film di questo genere è anche la sua forza maggiore: esso si sviluppa su un simbolismo forte - e talvolta forzato - ma non è in grado di individuare una linea che possa fare da collante per gli elementi narrativi proposti. Si resta quindi incastrati nella scomoda posizione di unificatore dei sensi multipli del film, delle diverse letture; in una parola, siamo chiamati ad interpretare.


L’interpretazione ha da tempo abbandonato le sale cinematografiche. Siamo ormai abituati ad associare un lavoro soggettivo alla carta stampata che, mancante della componente visiva, ha in sé intrinsecamente una richiesta. Inception fu un grande argomento di dibattito al tempo, pur lasciando all’interpretazione dello spettatore solo l’ultima scena della trottola. Confrontarsi con un’opera che viaggia a fari spenti dall’inizio alla fine e non rinuncia ad uno stile narrativo confusionario è un’esperienza che travalica i canoni della cinematografia moderna. È necessario però dare un senso alle esperienze perché passino alla memoria e siano significative in chiave futura. Dopo alcuni giorni di riflessione ho quindi maturato una certa visione d’insieme dell’opera. Innanzitutto è necessario prendere una situazione di quelle fondati per farne la struttura centrale attorno alla quale costruire il resto dell’interpretazione; e, nonostante siano evidenti i rimandi biblici, è sulla storia dello scrittore che vorrei soffermarmi. Il rapporto tra Javier Bardem e Jennifer Lawrence è quello tra l’arte e la vita, tra la creatività e l’ordine, tra il dionisiaco e l’apollineo. È un dualismo che la storia dell’uomo si trascina da sempre e che stavolta è stato connotato in maniera alquato bizzarra e materiale. L’oggetto del contendere è la capacità di creare dello scrittore che è stata rinchiusa con violenza dalla quiete mite di Lei. Il loro rapporto reale, stanco e affamato di novità, è oppresso proprio dall’austerità di una sopravvivenza senza guizzi, rappresentata dalla casa, che, come sappiamo, si identifica con la figura della donna. È quindi la donna-vitale a togliere la vita dalla creazione. È la figura femminile ad imporre il sopraggiungere dello stile apollineo e l’uomo tenta di sottostare al rigore della casa, ma le figure sui generis che invadono l’abitazione sono esse stesse proiezioni della volontà dionisiaca, che ha bisogno di auto sabotarsi e di sgretolarsi per poter riemergere come nuova forza creatrice. La nascita della nuova vita è infatti conseguenza della prima ondata di invasioni barbariche che rompono il silenzio dell’ordine. La creazione più profonda, quella della vita, tiene immacolato l’equilibrio dei due stili e contribuisce all’apertura di una spazio di comunicabilità in cui l’uomo è anche in grado di riprendere una continuità di scrittura, di riprendere a generare idee. Ma quando la componente dionisiaca prende il sopravvento sulla casa, ecco che l’uomo non riesce più a soddisfarsi della sua produzione ed è portato per natura a divorare la sua stessa creatura, fagocitando se stesso, per tornare all’origine.


Sotto questo punto di vista il film è una meravigliosa allegoria che presta uno stile raffinato ad una riproposizione del mito greco nell’interpretazione nietzschiana. Ma identificare l’opera di Aronofski con questa visione sarebbe certamente riduttiva: molti elementi restano fuori e non viene minimante sfiorato il sottostrato religioso che permea l’intera pellicola. Dai protagonisti ai primi intrusi, dalla folla fino al nascituro, tutti gli elementi di Madre! Potrebbero essere ricollocati in un quadro biblico ricco di rimandi e citazioni. Credo però che, nella mente del regista, la questione religiosa sia stata adottata più come mezzo che come fine dell’opera, la quale infatti vede nella sua componente teologica lo slancio per tendere ad un finale in sé chiuso, ma le speculazioni possibili e immaginabili costruite sopra le associazioni cristiane fanno del sostrato religioso un fondamento dell’opera, non una definizione della stessa. Il film va oltre le simbologie, arrivando a toccare una profonda critica sociale sul successo al di là dell’interpretazione filosofica data.



Il problema di Madre! sta a metà tra la complessità e l’approccio: da una parte è necessario comprendere gli elementi che sguazzano nel fiume in piena del delirio, dall’altra uno spettatore medio non può prescindere da una chiave interpretativa - anche aprioristica - che possa guidarlo nella lettura dei contenuti. In questo caso le forme non si traducono nei contenuti che l’inconscio si prefigura e l’esperienza si trasfigura in una perdibile manifestazione di stile, anche alquanto supponente. Invece è appagante scoprire di essere l’autore del proprio film, un’opera personale e universale. Unica.

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