“La
terza stagione sarà fondamentale per
riuscire a dare un giudizio complessivo e definitivo sull’intera opera. Dalla
terza si capirà se siamo di fronte ad un Dr House migliorato in molti suoi
aspetti o ad una serie similstorica che andrà meramente a sfociare in questioni
di gossip e relazioni pericolose. Una sorta di Beautiful moderno. Ma io
propendo decisamente per la prima ipotesi.”
Si
chiudeva così la fortunata serie di commenti ospitata su questo blog ormai più di
un anno fa. Il Knickerboker era caduto, il nuovo ospedale andato in fiamme,
Thack deceduto dopo il delirio di onnipotenza. Le singole trame aveva raggiunto
picchi di pathos in coincidenza con i momenti peggiori dei personaggi. Steven
Soderbergh si era superato nella direzione di una serie sempre più a conduzione
personale, regalando il suo vero capolavoro nell’ambito televisivo e non solo.
Eppure lo scorso 23 marzo i capoccia di Cinemax hanno annunciato di aver deciso
per la chiusura della serie alla seconda meravigliosa stagione. La motivazione,
quanto mai banale e infantile, sarebbe quella di tornare a produrre serie
incentrate sull’action più classico, in linea con il palinsesto storico della
rete. Non è bastato l’enorme successo di pubblico e critica a far ricredere chi
di dovere sulle possibilità di una serie differente, di qualità.
Il delirio di onnipotenza |
E
quindi noi fan ci ritroviamo con un pugno di mosche verdi fritte alla fermata
della carrozza più pazza del mondo. Riguardando l’ultimo episodio è evidente
che gli sceneggiatori, e quindi lo stesso Soderbergh,non avessero certezze
sugli sviluppi della produzione al punto da optare per un finale aperto, ma
anche chiuso. Le sottotrame sviluppate nel corso di due stagioni entusiasmanti
raggiungono una sorta di fase di stallo che all’occorrenza può essere letta in
chiave futura o come definitiva conclusione dai lineamenti indefiniti. La
stessa morte-non-morte di Thackery è emblematica dell’ambivalenza della resa
dei conti. Ma a ben vedere sarebbero state molto più convincenti e fondate le
motivazioni di un prosieguo nella narrazione di un luogo e di un tempo, più che
di una serie di eventi legati ai personaggi. The Knick è sempre stato Thack, ma
è anche stato il Knick, l’ospedale: lo sviluppo delle nuove tecniche mediche, l’evoluzione
della città di New York di inizio secolo, l’epopea della costruzione del nuovo
ospedale. Il collante è sempre stato il Knick e ciò avrebbe reso possibile
un’espansione smisurata delle possibilità di sceneggiatura.
Dietro
l’amarezza di un altro progetto promettente naufragato nel mare della
mediocrità della domanda, restano due stagioni di livello assoluto, al pari
degli show più osannati degli ultimi anni. La caduta negli inferi del medico
più promettente della New York di inizio secolo , collegata alle vicende di
tutti i personaggi secondari, restituisce un affresco storico realistico,
bilanciato e oltremodo curato in ogni minimo dettaglio. Complesso narrativo
che, unito all’arrogante creatività di Steven Soderbergh - improvvisatosi anche
macchinista per la serie sua diletta -, si traduce in un piccolo gioiello che
tutti dovrebbero avere la possibilità di ammirare, anche solo per pochissimo
tempo, il soffio di vento di venti puntate.
#addio |
Non
posso che consigliarvi spassionatamente il recupero immediato delle prime due
stagioni, che si concluderanno con un mezzo finale, ma che sapranno
intrattenervi come poche serie tv sono state in grado di fare. E quando
sentirete l’opening elettronica di Cliff Martinez, pensate a me. Sedotto e
abbandonato nell’attesa di una terza stagione, che doveva essere la
consacrazione definitiva, ma che non sarà mai.
URGE
PETIZIONE!!1!
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