mercoledì 11 ottobre 2017

ELVIS E NIXON

Il film nasce da una mancanza storica: solamente quattro mesi dopo lo storico incontro nella stanza ovale Nixon si decide a tenere una registrazione degli incontri e delle riunioni tenuti alla Casa Bianca. Quattro mesi prima uno stanco e contrariato Elvis si era presentato all’ingresso nord-ovest dell’edificio presidenziale con una lettera scritta due suo pugno per chiedere di incontrare il presidente degli Stati Uniti, per ottenere un riconoscimento come agente federale aggiunto. Era il dicembre 1970, la fine di un’epoca e l’inizio di un nuovo mondo. “Elvis e Nixon” si propone di riscrivere quel tassello mancante della storia armonizzando il quadro con un copiosa dose di finzione. Elvis e Nixon, rispettivamente interpretati da Michael Shannon e Kevin Spacey, sono due uomini superati dai tempi che ritrovano nel loro confronto lo slancio per un’operazione delirante, quella che vede la star di Memphis lavorare in incognito nell’ambito della musica “comunista” grazie alle sue doti di trasformista. Attorno ad un incontro di pochi minuti viene anche ricamata una cornice che tenta di delineare un momento storico ben preciso, ma che rimane troppo sullo sfondo rispetto all’attrattiva dei due protagonisti.


Elvis è un uomo sovrastato dalla sua grandezza, alla caccia dei fantasmi che possano dare un senso ulteriore alla sua carriera, naufragata nelle serate a Las Vegas. Nixon è il presuntuoso repubblicano che ricordavamo dai reperti storici e dalle testimonianze. Se da una parte è il cantante a rappresentare la personalità più tridimensionale e interessante da scoprire, dall’altra il presidente è la figura più delineata e precisa con cui confrontarsi. Due scritture differenti per dare vigore ad un incontro-scontro tra due icone tanto simili quanto diverse; e proprio in questa tensione, alimentata dai personaggi dei rispettivi entourage, sta il fulcro dell’attenzione dello spettatore che entra nei tempi e nelle dinamiche del film e resta preso dalla voglia di scoprire l’esito dell’appuntamento segreto.



Al di là di una struttura semplice e coerente, il film si regge sulle interpretazioni dei due protagonisti, quantomeno encomiabile nel tentativo di rappresentare la storia americana senza scadere in imitazioni di bassa lega. Il personaggio di Elvis non ha un grande riscontro per il fatto che il cantante vivesse lontano dalle telecamere la sua decadenza artistica, ma per quanto riguarda Nixon il risultato è spettacolare, grazie ad un Kevin Spacey che completa il presidente nella sua interezza lontano dalle luci della stampa. Ci sono le famiglie, gli interessi, gli ideali trapassati, ma viene ridotto all’osso il legame dei due personaggi con l’attualità del 1970. A parte alcuni richiami - tra cui quello esilarante e tremendo sulla guerra tra Siria e Iraq - l’incontro sembra avvenire in una dimensione atemporale, che vive solo dell’eco dei reali problemi della politica internazionale successivamente alla guerra in Vietnam.



Ciò che emerge da questa caratterizzazione dei personaggi è un salvataggio in extremis di due personaggi e di un’epoca morente dopo il ’68: siamo consci dell’assurdità di alcune argomentazioni - tra cui l’astio di Elvis verso i Beatles -, ma non riusciamo a condannare fino in fondo queste posizioni per una simpatia intrinseca alla situazione surreale. Non è sicuro quanto questo effetto sia voluto, ma è innegabile un certo cerchiobottismo.

“Elvis e Nixon” è una commedia semplice ed efficace, quasi aristotelica nella sua costruzione unitaria, che non disperde le energie nella connotazione dello sfondo, ma che funziona per quello che riesce ad offrire, soprattutto dal punto di vista comico. Il peccato di non spingere quando ne avrebbe avuto l’occasione ridimensiona la portata di una satira sociale che spara spesso a salve.

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