martedì 12 aprile 2016

KIKI, CONSEGNE DI MATURITÀ

Riprendiamo il nostro percorso d’analisi dei simboli, delle metafore e dei messaggi dei lavori del maestro Miyazaki con "Kiki, Consegne a Domiciclio”, uscito nelle sale nipponiche nel 1989 e riproposto in Italia soltanto nel 2013.
Nell’universo di Kiki, del tutto simile al nostro, esistono le streghe, ma non sono le vecchie megere dei racconti grotteschi che ci tenevano svegli da bambini, bensì ragazze dotate di poteri magici che, seguendo la tradizione delle loro antenate, contribuiscono al benessere della comunità prendendosi in affidamento una specifica città. Kiki è una di loro e la regola vuole che le streghe, raggiunta l’età di tredici anni, vadano via di casa per trovare fortuna, maturare e diventare consapevoli delle proprie possibilità.


Questo lungometraggio, a differenza dei precedenti due analizzati, non cerca di creare una mitologia mistica attorno alla quale costruire una storia fondata sulle antiche leggende del paese del Sol Levante, ma si limita alla presenza delle streghe per quanto riguarda la componente fantasiosa dell’opera. Il resto della costruzione scenica appare molto vicino alla nostra concezione di normalità. Questa scelta stilistica di Miyazaki riduce le possibilità di un’analisi incentrata prettamente sull’interpretazione delle metafore magiche e caratteristiche, ma ciò non toglie al film un secondo livello interpretativo notevole e interessante da trattare.
Fin dal principio, nonostante l’atmosfera pacata che si respira nella propria abitazione, la protagonista sembra intenzionata a partire per diventare se stessa. Nonostante la volontà dei genitori di trattenerla, seppur ancora per poco, Kiki dimostra una smania incontrollata di prendere sottobraccio Jiji e di andare a ricercare la sua città. È emblematico che il mezzo attraverso cui la piccola straghetta può spiccare il volo e allontanarsi dal nido familiare sia proprio la scopa della madre, che, dalle linee di dialogo che seguono la sequenza relativa all’oggetto, sembrerebbe essere appartenuta anche ad altre streghe prima di Kokiri. In questo modo, seppur covando in sé i più profondi moti di ribellione all’ordine, non è possibile spiccare il volo della maturità senza le basi della famiglia, gli antenati, le tradizioni e tutto ciò che è stato e che ha formato la protagonista. Ovunque vada nel mondo, porterà sempre con sé un pezzo della madre che ormai le appartiene, che è parte di lei. E per quanto tenti e tenterà invano, non è possibile rompere questo rossastro orizzonte, anche se gli si voltano le spalle.
Altro elemento che la protagonista porta con sé è la radio. In questo caso l’interpretazione della cosa appare più torbida e per comprendere al meglio la metafora bisogna analizzare la situazione in cui la protagonista sta per finire: una ragazzina di tredici anni si appresta a trasferirsi in una nuova, enorme città, ad andare a vivere da sola per realizzarsi come persona e come strega. Questa condizione prossima non può che allontanare Kiki dal mondo che fino a quel momento l’ha circondata di attenzioni, ha soddisfatto i suoi bisogni e l’ha fatta sentire a casa. Perdere questa dimensione significa perdere casa, perdere le parole di conforto delle persone vicine per cercarne di nuove e più personali. In questo processo è inevitabile il rischio di smarrire un contatto con la realtà in una chiusura naturale nell’animo che si fredda. Attraverso la radio, la protagonista porta con sé la voce del mondo e la possibilità di prendere in prestito sempre una parola di conforto che vola nell’aria, di acciuffarla volando proprio sulla scopa della madre.


L’opera, una volta superata la fase preparatoria della partenza della giovane, si presenta come un’opera di formazione incentrata sulle difficoltà che emergono naturalmente in un percorso di formazione e soprattutto di emancipazione. Non è un caso infatti che Miyazaki abbia optato per una figura femminile in questo suo lavoro, tornando a seguire una tendenza che si era rotta con Nausicaa diversi anni prima. L’obiettivo di Kiki è quello di dimostrare a sé stessa e agli altri di essere in grado di trovare una sua dimensione e personale all’interno della quale cominciare a svilupparsi e a creare la sua storia. Quello a cui va in contro, nella ricerca della libertà di espressione vitale, è la perdita dell’equilibrio consolidatosi in anni di vita in famiglia. Ora Kiki deve riuscire a conciliare nuovi impegni, nuovi spazi. Deve riuscire a sbocciare nonostante i massi che la vita le pone sul fragile capo. Un esempio di questa mancanza di equilibrio è la situazione in cui la protagonista si trova in occasione della consegna dell’anziana nonnina, personaggio ormai ricorrente nelle opere di Miyazaki. In questo frangente la streghetta deve ritirare un pacco da una signora per poi consegnarlo alla nipote della stessa; allo stesso tempo però, dopo le prime difficoltà relazionali, Kiki ha ricevuto un invito per una festa da parte del giovane e scapestrato Tombo. La necessità di sostenersi economicamente, la responsabilità di dover badare a se stessa e la moralità della correttezza avranno il sopravvento sul desiderio e sulla necessità spirituale. In questo modo la ricerca di spazi di libertà rischia di limitare l’effettiva libertà della ragazza, conducendola ad una vita di responsabilità e asfissianti scadenze che rischia di accartocciarla sempre più su se stessa. Questo momento di difficoltà si manifesta anche e soprattutto nella circostanza della perdita dei poteri, evento traumatico sia per il fatto di smarrire la caratteristica necessaria all’adempimento della propria funzione, sia perché ciò la allontana dal gatto parlante Jiji, ultimo amico sincero rimastole.
In questa situazione tragica per la protagonista si inserisce un dialogo fondamentale per le comprensione della natura della crisi magica di Kiki. Parafrasando: dopo essere tornata a fare visita all’anziana signora della torta, la protagonista viene interrogata riguardo la sua natura e il suo scopa nel mondo. La sua risposta tira in ballo l’elemento sanguigno, e questa teoria viene confermata dalla curiosa interlocutrice. Secondo la pesante e opprimente versione di Kiki, ognuno sarebbe destinato a svolgere un determinato ruolo nel mondo a prescindere dalla propria volontà perché condizionato dal sangue dei propri avi. In quest’ottica il futuro della protagonista sarebbe già scritto e ciò renderebbe l’emancipazione una vana forma vuota, un giro di vita nella melma della predestinazione. Si riversa così sui figli il peso delle scelte dei genitori. Ciò giustificherebbe in qualche modo l’alienazione giunta in concomitanza con l’evoluzione della condizione umana negli ultimi secoli.
Quella di Kiki sembra una situazione buia senza vie d’uscita. Le uniche parole di conforto che riescono a raggiungerla sono quelle della giovane pittrice che la invita a perseguire per la sua strada, slegandosi dai vincoli che la rinchiudono, alla ricerca di se stessa e dell’interiorità che viene espressa al meglio dal quadro futurista che scorre come il vento. Il vento sarà fondamentale per la redenzione e il ritorno alla sua soggettività; un vento che si personificherà nella figura del giovane Tombo. Questo vento leggero, che si insegue e raggiunge infine la protagonista dopo vari episodi nel corso dell’opera, risveglia la coscienza e la speranza della giovane Kiki, ricordandole di essere altro dai propri genitori, mostrandole la sua strada. È proprio mediante quest’elemento naturale che avviene la svolta finale che permette alla protagonista di riacquistare i poteri e salvare la situazione. La natura si presenta ancora come mediatrice e rivelatrice dopo le situazioni analizzate nei due precedenti lungometraggi.



Nel finale avviene però un altro evento imprevisto: negli ultimi attimi, tra la folla in tripudio per il salvataggio di Tombo, Kiki ritrova Jiji, il quale però continua a non parlare il linguaggio umano, nonostante la streghetta abbia recuperato i poteri. Come dobbiamo interpretare questo elemento in contraddizione con le aspettative di un lieto fine? A mio avviso il gatto rappresenta, con la sua seconda presenza muta, l’elemento di discontinuità che serviva a rimarcare la maturazione libera e definitiva della protagonista. Attraverso questo cambiamento significativo possiamo intendere, senza parole, che Kiki sia tornata ad essere la stessa di prima, ma cambiando, slegandosi dai vincoli ed aprendosi ad una realtà che prima le sembrava preclusa dall’ombra gravosa delle aspettative della tradizione. Kiki è finalmente giunta ad essere se stessa attraverso un lungo e tortuoso processo nel quale tutti i personaggi hanno svolto un ruolo, seppur minimo. È la vita che, affrontata nella maniera corretta, lasciandosi trasportare dal vento del movimento interiore, ha portato la libera protagonista nella sua oasi, ha regalato lei lo spazio della libertà.

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