Il film nasce da una mancanza storica: solamente quattro
mesi dopo lo storico incontro nella stanza ovale Nixon si decide a tenere una
registrazione degli incontri e delle riunioni tenuti alla Casa Bianca. Quattro
mesi prima uno stanco e contrariato Elvis si era presentato all’ingresso
nord-ovest dell’edificio presidenziale con una lettera scritta due suo pugno
per chiedere di incontrare il presidente degli Stati Uniti, per ottenere un
riconoscimento come agente federale aggiunto. Era il dicembre 1970, la fine di
un’epoca e l’inizio di un nuovo mondo. “Elvis e Nixon” si propone di riscrivere
quel tassello mancante della storia armonizzando il quadro con un copiosa dose
di finzione. Elvis e Nixon, rispettivamente interpretati da Michael Shannon e
Kevin Spacey, sono due uomini superati dai tempi che ritrovano nel loro
confronto lo slancio per un’operazione delirante, quella che vede la star di
Memphis lavorare in incognito nell’ambito della musica “comunista” grazie alle
sue doti di trasformista. Attorno ad un incontro di pochi minuti viene anche
ricamata una cornice che tenta di delineare un momento storico ben preciso, ma
che rimane troppo sullo sfondo rispetto all’attrattiva dei due protagonisti.
Elvis è un uomo sovrastato dalla sua grandezza, alla
caccia dei fantasmi che possano dare un senso ulteriore alla sua carriera,
naufragata nelle serate a Las Vegas. Nixon è il presuntuoso repubblicano che
ricordavamo dai reperti storici e dalle testimonianze. Se da una parte è il
cantante a rappresentare la personalità più tridimensionale e interessante da
scoprire, dall’altra il presidente è la figura più delineata e precisa con cui
confrontarsi. Due scritture differenti per dare vigore ad un incontro-scontro
tra due icone tanto simili quanto diverse; e proprio in questa tensione,
alimentata dai personaggi dei rispettivi entourage, sta il fulcro
dell’attenzione dello spettatore che entra nei tempi e nelle dinamiche del film
e resta preso dalla voglia di scoprire l’esito dell’appuntamento segreto.
Al di là di una struttura semplice e coerente, il film si
regge sulle interpretazioni dei due protagonisti, quantomeno encomiabile nel
tentativo di rappresentare la storia americana senza scadere in imitazioni di
bassa lega. Il personaggio di Elvis non ha un grande riscontro per il fatto che
il cantante vivesse lontano dalle telecamere la sua decadenza artistica, ma per
quanto riguarda Nixon il risultato è spettacolare, grazie ad un Kevin Spacey
che completa il presidente nella sua interezza lontano dalle luci della stampa.
Ci sono le famiglie, gli interessi, gli ideali trapassati, ma viene ridotto
all’osso il legame dei due personaggi con l’attualità del 1970. A parte alcuni
richiami - tra cui quello esilarante e tremendo sulla guerra tra Siria e Iraq -
l’incontro sembra avvenire in una dimensione atemporale, che vive solo dell’eco
dei reali problemi della politica internazionale successivamente alla guerra in
Vietnam.
Ciò che emerge da questa caratterizzazione dei personaggi
è un salvataggio in extremis di due personaggi e di un’epoca morente dopo il
’68: siamo consci dell’assurdità di alcune argomentazioni - tra cui l’astio di
Elvis verso i Beatles -, ma non riusciamo a condannare fino in fondo queste
posizioni per una simpatia intrinseca alla situazione surreale. Non è sicuro
quanto questo effetto sia voluto, ma è innegabile un certo cerchiobottismo.
“Elvis e Nixon” è una commedia semplice ed efficace,
quasi aristotelica nella sua costruzione unitaria, che non disperde le energie
nella connotazione dello sfondo, ma che funziona per quello che riesce ad
offrire, soprattutto dal punto di vista comico. Il peccato di non spingere
quando ne avrebbe avuto l’occasione ridimensiona la portata di una satira
sociale che spara spesso a salve.
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