Dopo il 1986, anno di uscita del secondo capitolo diretto
dal mostro sacro James Cameron, la Fox, che deteneva i diritti per un eventuale
terzo capitolo, sondò varie volte il terreno e arrivò più volte ad assegnare l’incarico
di scrivere una sceneggiatura, ma nessuno degli incaricati negli anni riuscì a
produrre uno script soddisfacente, o quantomeno completo. Tardi e ritardi
storici portarono la storia del brand al 1992, quando una bozza di
sceneggiatura venne affidata ad un giovane David Fincher, fino a quel momento
autore di videoclip musicali. Fincher - che solo successivamente sarebbe
esploso come uno dei registi cult degli anni ’90 - riversò nella realizzazione
del terzo capitolo della saga la sua voglia di stupire, anche attraverso una
realizzazione ardita, che non disdegnava tecniche più vicine al mondo video
ludico, in piena fase evolutiva. Il vero problema di questa produzione fu a
monte, ossia riguardo la stesura di una sceneggiatura che, anche nella sua
versione definitiva, appariva più simile ad un agglomerato di idee differenti
che ad un corpo unico. Questo si tradusse nella coabitazione di più anime all’interno
di un’unica pellicola visivamente, ancora una volta, impressionante, ma che da
punto di vista del contenuto, ancora una volta, non riuscì a toccare le vette d’intensità
del primo capitolo.
La storia riprende pochi giorni dopo la fine del secondo
capitolo. Ripley, Hicks, Newt e l’androide moribondo Bishop si trovano sulla
scialuppa di salvataggio dopo essere sfuggiti all’attacco dello xenomorfo
regina. Un facehugger è però riuscito ad intrufolarsi all’interno dell’abitacolo,
facendo così attivare il sistema di sicurezza che tenta un atterraggio di
fortuna su un pianeta vicino. L’impatto col suolo ha conseguenze traumatiche e
Ripley è l’unica superstite dei trio di umani. Il pianeta su cui la protagonista
atterra stavolta è una colonia penale popolata da soli venticinque detenuti,
accusati dei crimini più atroci. Insieme alla protagonista però anche il
parassita alieno è sopravvissuto all’impatto e la sua presenza su Fury 161
minaccia di annientare l’intera colonia di detenuti. Questa volta il facehugger
si servirà di un cane per riuscire a dare vita all’alien e questo influirà
sulle caratteristiche morfologiche del mostro assassino, più agile e aggressivo
rispetto ai due precedenti capitoli.
Arrivati al terzo atto di una saga sostanzialmente
ancorata a dei topoi ben definiti, gli elementi fondanti della trama cominciano
a ripetersi di pellicola in pellicola e questo tende a minimizzare la portata
assoluta di una sceneggiatura come quella di “Alien3”. Siamo nuovamente
di fronte ad uno scontro che coinvolge un solo alieno, come nel primo capitolo,
ma la preparazione degli umani per affrontarlo sfocia gradualmente verso l’azione
frenetica dell’action puro in stile Cameron. L’opera di Fincher si pone quindi
a metà tra l’horror d’ambiente di Scott e ciò che gli sceneggiatori avevano prodotto
dal calderone di idee lasciato dal primo capitolo. Il primo atto di questo
terzo episodio è decisamente tendente alla creazione di una tensione di fondo
legata all’incombente minaccia aliena e, seppur l’isolamento di Ripley sia una
parte fondante di questo sentimento d’angoscia crescente, è difficile accettare
la morte fuori campo dei protagonisti di “Aliens”. Hicks e Newt erano stati
tasselli fondamentali dello sviluppo della caccia allo xenomorfo e i nuovi
sceneggiatori non hanno minimamente esitato a tagliarli in toto dal nuovo film.
Lo stesso Cameron ebbe da ridire, poiché una scelta in questo senso di stacco
tra i due capitoli tende a far rileggere il finale del secondo film solo in
relazione a sé stesso. L’opera di Cameron infatti perde di significato al si là
della figura di Ripley e questa mancanza relativamente grave evidenzia lo
sviluppo travagliato di “Alien3”.
Un bacino sulla guancia, dai |
Dopo una fase di stallo, l’azione esplode nel momento in
cui avviene il primo contatto tra Ripley e il nuovo alien, nell’iconica scena
in cui la lingua dentata dello xenomorfo sfiora la guancia tremante della
protagonista. Da quel momento in poi, Fincher sembra voler riproporre una
caccia all’intruso simile a quella del primo capitolo, quindi situata all’interno
di cunicoli claustrofobici, senza però rinunciare alla velocità guadagnata
nella realizzazione delle scene d’azione di Cameron. Da ottimo mestierante
quale è, Fincher riesce a ricavare il meglio da una sceneggiatura non
eccezionale e si dimostra in grado di realizzare il suo Alien in una cornice di
sabbia e sangue, colorata di un arancione tendente al deserto dell’ultimo
superstite. Il film del ’92 è inoltre memorabile per la conclusione della
vicenda di Sigourney Weaver che, braccata dalle organizzazioni terrestri che
bramano il potere dello xenomorfo, decide di gettarsi nella fornace per porre
fin definitivamente alla vita dell’alieno che cresceva in lei. Una sequenza
epica che si carica dell’emozioni provate dallo spettatore nel corso dell’intera
trilogia.
L'epica fine che tutti sognavamo, l'epica fine che la fine non è |
Se c’è una mancanza evidente in “Alien3” è
quella di non aver saputo scavare oltre le apparenze del capitolo precedente. Ci
sono le organizzazioni a scopo di lucro, ci sono i rinnegati dalla società, c’è
uno scontro epico contro la vita aliena, ma non c’è alcuna possibilità per lo
spettatore di speculare su una storia non detta, perché la svolta completa al
puro intrattenimento ha tagliato le gambe ad ogni forma di fantasia.
Se anche questo terzo capitolo non ha saputo attingere a
dovere dalle fondamenta della serie, riuscirà “Alien: Covenant” ad invertire la
tendenza e a tornare ai fasti di un tempo. Appuntamento al prossimo mercoledì
con la recensione del non richiesto Alien 4 o “Alien: la clonazione”. Un nome,
un programma.
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