sabato 18 marzo 2017

LO STATO SOCIALE, STAVOLTA NO

Due anni fa andai al concerto di Natale di Rock TV a Milano perché gratuito e potei finalmente osservare da vicino il fenomeno “Lo Stato Sociale”. Un tripudio di energia, nonsense e voglia irrefrenabile di essere qualcosa di diverso. Cosa è rimasto oggi dei tratti caratteristici della band di Bolo?


Dopo una pausa di riflessione, condita da un libro e qualche spettacolo teatrale, il gruppo torna ad incidere un album in studio. “Amore, lavoro e altri miti da sfatare” arriva quasi tre anni dopo “L’Italia peggiore”, che era riuscito ad ampliare il pubblico di Lodo e compagni, ma allo stesso tempo aveva rappresentato un passo indietro nelle intenzioni della band, che aveva giustificato la mancanza di un’ambizione artistica palese dietro la scusa delle “canzonette”. Il secondo album aveva trasformato il gruppo in un vero e proprio fenomeno di massa; orde di giovanissimi spinti a canticchiare, scrivere sui muri i loro testi talvolta insensati, talvolta così superficiali da sembrare profondissimi. Ero tra i fan della prima ora, non della primissima, e riconobbi un calo nel secondo lavoro, pur apprezzando molto i toni, lo stile e il senso dell’opera. Era una piccola produzione che non si prendeva sul serio, ma riusciva a coinvolgere, a restare impressa nelle menti degli ascoltatori.
Al suddetto concerto di Natale, durante l’esibizione de Lo Stato Sociale, si scatenò sotto il palco un delirio memorabile. Persi i miei amici nella calca, rimediai qualche gomitata gratuita e mi bagnai del sudore di altri. ma il pubblico intero cantava i loro testi a memoria. Era segno che qualcosa stava cambiando. In meglio per i ragazzi, in peggio probabilmente per la musica e i puristi della nicchia. Era una svolta, quantomeno riusciva a modificare il registro del primo album quel tanto da giustificare un nuovo tour, una nuova attenzione mediatica e popolare.


Pochi giorni fa ha visto la luce il loro terzo lavoro in studio, e stavolta non è andata esattamente come ci si poteva auspicare. “Amore, lavoro e altri miti da sfatare” perde decisamente la bussola, perde l’anima irriverente, il tono sincero e genuino, la musicalità elettronica fresca e accattivante. Perde Lo Stato Sociale che aveva saputo conquistare un posto nella mia libreria musicale per seguire in toto la svolta iniziata con il precedente album e votarsi definitivamente all’approvazione del grandissimo pubblico. Manca completamente la volontà di stupire l’ascoltatore, soppiantata dalla necessità del consolidamento di uno stile sicuro, ma la musica è ben altro: il passo verso l’innovazione è breve, ma decisivo. Lo Stato Sociale non ha saputo rinnovare un format stantio, ormai obsoleto in un panorama indie italiano frenetico, segnato dalle esperienze musicalmente superiori di Iosonouncane, Cosmo e Motta. Anche i testi perdono il loro mordente, eccedendo nelle due dialettiche discorsive che il gruppo ha intrapreso da tempo con un’ipotetica figura femminile e con una fetta stanca della gioventù affumicata italiana, segnata dalla crisi dei trent'anni, o dalla fine dei vent'anni.


Niente di nuovo sotto il sole, pochi synth ripetuti in differenti pezzi, pochi guizzi e un disinteresse crescente che lascia una voglia impalpabile di continuare a sperare in un gruppo probabilmente sopravvalutato nel suo breve percorso artistico. Possiamo ricollegare il successo del primo album - e parzialmente del secondo - ad una mancanza discografica, all’interno della quale Lodo and Friends era stati capaci di inserire perfettamente le loro qualità non eccelse, rendendo probabilmente al si sopra delle loro reali possibilità. Un colpo a salve è un lusso concedibile a chiunque, a lasciare interdetti è piuttosto una parabola discendente che ha coinvolto il rapporto stesso del gruppo con i suoi fan e conseguentemente il clima infame che si è creato attorno ai ragazzi in questo ultimo periodo. Lo stesso Lodo, frontman della band, aveva ironicamente chiesto sui social che gli fosse spiegata la motivazione della cattiveria dei detrattori. Prendendo le distanze dai frustrati di tastiera inabili all’argomentazione, posso ritrovare in una mancanza di meriti e nell’incongruente costanza di atteggiamento il connubio giusto di cause scatenanti per una reazione che sintetizza un malessere generale verso un’esperienza graffiante, dissacrante e malamente lasciata per strada.


L’autoironia ha un limite, quando si raggiungono determinati traguardi, mostrando interessanti doti differenti dalla massa, è il momento di compiere una scelta: alzare l’asticella o ammettersi Rovazzi.

Se Lo Stato Sociale ha scelto il suo nome giocando ironicamente sulle mancanze della nostra società imborghesita, il titolo di quest’album potrebbe essere tranquillamente “Musica, innovazione e altre capacità da RItrovare”.

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