mercoledì 24 maggio 2017

TWIN PEAKS 3 - EPISODI 1 & 2

La via che porta verso casa dopo un interminabile esilio durato venticinque anni potrà essere ripida, sconnessa, ma avrà sempre quell’odore caratteristico, lo stesso che ci aveva fatto innamorare dei luoghi natii. Per Lynch l’odore è quello dell’olio bruciato, il luogo natio la loggia nera.


Twin Peaks torna ad imporsi come prodotto reale della mente visionaria del suo autore, stavolta non costretto dal gusto comune e da logiche di produzione, ma libero semplicemente di esprimere la sua visione metafisica attraverso una forma oltretelevisiva. Il ritorno è dolce quanto amaro, segnato dalla tragica conclusione della seconda stagione che vedeva il corpo dell’agente Cooper posseduto dallo spirito malvagio di Bob. La narrazione riprende venticinque anni dopo, con l’escamotage di una lieve retrodatazione, per muoversi in maniera del tutto contraria al senso comune. Se altri revival famosi in questi ultimi anni hanno riaperto un capitolo chiuso con il classico espediente della presentazione delle storie presenti, Lynch sceglie di alterare il corso temporale e di presentare anticipatamente una galleria di personaggi e situazioni nuove, indubbiamente distanti dalla conclusione della seconda stagione. Il tempo ha cambiato anche i luoghi, i modi, i volti, ma non i tempi dell’azione, attraverso i quali Lynch ricostruisce un cordone ombelicale con la ricerca della loggia nera e chiude, al termine del secondo episodio, un cerchio di visioni che apre finalmente le porte al ritorno fisico dei protagonisti di Twin Peaks (fan service della scena al Bang Bang Bar). Con questa scelta narrativa, Lynch allarga a dismisura la sua narrazione, fortifica la trama e fonda delle basi solidissime per costruire una serie profonda, stratificata.


La serie si apre con l’immancabile gigante, a colloquio con Dale Cooper in una cupa atmosfera grigia. L’entità, come suo solito, si esprime attraverso tre indovinelli - celebri quelli del primo episodio della seconda stagione. I nuovi, che ci terranno svegli per notti, sono:

Remember 4-3-0

Richard and Linda

Two birds with one stone

Gli ultimi due in realtà potrebbero far parte del medesimo inciso (“Richard and Linda, Two birds with on estone”). Se il terzo indizio del gigante al momento lascia poco spazio alla speculazione, i primi due potrebbero già trovare una spiegazione.
Remember 4-3-0. Tre numeri, di sui due già comparsi nel corso delle prime due stagioni. Si tratta di due numeri legati al personaggio di Hawk, rappresentato spesso con una tessera del domino in mano, prima raffigurante tre punti, successivamente quattro. Inizialmente i fan avevano cercato di spiegare il cambiamento di numero legandolo alle uccisioni dell’agente di polizia, in quanto, effettivamente, il cambio coincide con un’uccisione compiuta dal personaggio. Non è chiaro però il riferimento allo zero, ma credo sia indubbio il legame tra questo indizio e Hawk, successivamente centrale in un paio di frangenti in questi primi episodi.


Richard and Linda potrebbero invece essere due personaggi all’interno della serie, o il riferimento voluto di Lynch a due artisti del folk internazionale, i quali divennero famosi negli anni ’70 per alcuni successi che richiamavano il tema delle luci: “I want to see the bright lights tonight”, “Shoot out the lights”. Il riferimento potrebbe essere calzante, alla luce dell’attenzione particolare che Lynch dimostra di avere per il posizionamento e per l’effettiva funzionalità delle fonti luminose, come ad esempio nella scena ormai classica dei fari dell’auto che illuminano il percorso o nelle sequenze ambientate a New York.


Se le prime due stagioni di Twin Peaks avevano subito con il tempo un effetto albero, andando così a sviluppare sottotrame sempre più lontane tra loro, questa terza stagione sembra più orientata verso il modello ad imbuto, che vede differenti narrazioni ritrovare dei punti di contatto per poi effettivamente ricostruire un quadro unico, coerente e definito. In particolare spiccano tre filoni narrativi principali: l’omicidio della bibliotecaria di Buckhorne, il risveglio di Cooper nella loggia nera e la scatola di vetro. Se le ultime due sottotrame scoprono un legame profondo verso la fine del secondo episodio, l’omicidio di Ruth Davenport sembra seguire una tematica più immanente, sulla scia dello stile di Fargo, ma è anche il pretesto per portare sullo schermo il personaggio del Doppelganger di Dale Cooper, uscito dalla loggia nera nell’ultimo episodio della seconda stagione e probabilmente guidato ancora dallo spirito di Bob. Per venticinque anni Bob si sarebbe quindi aggirato tra gli umani con le sembianze dell’agente dell’FBI, ma qualcosa viene a reclamare il conto: è la loggia nera che chiede indietro il suo figlio più violento. Questo è probabilmente il motivo della presa di coscienza dello spirito di Coop, ancora rinchiuso nella loggia nera, che, aiutato da alcuni personaggi storici presenti come spiriti all’interno della loggia, tenta di sfuggire al piano metafisico prima che Bob vi faccia ritorno. Non è chiaro se lo sviluppo contorto della sua vicenda sia effettivamente il decorso naturale della scadenza dei venticinque anni o se la mediazione degli spiriti abbai contribuito ad infrangere le norme della loggia. Io propendo più per la seconda ipotesi e successivamente vi spiegherò le mie motivazioni, ma per farlo è necessario introdurre la scatola di vetro. Probabilmente l’elemento più enigmatico di questi primi due episodi, della teca in questione sappiamo che è uno strumento voluto da un magnate misterioso, che alcuni ragazzi sono stati assoldati per osservarla incessantemente e che uno di loro, prima di lasciare l’impiego, ha visto qualcosa entrare dall’oblò sulla città di New York. Al di là di una realizzazione tecnica degli interni meravigliosa, lo strumento assume un significato in seguito all’ultima sequenza riguardante il ritorno dell’originale Dale Cooper, il quale precipita nel pavimento della loggia e si ritrova a fluttuare al di fuori dell’oblò, per poi entrare nella teca e subire una serie di mutamenti meccanici prima di scomparire nuovamente. E su quello che accade dopo che vorrei concentrarmi, ossia sulla comparsa dello spirito nero che uccide brutalmente i due amanti. Una somiglianza anatomica con il “volto” dell’albero potrebbe legare l’essere alla loggia e quindi spiegare la natura dell’uscita di Coop dal piano metafisico. In questa teoria sperimentale, l’agente Cooper avrebbe infranto l’ordine della loggia riuscendo ad evadere e l’albero avrebbe assunto delle sembianze umanoidi per poter inseguire la pecorella smarrita. L’essere oscuro che appare nella teca potrebbe essere una personificazione reale dell’albero, concepita allo scopo di eliminare coloro che infrangono la legge della loggia. L’albero, come escrescenza autonoma del braccio di Mike, potrebbe essere puro male, una delle entità più influenti all’interno della loggia nera, in contrasto con Bob per la supremazia all’interno del piano metafisico o in combutta con più noto spirito maligno. In ogni caso avrebbe molte ragioni per inseguire il vero Dale Cooper, perché solo se Bob rientra nella loggia nera Dale può tornare alla realtà.


All’esterno del trittico narrativo sul quale si fondano queste due puntate, vengono presentate diverse situazioni apparentemente autonome, che nascondono dei collegamenti diretti con la trama principale che sembra essere quella legata al ritorno di Bob nella loggia nera. Tra le sottotrame più interessanti ricordiamo l’opera di Hawk, che potrebbe essere entrato nella loggia in salvaguardia della sua eredità.


Twin Peaks è tornato, Lynch è tornato e lo ha fatto con arte pura a servizio di una magnifica narrazione. Il momento nostalgico del ritorno dei protagonisti delle prime due stagioni c’è stato, ma è stato intelligentemente diluito nel corso dei primi due episodi per sfociare nell’ultima meravigliosa sequenza sulle note di “Shadows”.

“James is still cool,
He’s always been cool.”

Quello che gli autori hanno promesso di realizzare, quello che avevano da sempre rivendicato contro una chiusura anticipata si sta effettivamente concretizzando. E questa serie, oltre la dimensione televisiva che la lega alle due precedenti stagioni, si pone come summa definitiva dell’opera filosofica-artistica del maestro David Lynch. Se queste prime due puntate fossero un film, staremmo parlando della rivelazione cinematografica dell’anno, della mano più posata del cinema. Allora riconosciamo a Lynch la superiorità palese che ogni sua inquadratura esprime. Non tutti potranno seguirlo, in pochi potranno capirlo, nessuno potrà scalfirlo.


Note sparse a margine:


Da un dialogo tra il doppelganger di Dale Cooper e la moglie del preside di Buckhorne veniamo a sapere che quest'ultima è stata guidata da uno spirito per un periodo indefinito. Lo spirito in questione potrebbe essere quello completamente nero che si intravede per pochi secondi nella cella accanto a quella del preside.
In ogni caso possiamo affermare che se muore il corpo che ospita uno spirito mentre questo vi alloggia, anche lo spirito subisce la stessa sorte.

Le entità che abitano la loggia sotto le sembianze di personaggi reali delle prime due stagioni (Laura e Leland Palmer) hanno probabilmente mantenuto una forma umana all'interno del piano metafisico, ma non possono esistere al di fuori di esso. La mancanza di un tempo causerebbe l'impossibilità della dipartita delle anime. La scena in cui Laura si mostra confusa sulla sua identità e successivamente svela la sua vera natura mistica togliendosi il volto mostra l'essenza globale a cui le anime appartengono quando vengono rinchiuse nella loggia e successivamente perdono i loro corpi umani. Un'entità unica che si manifesta con le forme degli spiriti rimasti rinchiusi nella loggia.


Catherine E. Coulson, l'attrice che interpreta la signora ceppo, è venuta a mancare nel settembre 2015 dopo una lunga malattia. La scene che la vedono protagonista in queste due puntate sono state girate proprio nel 2015, poco prima che morisse, prima ancora che Lynch iniziasse a girare la terza stagione. Lo stato di salute del personaggio era, all'epoca, probabilmente lo stato di salute della donna, ma la malattia non ha arginato la voglia di essere parte di questo storico progetto, e l'amicizia decennale con il regista ha fatto il resto. Questa storia mi ha convinto di due cose: Lynch ha sempre avuto in mente la sua creatura, non aveva bisogno d'altro che dei mezzi per realizzare la sua arte, e Twin Peaks vale più di cento Black Mirror.

Nessun commento: