sabato 10 giugno 2017

AMORE E NICHILISMO - MASTER OF NONE 2

La seconda stagione dell’opera di Aziz Ansari e Alan Yang si colloca in un contesto saturo di idee e modi, eppure riesce a ritagliarsi uno spazio di originalità, una cifra stilistica che, combinata con intenti lontani dal gusto del genere, fonda le basi di un prodotto unico, inimitabile.


L’amore e il nichilismo sono i due poli che delimitano lo sviluppo della storia di Dev. Nel mezzo la vita, la quotidianità, i traguardi lavorativi, il razzismo americano. Se la prima stagione si poneva come obiettivo quello di scavare a fonde nella vita di uno statunitense di origini indiane, in questa seconda la discriminazione viene allargata e al contempo ridimensionata nel più ampio respiro della serie. Si percepisce la volontà di farne un filo conduttore della narrazione - come ad esempio nell’episodio “New York, I love you” - ma la portata del peso dei luoghi comuni viene ridotta dalla grandezza della trama principale. Quasi a voler normalizzare la discriminazione quotidiana. E forse proprio questa tendenza amplifica il rumore del grido muto delle minoranze, in un’America che va verso il disprezzo.


L’amore è quello che Dev cerca per superare il trauma della fine dell’idillio di Rachel, è quello che il protagonista ricerca invano per intere puntate per poi accorgersi di dover tornare al punto di partenza, al primo meraviglioso episodio in un nostrano bianco e nero per ritrovare Francesca, la tenera ragazza italiana alla ricerca di una via di fuga da un futuro già scritto. Il nichilismo è il peso che ogni puntata porta con sé e talvolta cerca di nascondere dietro una maschera di comicità. È la mancanza di un senso che spinge i protagonisti  prima correre senza una meta, poi a rallentare, infine a fermarsi per cercare di ridare una direzione al loro essere. Il nichilismo pervade ogni momento in cui la telecamera si posa sullo sguardo affranto di Dev, ogni volta che una silenziosa solitudine rompe la dialettica del protagonista, ogni vuoto che queste immagini mostrano. Master of None si costruisce sulle parole, sugli sguardi e sulle situazioni, ma anche e soprattutto sulle mancanze che spiccano al di sopra delle certezze, e quando queste certezze vengono a crollare, sia in campo lavorativo che privato, allora non resta che il vuoto di una vita che si alimenta di troppe finzioni, a partire dal rapporto d’amicizia tra Dev e Francesca, a partire dalla risposta che il protagonista offre a Rachel nell’ultimo episodio. Il nichilismo è il nulla che si apre alla fine di un percorso che ci mostra i frutti putrescenti di una storia all’apparenza lineare. Il nulla di Master of None è quello della nostra società vuota di certezza, che tenta di aggrapparsi ad un’idealizzata immagine del passato per costruire un futuro di menzogne, che manca di basi per essere all’altezza della aspettative di cui ci siamo convinti. E un giorno ci ritroveremo a fare i conti con il tempo e le finzioni che abbiamo costruito perché non ci pesasse il mondo.


Il realismo dell’opera di Ansari e Yang non manca di colpire allo stomaco lo spettatore con un finale opposto al gusto delle commedie romantiche, costruito in un doppio episodio della durata complessiva di un film. Due episodi dal titolo italiano mantenuto anche in originale: “Amarsi un po’” e “Buona notte”. La tristezza sale verso un finale che viene tinteggiato di grigio a partire dal momento della rivelazione, per andare a rincarare la dose dello sconforto in un realismo che non è come vorremmo. Ma quando sembra non restare nulla, ecco un cliffhanger che anticipa una terza stagione non meno malinconica, non meno problematica. Basta uno sguardo a riaccenderla fiamma.


Una serie che nasce con l’intento di far sorridere lo spettatore sullo sfondo di tematiche sociali significative è maturata fino a toccare l’abisso dell’animo umano. Quando ciò accade è impossibile non riconoscere i meriti di una produzione impeccabile, in primis Aziz Ansari, vero cuore di un piccolo capolavoro. L’intera seconda stagione inoltre è caratterizzata da un forte impianto cinematografico che fa dei vari episodi una sorta di mediometraggi prestati al mondo della televisione. Le luci accarezzano gli attori, le inquadrature gettano lo spettatore direttamente negli interni della serie, New York innevata è qualcosa di magico. Il tutto al servizio di uno spaccato drammatico della nuova vita che ci siamo creati, in cui tutto sembra sotto il nostro controllo, il futuro, eppure non siamo maestri di nulla.

We are what we are, Masters of None.

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