lunedì 23 ottobre 2017

IT - IL PIACERE DI PIACERSI

Che valore assume la capacità di piacere nella valutazione di un’opera? Quando si analizza un film bisogna partire dal presupposto che i casi in cui l’autore ha voluto riversare se stesso nella sua creatura senza pensare al giudizio del pubblico sono più unici che rari. A volte confondiamo il bacino d’utenza a cui un prodotto si rivolge con la singolare cifra stilistica dell’autore. Non possiamo commettere l’errore di espellere dall’arte ogni forma d’intrattenimento ed esaltare quindi un non-intrattenimento che ci eleva. Anche l’opera più elitaria deve avere in sé una comunicabilità, un’accessibilità, una forma insomma d’intrattenimento che possa arrivare da una soggettività ad una collettività, perché ogni forma d’arte è la comunicazione di un’idea. Ma come porsi rispetto ad un’opera, It, che mostra una componente commerciale così ostentata?


Il punto di partenza è indubbiamente l’ambientazione scelta per questa prima trasposizione del capolavoro di Stephen King: se nel libro e nella miniserie tv degli anni ’90 la prima parte delle avventure dei “Losers” era ambientata nel 1957, nella nuova incarnazione del male l’anno di riferimento è il 1989. Questo spostamento temporale si colloca appieno nella moda dilagante negli ultimi anni di riprendere a piene mani dagli anni ’80 per risvegliare nello spettatore un effetto nostalgia che tende ad esaltare il cinema per ragazzi di quegli anni. Dai Goonies ad E.T., passando per l’incarnazione finale della cultura pop di quel periodo: Stranger Things. Senza la serie Netflix non esisterebbe questo It e il personaggio di Mike-Ritchie rappresenta l’anello di congiunzione tra i due franchise. La scelta della collocazione temporale quindi influisce pesantemente sullo stile della narrazione, manipolando alcuni elementi dell’opera letteraria per inserirci in un contesto che abbiamo ormai imparato a chiamare Casa. Questo aspetto è fondamentale per generare un forte sentimento di nostalgia sia durante la visione dell’opera che in una riflessione a posteriori. Crea un legame di sangue tra la pellicola e lo spettatore. Tutto ciò non è giustificabile con una volontà autonoma e trasparente del regista, ma si tratta di una decisione presa a tavolino dai vari sceneggiatori che hanno lavorato al progetto. Non è un caso che il tanto atteso ritorno di It abbia trovato la sua realizzazione proprio in questo periodo storico caratterizzato da un notevole revisionismo.


Per quanto quest’appunto possa apparire critico nei confronti dell’opera, è innegabile che essa riesca nell’intento di piacere. I ragazzi protagonisti in primis rompono la quarta parete e ci trasportano con loro nel magico mondo dell’adolescenza. Ancor più significative sono le relazioni costruite tra i personaggi, che fanno sentire ancor di più la differenza di peso tra la nostra realtà e la spensieratezza di un tempo. È probabilmente nelle scene di quiete che il film dà il meglio di sé, ritmato in maniera perfetta da una colonna sonora inevitabilmente superiore. Queste sequenze si bilanciano perfettamente alla componente più orrorifica dell’opera, il vero e proprio svolgimento dei fatti che comprende il celeberrimo Clown ballerino Pennywise. Il passaggio dal momento ilare a quello ansiogeno è tanto repentino quanto all’apparenza naturale, merito di una scrittura che - stavolta per davvero - riesce appieno nel suo intento. Nel complesso di alcuni dettagli correggibili, è l’empatia a 
spiccare vistosamente al di sopra della narrazione e dell’atmosfera costruita.


Forse in questo bilanciamento perfetto a perderci è proprio l’horror, che nella sua riduzione ad una delle componenti dell’amalgama, smarrisce la carica di tensione che aveva nell’opera letteraria. Non siamo di fronte ad un capolavoro del genere proprio perché il genere stesso viene troppo spesso spezzato da un intento superiore, che è quello di arrivare a tutti i costi ad un pubblico più ampio, che si traduce con la volontà di piacere. A prescindere dall’età, ogni spettatore è messo nelle condizioni di identificarsi direttamente con i protagonisti o di tornare al periodo dell’adolescenza per vivere un’avvenuta a contatto con la morte che arriva da un mondo di paure e fobie condiviso. È la storia che tutti abbiamo immaginato e tutti abbiamo la possibilità di viverla. È un’esperienza globale, e ciò, unito ad una campagna marketing virale, spiega il successo planetario dell’opera.



It risorge a nuova vita, ma resta a metà tra due generi, a metà tra due generazioni. Tale via mediana si rivela essere però più una scelta azzeccata che un mancanza strutturale e il merito del film risulta essere infine proprio la scrittura a tavolino di cui si diceva in precedenza, che da possibile elemento di critica diventa il punto di forza della trasposizione cinematografica. La voglia di piacere stavolta ha vinto sui generalissimi puristi. A volte la voglia di piacere, semplicemente, piace.

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