Riprendiamo il nostro percorso d’analisi dei simboli,
delle metafore e dei messaggi dei lavori del maestro Miyazaki con "Kiki,
Consegne a Domiciclio”, uscito nelle sale nipponiche nel 1989 e riproposto in
Italia soltanto nel 2013.
Nell’universo di Kiki, del tutto simile al nostro,
esistono le streghe, ma non sono le vecchie megere dei racconti grotteschi che
ci tenevano svegli da bambini, bensì ragazze dotate di poteri magici che,
seguendo la tradizione delle loro antenate, contribuiscono al benessere della
comunità prendendosi in affidamento una specifica città. Kiki è una di loro e
la regola vuole che le streghe, raggiunta l’età di tredici anni, vadano via di
casa per trovare fortuna, maturare e diventare consapevoli delle proprie
possibilità.
Questo lungometraggio, a differenza dei precedenti due
analizzati, non cerca di creare una mitologia mistica attorno alla quale
costruire una storia fondata sulle antiche leggende del paese del Sol Levante,
ma si limita alla presenza delle streghe per quanto riguarda la componente
fantasiosa dell’opera. Il resto della costruzione scenica appare molto vicino
alla nostra concezione di normalità. Questa scelta stilistica di Miyazaki riduce
le possibilità di un’analisi incentrata prettamente sull’interpretazione delle
metafore magiche e caratteristiche, ma ciò non toglie al film un secondo
livello interpretativo notevole e interessante da trattare.
Fin dal principio, nonostante l’atmosfera pacata che si
respira nella propria abitazione, la protagonista sembra intenzionata a partire
per diventare se stessa. Nonostante la volontà dei genitori di trattenerla,
seppur ancora per poco, Kiki dimostra una smania incontrollata di prendere
sottobraccio Jiji e di andare a ricercare la sua città. È emblematico che il
mezzo attraverso cui la piccola straghetta può spiccare il volo e allontanarsi
dal nido familiare sia proprio la scopa della madre, che, dalle linee di
dialogo che seguono la sequenza relativa all’oggetto, sembrerebbe essere
appartenuta anche ad altre streghe prima di Kokiri. In questo modo, seppur
covando in sé i più profondi moti di ribellione all’ordine, non è possibile
spiccare il volo della maturità senza le basi della famiglia, gli antenati, le
tradizioni e tutto ciò che è stato e che ha formato la protagonista. Ovunque
vada nel mondo, porterà sempre con sé un pezzo della madre che ormai le
appartiene, che è parte di lei. E per quanto tenti e tenterà invano, non è
possibile rompere questo rossastro orizzonte, anche se gli si voltano le spalle.
Altro elemento che la protagonista porta con sé è la
radio. In questo caso l’interpretazione della cosa appare più torbida e per
comprendere al meglio la metafora bisogna analizzare la situazione in cui la
protagonista sta per finire: una ragazzina di tredici anni si appresta a
trasferirsi in una nuova, enorme città, ad andare a vivere da sola per
realizzarsi come persona e come strega. Questa condizione prossima non può che
allontanare Kiki dal mondo che fino a quel momento l’ha circondata di attenzioni,
ha soddisfatto i suoi bisogni e l’ha fatta sentire a casa. Perdere questa
dimensione significa perdere casa, perdere le parole di conforto delle persone
vicine per cercarne di nuove e più personali. In questo processo è inevitabile
il rischio di smarrire un contatto con la realtà in una chiusura naturale
nell’animo che si fredda. Attraverso la radio, la protagonista porta con sé la
voce del mondo e la possibilità di prendere in prestito sempre una parola di
conforto che vola nell’aria, di acciuffarla volando proprio sulla scopa della madre.
L’opera, una volta superata la fase preparatoria della
partenza della giovane, si presenta come un’opera di formazione incentrata
sulle difficoltà che emergono naturalmente in un percorso di formazione e
soprattutto di emancipazione. Non è un caso infatti che Miyazaki abbia optato
per una figura femminile in questo suo lavoro, tornando a seguire una tendenza
che si era rotta con Nausicaa diversi anni prima. L’obiettivo di Kiki è quello
di dimostrare a sé stessa e agli altri di essere in grado di trovare una sua
dimensione e personale all’interno della quale cominciare a svilupparsi e a
creare la sua storia. Quello a cui va in contro, nella ricerca della libertà di
espressione vitale, è la perdita dell’equilibrio consolidatosi in anni di vita
in famiglia. Ora Kiki deve riuscire a conciliare nuovi impegni, nuovi spazi.
Deve riuscire a sbocciare nonostante i massi che la vita le pone sul fragile
capo. Un esempio di questa mancanza di equilibrio è la situazione in cui la
protagonista si trova in occasione della consegna dell’anziana nonnina, personaggio ormai ricorrente nelle opere di Miyazaki. In questo frangente la
streghetta deve ritirare un pacco da una signora per poi consegnarlo alla
nipote della stessa; allo stesso tempo però, dopo le prime difficoltà
relazionali, Kiki ha ricevuto un invito per una festa da parte del giovane e
scapestrato Tombo. La necessità di sostenersi economicamente, la responsabilità
di dover badare a se stessa e la moralità della correttezza avranno il sopravvento
sul desiderio e sulla necessità spirituale. In questo modo la ricerca di spazi
di libertà rischia di limitare l’effettiva libertà della ragazza, conducendola
ad una vita di responsabilità e asfissianti scadenze che rischia di
accartocciarla sempre più su se stessa. Questo momento di difficoltà si
manifesta anche e soprattutto nella circostanza della perdita dei poteri,
evento traumatico sia per il fatto di smarrire la caratteristica necessaria all’adempimento
della propria funzione, sia perché ciò la allontana dal gatto parlante Jiji,
ultimo amico sincero rimastole.
In questa situazione tragica per la protagonista si
inserisce un dialogo fondamentale per le comprensione della natura della crisi
magica di Kiki. Parafrasando: dopo essere tornata a fare visita all’anziana
signora della torta, la protagonista viene interrogata riguardo la sua natura e
il suo scopa nel mondo. La sua risposta tira in ballo l’elemento sanguigno, e
questa teoria viene confermata dalla curiosa interlocutrice. Secondo la pesante
e opprimente versione di Kiki, ognuno sarebbe destinato a svolgere un
determinato ruolo nel mondo a prescindere dalla propria volontà perché condizionato
dal sangue dei propri avi. In quest’ottica il futuro della protagonista sarebbe
già scritto e ciò renderebbe l’emancipazione una vana forma vuota, un giro di
vita nella melma della predestinazione. Si riversa così sui figli il peso delle
scelte dei genitori. Ciò giustificherebbe in qualche modo l’alienazione giunta
in concomitanza con l’evoluzione della condizione umana negli ultimi secoli.
Quella di Kiki sembra una situazione buia senza vie d’uscita.
Le uniche parole di conforto che riescono a raggiungerla sono quelle della
giovane pittrice che la invita a perseguire per la sua strada, slegandosi dai
vincoli che la rinchiudono, alla ricerca di se stessa e dell’interiorità che
viene espressa al meglio dal quadro futurista che scorre come il vento. Il
vento sarà fondamentale per la redenzione e il ritorno alla sua soggettività;
un vento che si personificherà nella figura del giovane Tombo. Questo vento
leggero, che si insegue e raggiunge infine la protagonista dopo vari episodi nel
corso dell’opera, risveglia la coscienza e la speranza della giovane Kiki, ricordandole di essere altro dai propri genitori, mostrandole la sua strada. È proprio
mediante quest’elemento naturale che avviene la svolta finale che permette alla
protagonista di riacquistare i poteri e salvare la situazione. La natura si
presenta ancora come mediatrice e rivelatrice dopo le situazioni analizzate nei
due precedenti lungometraggi.
Nel finale avviene però un altro evento imprevisto: negli
ultimi attimi, tra la folla in tripudio per il salvataggio di Tombo, Kiki
ritrova Jiji, il quale però continua a non parlare il linguaggio umano,
nonostante la streghetta abbia recuperato i poteri. Come dobbiamo interpretare
questo elemento in contraddizione con le aspettative di un lieto fine? A mio
avviso il gatto rappresenta, con la sua seconda presenza muta, l’elemento di
discontinuità che serviva a rimarcare la maturazione libera e definitiva della
protagonista. Attraverso questo cambiamento significativo possiamo intendere,
senza parole, che Kiki sia tornata ad essere la stessa di prima, ma cambiando,
slegandosi dai vincoli ed aprendosi ad una realtà che prima le sembrava
preclusa dall’ombra gravosa delle aspettative della tradizione. Kiki è
finalmente giunta ad essere se stessa attraverso un lungo e tortuoso processo
nel quale tutti i personaggi hanno svolto un ruolo, seppur minimo. È la vita che,
affrontata nella maniera corretta, lasciandosi trasportare dal vento del
movimento interiore, ha portato la libera protagonista nella sua oasi, ha
regalato lei lo spazio della libertà.
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