giovedì 9 marzo 2017

T2: TRAINSPOTTING È UN FILM INUTILE?

Sono ormai passate due settimane dall’uscita di “T2: Trainspotting” ma il dibattito acceso sull’utilità della pellicola non accenna a placarsi. Entrambi i partiti - coloro a cui il film è piaciuto, quelli che l’hanno odiato ancor prima di entrare in sala - si muovono dall’assunto dell’inutilità del ritorno di Rent e i suoi compagni di siringa. Io credo le due opere siano da intendere profondamente legate, come i due volumi di Kill Bill o i film dedicati a Davy Jones, e da questa certezza bisogna partire per provare ad interpretare il messaggio di un film enorme come Trainspotting 2.


Le droghe non fanno lo stesso rumore di un tempo, oggi sono altre le dipendenze che segnano la vita degli individui, sono i social, la certosina creazione e cura dell’isola che non c’è, nella quale siamo tutti abbronzati, tutti impegnati, tutti sorridenti. È però il Porno, l’altra vita che abbiamo e nascondiamo, a determinare davvero la nostra direzione, ciò che singolarmente andiamo perdendo, globalmente smarrito da tempo. Cerchiamo il guadagno, lo status, senza curarci dell’altro. Il primo capitolo di Trainspotting metteva in luce proprio la superiorità dell’occasione sui legami nel momento del tradimento. Ma non abbiamo mai smesso di ricercare l’idillio di una vita pacata, in compagnia dei nostri amici d’infanzia, nella vecchia e confortevole Edimburgo. Alla luce di questo, l’eroina, protagonista del film del ’96, è solamente un passaggio nello sviluppo della tematica centrale, ovvero la dipendenza dai legami, contrapposta alla spietatezza di un mondo famelico.
Ci si rende immediatamente conto che in realtà lo scippo che chiudeva le avventure dei ragazzi di un tempo ha segnato le vite dei protagonisti più per il tradimento di un’amicizia fondamentale, che per l’effettiva perdita economica. Un trauma che ha segnato la fine della gioventù bruciata e l’inizio di un percorso di stenti alla ricerca del giardino dell’Eden passato. Una corsa contro il tempo che il cronometro vincerà sempre. Vent’anni dopo i ragazzi di Trainspotting sono uomini assenti, personaggi scissi che non riescono a partecipare alla farsa dell’attualità, ma allo stesso tempo hanno perso il senso della loro diversità. E ciò che resta è una spietata resa dei conti per attribuire le colpe di un crollo verticale senza precedenti.


T2 è un’opera che riesce a riaprire le porte di un cult senza tempo, dando un senso diverso al suo predecessore e ponendosi l’obiettivo di realizzare un progetto incompiuto. Crea una plausibile necessità e la soddisfa, nella cornice di una realizzazione tecnica fenomenale. Nell’ottica della ricostruzione di un passato più antico del primo film, è logico aspettarsi da questa pellicola un occhio particolare per le immagini delle origini dei protagonisti, che non solo riescono brillantemente a rigenerare un film appartenente ad un’altra generazione, ma creano pure una nuova sinergia tra i personaggi. Questa costruzione, segnata da intenti precisi e legittimi, si serve senza misteri di un profondo e radicato fan service, che saprà colpire al cuore i più affezionati.


Alcune sequenze, come i ricordi di Spud o le scene conclusive, sulle note della meravigliosa Silk, riescono a rendere appieno quel senso di nostalgia per una vita che non è andata come doveva andare, e ha lasciato immancabilmente un buco nel torace dello spettatore e dei quattro protagonisti. Riuscire ad empatizzare è necessario per dare corda ad una scrittura poco innovativa. Presa singolarmente, la sceneggiatura di questo secondo capitolo potrebbe risultare banale, scontata e a tratti forzata, ma il lavoro emotivo che regge l’apparato non può mancare nell’approccio a questo gradito ritorno.
Una delle critiche più frequentemente mosse a Trainspotting 2 è che il seguito non sarà mai all’altezza del primo. Il secondo capitolo non raggiungerà mai l’opera prima per l’assenza di un impatto sociale così estremizzato, per la mancanza di situazioni realmente iconiche, per la collocazione che ha avuto in questo mercato cinematografico e per il culto che invece era riuscito a generare il suo predecessore. Ma non per questo deve essere messo ideologicamente in secondo piano. La dipendenza del primo era tangibile, manifestazione di un disagio generazionale che scatenava una reazione. La dipendenza del secondo capitolo è invece subdola e si nasconde dietro l’apparente sensazione di benessere e appagamento che dà l’essere succubi di una società malsana, malata. Un mondo che uccide l’ideologia e vive del ricordo di un passato irraggiungibile avvelena per sempre la ricerca della felicità. L’eroina era un altro modo per morire. Postare foto con le orecchie da cane è un altro modo per morire.
Scegliere la vita oggi è quanto di più lontano possibile dalla felicità. 

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