La maturazione è quasi compiuta; ma maturazione non è
necessariamente sinonimo di perfezione, e questi due episodi di The Knick ne
sono l’esempio. La vicinanza della conclusione di questa convincente seconda
stagione comincia a farsi sentire più insistentemente nel ritmo, ma non nelle
trame e sottotrame che, esclusa quella legata a Thack, non sembrano ancora
voler tendere ad una chiusura degna di tale nome. Dubito quindi si possa
ottenere un finale soddisfacente dal punto di vista della conclusione delle
storie sviluppate finora - specialmente di quelle meno interessante e
oggettivamente a tratti tediose - ma Soderbergh sembra più indirizzato ad una
complesso di finali aperti e senz’altro drammatici e disfattisti, come la
negatività sviluppatasi nel doppio episodio in analisi oggi dimostra
ampiamente. Tutto sommato stiamo parlando di due puntate che alzano
ulteriormente il livello della seconda stagione, ma che soffrono di un evidente
problema di ritmo se analizzate in coppia: sembra quasi che le due siano state
invertite, non per contenuto, ma per stile di scrittura e regia. Nell’ottavo episodio
infatti accadono molti più eventi, i tempi sono ridotti e i personaggi non
riescono neanche ad elaborare le problematiche che li colgono decisamente
impreparati, mentre nel nono il ritmo sembra scemare verso una nuova situazione
di stallo apparente, propedeutica evidentemente alla valorizzazione del finale.
Escludendo però l’atto ultimo dalla riflessione specifica, mi trovo a dover
criticare, seppur non aspramente, questa scelta degli sceneggiatori.
Passiamo dunque, come di consueto, all’analisi dello
sviluppo delle varie storie che coinvolgono i protagonisti; e da dove partire
se non dal dottor baffo che, nel male e nelle disgrazie, pur sempre amiamo alla
follia? Thackery stavolta non riesce ad imporre appieno la sua superiorità
teorica (del personaggio) e recitativa (dell’attore) sul resto dei protagonisti
della vicenda, complice anche una scrittura frettolosa e poco credibile,
specialmente a cavallo tra i due episodi. L’evento su cui non posso sorvolare
in un’adeguata critica semisimilcinematograficaetelevisiva, nonostante non sia
mia intenzione fare spoiler clamorosi (anche se sia io che voi sappiamo che, se
siete qui, è perché le puntate le avete viste eccome), è la morte della
sciagurata Abigail. Un personaggio travagliato, sempre alla ricerca della
sopravvivenza, sempre puntando al minimo per vivere in pace, pur senza la
grazia, ma purtroppo colpito da una sciagura immonda fin dalla sua prima
apparizione. Una morte del genere è ammissibile, sì, ma il modo con cui è stara resa ha stonato in
maniera clamorosa. I tempi della morte, l’accettazione, le reazioni. Un
cliffanger interessante sviluppato in maniera quasi pessima che ha portato via
un personaggio senza riuscire davvero a smuovere la trama generale e senza
riuscire a prendere lo spettatore; sbigottimento immediato e reazionarie
escluso. Oltretutto non mi è ancora ben chiara la dinamica del decesso, ma
forse verrà spiegata in seguito. Magri si è trattato di un tragico errore
umano. Da quel momento in poi Thack è ricaduto nell’oblio della doppia
dipendenza e sembra essere ormai l’ombra di se stesso; disaffezione totale alla
vita. credo quindi che il finale provvederà in particolar modo a cambiare
questa situazione insostenibile, nel bene o nel male (ma credo più nel male -
ormai non mi fido più degli sceneggiatori).
Rimanendo nel Knickerbocker, Edwards ed Everett hanno
cominciato una vera e propria guerra, senza esclusione di colpi, neanche
fisici. In ogni caso il mio supporto, e credo anche quello del pubblico da
casa (che ogni tanto scelie anche Gesù), va indubbiamente per il medico afroamericano che, spero, non abbia
riportato gravi problemi dopo il colpo infertogli all’occhio già malconcio dal
finale della prima stagione. In compenso Everett ha sudato un tantino freddo in
occasione della spassosissima sequenza in cui la moglie, malata ma esilarante, ha
bellamente confessato di aver ucciso il medico psichiatra che le aveva cavato i
denti poco tempo addietro, appena prima di attentare alla vita di un secondo uomo, un detective
in azione, di cui ancora non abbiamo notizie. Fantastico siparietto comico
molto nero che riesce a far ridere di morte, malattia, omicidio e sofferenza.
Il giovane sostenitore dell’eugenia come teoria scientifica riconosciuta non ha
però perso tempo dopo l’internamente della moglie e l’ha immediatamente
rimpiazzata con la sorella, che a dire la verità sembra identica. Non mi
stupirei se le due attrici fossero davvero imparentate. Una sottotrama che ha
dunque aggiunto una componente interessante e divertente, ma che poco ha avuto
a che fare con la realtà dell’ospedale.
Tornando agli altri personaggi legati al Knick, Bertie
non si è fatto vivo se non per qualche operazione, mentre è stato riportato in
scena il padre della nuova e smaliziata Lucy, ma il tempo dedicato a questi
frangenti ha relegato tale sottotrama nella periferia della serie. Interessante
la storia d’amore mancata tra la suore e l’autista (anche se palesemente
telefonata e destinata a sbocciare con il tempo, vista anche la tenacia
dell’uomo) e divertenti le avventure sentimentali di Herman (personaggio più
detestato dell’intera serie) che, nonostante tutti i suoi sforzi, si ritrova
sempre e comunque ad essere nelle mani di qualcun altro.
La nota dolente più evidente di questo doppio episodio, a
parte forse il cattivo bilanciamento di alcune storie, è la forzata volontà di
allargare il contesto specifico della storia ad ambienti estranei a New York
attraverso le vicende epidemiche della famiglia Robertson e le indagini della
scontenta Cornelia. La realtà intima dell’ospedale e le storie personali dei
vari protagonisti avevano portato la serie ad assumere un’impronta
individualista e decisa su alcuni avvenimenti. Le stesse indagini
dell’ispettore della sanità durante la prima stagione mi erano infatti parse
forzate, lente e distaccate dal contesto. Ma il vero apice della forzatura è
stata l’imbarazzante sequenza, filtrata manco fosse una foto di instagram, in
cui ci viene mostrato un Thack senza baffi (e quindi indubbiamente molto più
giovane) alle prese con un epidemia in un paese esotico. In tale occasione ci
viene anche spiegata la relazione, quantomeno iniziale, tra il protagonista e
il Robertson padre. Scene decisamente fuori contesto, superflue e fuorvianti
per il corretto prosieguo della narrazione principale. Una piccola e breve
caduta di stile che non intacca però il livello complessivo.
Un grande merito però va riconosciuto ciecamente agli
sceneggiatori e allo stesso Soderbergh: riuscire a costruire una così
convincente stagione d’intermezzo tra l’esoridio e il tanto pubblicizzato
cambio di location non è da tutti; anzi è cosa rara. Fallire in questo senso e
dare vita ad un prodotto monotono e attendista sarebbe stato molto più facile
(vero, How i Met Your Mother stagione 9?).
La fine è ormai alle porte. Personalmente credo che
grandi giudizi definitivi e risoluzioni drastiche vengano rimandate alla terza, e spero non ultima, stagione. Intanto spero che Thack si risollevi dal lutto e
che Edwards non abbai riportato danni troppo gravi perché mi piacerebbe davvero vederlo nel nuovo Knick (ma ne dubito fortemente). Credo poi che un personaggio tra la suora e il
suo socio Tom vanga arrestato, e immagino anche possa scapparci il morto
illustre prima della fine per dare quel pepe percepito solo a tratti durante
questa complessa seconda stagione. L’hype s’impenna.
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