lunedì 18 aprile 2016

ASTENSIONISMO E MILITARISMO AI TEMPI DEL REFERENDUM

Un referendum al veleno che ha fatto trepidare il quorum ad alcuni (pochi), lasciando indifferenti altri (troppi). E qui è necessario aprire una digressione importante: l’importanza del voto. Nel sistema democratico che abbiamo scelto, o che comunque ci siamo trovati ad affrontare, emerge spesso la mancanza di coinvolgimento pubblico nella “Cosa Nostra”, che sta diventando troppo spesso privata. I giovani si scontrano con un sistema difficile da contrastare e da penetrare, mentre i più adulti paiono ormai rassegnati che le cose vadano come stiano andando. E quando dico più adulti intendo quei giovincelli sulla quarantina con IPhone e risvoltino, i figli del capitalismo anni ‘90 che hanno un orticello rigogliosissimo. Ecco dunque spiegato il successo di quel movimento che sembra riaccendere la speranza in un futuro diverso, ma che ancor più velocemente la spegne. Ma ci torniamo dopo. Il punto è l’assunzione di responsabilità e l’annullamento del campo. L’ultimo baluardo della democrazia diretta, in un paese governato secondo un piano mai approvato, è il referendum abrogativo. Che sinceramente sembra poca cosa, e infatti è poca cosa, e proprio perché trattasi dell’ultima poca cosa democratica rimasta in una democrazia traballante, è bene non nascondersi dietro l’ombra della diffidenza e dell’indifferenza, che poi insieme coprono meno di un mignolo. Se questi Turisti della Democrazia cominciassero ad accogliere invece il peso della responsabilità di chiamarsi “cittadini” e riprendessero la posizione che gli spetta di dovere avremmo meno assenteisti e più campo. Così che, se un giorno questo fosse tutto campo, anziché tutta campagna, quelli che un tempo si fregiavano della loro discesa, verrebbero schiacciati dall’interesse degli ex disinteressati e non ci sarebbero più Self-made man salvatori della patria e di se stessi, e di se stessi.
L’indifferenza, la rinuncia al voto sono il più grande smacco per un sistema fondato sui cittadini, e non sui signori che siedono in poltrona. Perché se oggi siamo un piccolo paesino in recessione continua è anche grazie a coloro che “Tanto non cambia niente”. Perché abbiamo provato che girandoci di spalle non cambia niente. Proviamo invece ad affrontare la realtà dei fatti, a riprendere in mano il nostro paesino naufragato coi naufraghi, il nostro presente e di conseguenza il nostro futuro. Basta poco. Basta cominciare ad essere parte della macchina chiamata Stato.


Digressione importante chiusa. Perché tutto questo astensionismo per un referendum? Senza voler andare a scavare nella storia contemporanea del nostro paese, senza voler tirare in ballo numeri, Almiranti e Berlinguers, vorrei soffermarmi su due atteggiamenti differenti, ma altrettanto deleteri per la politica italiana: Renzi (o Napolitano) e Grillo.
Renzi, in qualità di Primo Ministro italico, ha bollato qualche giorno fa il referendum del 17 aprile come una bufala, invitando gli elettori all’astensione per favorire il partito del NO in vista del quorum. Ha insomma rimandato ancora il confronto, ha indicato ancora la via della rinuncia. E ci troviamo nuovamente a voltare le spalle alla cosa pubblica. Anche l’ex Presidente della Repubblica aveva espresso idee simili in un’intervista precedente. Questo atteggiamento condiviso è oltraggioso, inaccettabile. Quando due figure così importanti per la politica e il funzionamento della macchina statale guidano il carro del non voto, abbiamo fallito come paese, come congregazione di menti. Qualcosa ha fallito e siamo naufragati come complesso di vuoti in cui non arde più la gioia di creare qualcosa di stabile e vitale insieme, uomini soli. Le trivelle hanno trivellato anche noi, lasciandoci esanimi in balia di quello che vorrebbe essere chiamato stato e che ci spinge a non reagire, ad accontentarci di andare a fondo lentamente.
Per motivi simili vanno condannate le parole pronunciate da Grillo in quest’intervista al portale Fanpage.it. Riassumendo il discorso del comico, che torna a fare il comico dopo aver costruito un movimento, che poi in realtà è un partito (ma non ditelo ad alta voce), egli invita gli elettori ad andare alle urne per il referendum non perché interessati alla questione, non perché sensibili all’ambiente o convinti che un mondo diverso sia possibile a partire da queste piccole, insignificanti vittorie, ma perché lo dice lui, Grillo. Egli esorta a non soffermarsi tanto sulle questioni, quanto sui volti che cercano di convincere l’elettorato. Se da una parte il suo atteggiamento non andrebbe messo sullo stesso piano dell’astensionismo del cosiddetto “Premier” (virgolette sia per il termine improprio che per la figura), non è possibile accettare che nel 2016, dopo 155 anni dall’unità, in Italia si debba ancora andare a votare sulla fiducia. È la fiducia nelle facce perbene che ha annullato lo spirito critico, è la massificazione che ha cancellato l’identità politica e lasciato spazio al grande Centro in cui ogni giorno sembra una Guerra del Vietnam infinita e poi si taglia sempre lì, si nega sempre lì. E muore la dignità. Questo invito, che si avvicina di più ad un ordine da parte del generale Grillo, richiama quel periodo lontano in cui i diversamente pensanti del movimento venivano estradati e messi alla gogna mediatica e non. Andare a votare senza informarsi è tramutarsi completamente nell’ingranaggio che da anni cerchiamo di estirpare, è diventare quello che erano gli elettori di Berlusconi, che raccontava barzellette, e di Bossi, che raccontava barzellette. Ma in realtà non abbiamo mai smesso di trasformarci in meccanismo della macchina che non va dove dovrebbe e Berlusconi è ancora a piede libero e al posto di Bossi c’è Salvini. Quando si usa impropriamente il termine “evoluzione” (virgolette perché l’ultima evoluzione che ricordi è quella dal sapiens al sapiens al quadrato).


Probabilmente non era importante andare a votare per raggiungere il quorum e far vincere il partito del SI, di quelli che vorrebbero tamponare il violento accanimento dell’uomo su una Natura succube. Probabilmente era più importante andare a votare per dimostrare di voler ancora essere parte di qualcosa, di tenere al paese che ci ha dato i natali o che ci ospita, talvolta di cattivo grado, talvolta di cattivissimo. Ma così non è Stato, abbiamo ancora abbassato la testa. E allora forse ci meritiamo una classe amministrativa incompetente e inconcludente, un revisionismo storico forsennato volto ad innalzare la sva figura, un paese in declino, un futuro appannato, la disoccupazione giovanile al 38%, il Mezzogiorno desolato, l’odio razziale, la mala sanità, la mafia, la terra dei fuochi, le mazzette in Lombardia e questa natura morta che ci resta. We get the world we deserve. Ancora True Detective 2, che era una serie bellissima, e non l’avete capita, e anche questo paese era bellissimo, e non l’abbiamo capito.

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