Ha ancora senso parlare di natalità in Italia? I dati
raccolti dall’Istat nel primo trimestre di quest’anno parlano di un minimo
storico. Il bilancio tra nascite e decessi in Italia è negativo dal 1990 e una
recessione popolosa è stata scongiurata in questo lasso di tempo solo grazie ai
flussi migratori. La realtà dei fatti è che la nuova crisi delle certezze, a
braccetto con quella economica, ha minato le basi della fertilità, rendendo
complicato per la mia generazione perfino immaginare un futuro da genitore. In questo
contesto si è inserito silenziosamente “Piuma”, piccola produzione di Roan
Johnson, presentata all’ultima mostra del cinema di Venezia. La pellicola non
ha colpito particolarmente la giuria e non ha di certo sbancato il botteghino -
nonostante il supporto di Sky Cinema -, ma ha generato diverse discussioni per il
soggetto più che per lo sviluppo della sceneggiatura o per l’aspetto tecnico. I
critici si sono straniti nel vedere sullo schermo una storia di vita così lontana
dalla realtà, una disavventura normale che narra dei nove mesi di gestazione di
una nascita inaspettata.
Ferro e Cate sono due adolescenti all’ultimo anno di
liceo che, un mese prima dell’esame orale, scoprono l’inaspettata gravidanza
della ragazza. Il film quindi narra delle vicissitudini dei due protagonisti,
intenti a resistere ad un mondo che non ha più la forza di sorreggere la vita
nuova. A dispetto di uno sviluppo poco originale e di una messa in scena
assolutamente rivedibile, resta il coraggio di produrre un’opera sull’assenza
della necessità. Non è scontato che per parlare di una problematica sociale si
debba mettere in scena la presenza di essa, ma il contrasto e l’esagerazione
del contrario possono, se incanalati nella giusta direzione, produrre un
risultato ancora più dirompente. Non è forse questo l’esempio più riuscito in
assoluto della volontà della rappresentazione dell’opposto, ma gli intenti
andrebbero apprezzati.
Ferro e Cate decideranno di tenere la bambina e di
chiamarla Piuma, per la leggerezza con cui dovrà sorvolare sulla città e il
frastuono, che investono ogni giorno di più la vita. La nascita, nel suo
carattere epifanico, è anche la rinascita: la chiave di lettura dell’uscita da
una crisi dei costumi può e deve essere nel futuro oggi incupito di una
generazione al bivio della detonazione e della depressione perenne, bistrattata
per una mancanza non sua. Lo sconforto di una società in crisi di nascite si
rispecchia nell’incapacità di rendere possibile uno sguardo futuro alla
realizzazione umana, che passa anche dalla creazione di un nucleo familiare. E,
se siamo animali sociali, la creazione di un nucleo familiare rientra di
diritto nelle nostre naturali aspirazioni, mozzate, interrotte, bruciate ancor
prima di essere piantate.
Una “Piuma” a diciott’anni è una responsabilità enorme, e
in questa semplificazione sta la costruzione creativa del film, ciò che invece
appare reale è il contesto che risponde all’impossibile della creazione. Genitori
senza prospettiva, abitazioni diroccate e presunti specialisti. I centri
scommesse. Tutto ciò che riguarda Ferro e Cate è reale e pesa proprio sulla
decisione dei ragazzi di tenere la bambina. Tutto ciò che affossa i sogni di
gloria e rilancio è quello che c’è, e che c’era anche prima; la rivincita sta
nella possibilità di sbagliare seguendo le nostre visioni.
Se i giovani d’oggi valgono poco, gli anziani cosa ci
hanno lasciato?
I pregiudizi delle persone per bene e le autostrade
I partiti, che sono scatole vuote
E una bella costituzione
La Salerno - Reggio Calabria, gli Esselunga
E miss Italia.
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