lunedì 16 ottobre 2017

BIG MOUTH È UN ALTRO AMERICAN PIE?

Big Mouth racconta l’ingresso di un gruppo di adolescenti nel mondo della pubertà con una forte dose di ironia e senza aver paura di mostrare gli aspetti più indicibile di un periodo complesso. Come si valuta un prodotto del genere? Il metro di giudizio deve essere la gratuità degli argomenti trattati. Se il contesto creato richiama un lessico spinto e una costruzione esplicita, allora è corretto che venga utilizzato un registro adulto. Molte produzioni - sia cinematografiche che televisive - hanno tentato questa strada in passato, ma spesso il risultato non è stato all’altezza perché il complesso delle interazioni sessuali e potenzialmente divertenti è così ricco che collocare la giusta esagerazione nel posto corretto è talvolta un’opera difficile da realizzare. D’altra parte c’è da considerare la sensibilità del pubblico, che indubbiamente rischia di creare uno schermo di imbarazzo tra lo spettatore e il piano linguistico e allusivo in gado di inficiare la fruizione del prodotto. Il rischio costante per una serie del genere è di cadere in una forzatura senza fondamento, ma Big Mouth ha saputo individuare una base solida da cui sviluppare una comicità istrionica e viscerale: la pubertà. L’elemento cardine della nuova serie animata Netflix è anche quello che regge meglio la costruzione del nonsense e dell’esagerazione cercata. Ma questo, d’altra parte, palesa anche delle difficoltà quando l’argomento tende ad evadere troppo dal focus principale. In generale quindi le sequenze con i ragazzi funzionano a meraviglia, grazie anche ad un’atmosfera che ricalca alla perfezione quella della pubertà più celata, mentre le situazione create attorno a personaggi secondari quali genitori e professori perdono il senso dell’opera e lasciano percepire uno scarto di contestualizzazione comica rispetto alle precedenti. Questi momenti rallentano il ritmo e lasciano entrare un nonsense che non contribuisce allo sviluppo di una trama lineare. Seppure si tratti di una serie di episodi sostanzialmente autoconclusivi, l’elemento amoroso e le situazioni che vengono a crearsi tendono naturalmente a richiamarsi nel corso delle puntate, creando una velata narrazione orizzontale. È l’argomento della pubertà stessa a richiedere un’evoluzione della situazione presente; un fine verso cui tendere. In questo senso si percepisce che gli sceneggiatori avrebbero potuto osare molto di più, introducendo una narrazione continua, intervallata da momenti episodici, perché proprio nella continuità delle storie dei protagonisti sta il vantaggio di una serie animata di questo tipo e il punto a favore attorno al quale potrebbe svilupparsi in modo originale.


Oltre una narrazione con molti picchi e alcune lacune, gli sceneggiatori hanno dimostrato di essere in grado di confezionare un prodotto completo, maturo, arricchendo le gag con rimandi continui alla cultura pop e ad episodi stessi della serie, canzoni che tendono a scimmiottare miti della storia della musica (Freddie Mercury e Prince su tutti) ed esilaranti momenti di rottura della quarta parete. Il tutto a confermare la cura con cui Big Mouth è stata confezionata dai due creatori.
A rimanere nel cuore degli spettatori è però l’hormon monster, personificazione del demone della pubertà che saprà regalare momenti di televisione tanto squallidi quanto divertenti. Una vera e propria calamita di attenzioni che dimostra di avere anche dei caratteri in comune con il sommo scienziato Rick, entrando di diritto nel novero dei personaggi iconici delle serie tv animate in accoppiata con la sua versione femminile Connie.



Big Mouth non è da prendere dunque come un delirio sessuale alla stregue dei vari American Pie ai quali ci ha abituato il mercato statunitense, perché in questo caso è il contesto a fare la differenza e a rendere ogni scelta forte perfettamente in linea con la scelta iniziale. La coerenza però non basta a mascherare alcune lacune, anche se la possibilità, solo sperimentata in questa prima stagione, di una linea narrativa continua a cui aggiungere tasselli totalmente deliranti e sconnessi - come la metafora della pornografia presente nell’ultimo episodio - lascia ben sperare per una seconda stagione che proponga il definitivo salto di qualità. Il consiglio sulla visione di Big Mouth dipende da voi, se siete in grado di ridere di ciò che tenete nascosto anche a voi stessi e di un passato condiviso ormai sepolto è assolutamente la serie che fa per voi. Da guardare rigorosamente da soli però, una visione in compagnia sarebbe davvero troppo.

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