venerdì 20 gennaio 2017

SHERLOCK - UN DEGNO FINALE?

Con un terzo episodio al cardiopalma, anche questa quarta stagione della serie britannica si è conclusa, lasciando aperte alcune piste minori, ma chiudendo sommariamente ogni filone narrativo aperto. Riportando a grandi linea la situazione della strana coppia Sherlock-John ad una condizione di equilibrio, come avevamo imparato ad apprezzarla nelle prime due stagioni, prima cioè della morte apparente di Sherlock e dell’arrivo di Mary.


Obiettivamente questo “Problema Finale”, se analizzato separatamente dal resto della serie, potrebbe sembrare esagerato in alcuni specifici frangenti, qualcosa che ormai travalica troppo le novelle di Sir Arthur Conan Doyle. Inserito invece nel contesto della serie, soprattutto a partire dai toni volutamente caricati che le piccole cose hanno cominciato ad assumere dopo la fine della seconda stagione, quest’ultimo episodio risulta perfettamente in linea con lo sviluppo voluto dagli sceneggiatori; uno sviluppo che ha da tempo lasciato la via della plausibilità per i palazzi mentali e le coincidenze improbabili. Superata una fase iniziale interdittoria, ma esageratamente coinvolgente, una volta che i protagonisti hanno raggiunto l’isola del manicomio criminale, la puntata inizia ad assumere i connotati di un videogioco, con una serie di enigmi utili ad avanzare di livello (o stanza). Questa struttura apparentemente lineare viene ad intrecciarsi però con altre due storyline: quella della bambina sull’aereo e quella relativa al passato di Sherlock. Questo agglomerato di eventi avvolge lo spettatore e lo conduce in un turbinio di emozioni forti scandite da un cronometro umano d’eccezione. Le luci, i suoni e la recitazione degli attori riescono a rendere alla perfezione la tensione della corsa contro il tempo, lasciando lo spettatore incantato davanti allo schermo. La tensione poi culmina nel più classico dei cliché, dopo una mossa inaspettata di Sherlock. A questo punto però, nel momento conclusivo del Problema Finale, gli sceneggiatori sembrano aver rinunciato alla solita ambizione per abbassare la conclusione del caso ad un livello più semplice. Abbiamo spesso assistito a episodi contraddistinti da più finali o diverse interpretazioni delle stesse scene poi indirizzate a far valere la superiorità del protagonista. In questo caso ciò non avviene e la prima soluzione si rivela essere quella esatta, per poi salvare la situazione di pericolo attraverso un deus ex machina dell’ultimo secondo, abilmente camuffato dal taglio del montaggio. Il finale del caso non riesce quindi a tenere viva la stessa tensione che aveva contraddistinto le sequenze precedenti. L'obiettivo era certamente quello di lasciar emergere l'umanità di due personaggi emotivamente apatici come Sherlock e Mycroft (nettamente il miglior personaggio di questo finale di stagione). Nonostante la scelta poco felice, resta però una rivelazione sconvolgente a pochi minuti dal finale che mi ha davvero raggelato il sangue nelle vene, regalato un brivido lungo la schiena.


Dal punto di vista qualitativo invece la puntata rappresenta la perfetta conclusione di un percorso artistico cominciato con la prima stagione, sviluppatosi con la svolta registica della terza ed esploso definitivamente con questa quarta. Ogni elemento tecnico è nettamente superiore alla media delle altre serie tv. Movimenti di macchina, inquadrature, scenografie. Due su tutte la scena della bara e quella in cui Sherlock abbatte la parete fasulla per scoprire di trovarsi dove tutto ha avuto inizio.
Un episodio insomma che riassume perfettamente la storia e lo sviluppo di questo show: una qualità immensa a servizio di una narrazione mozzafiato, condita da piccole defiance.

Da "Uno studio in rosa".
Ciclicamente tutto si chiude.


Ma siamo davvero di fronte all’ultimo capitolo di questa saga storica? Forse. Come ovviamente saprete, i tempi di una serie peculiare come Sherlock sono totalmente diversi da quelli di qualunque altra serie. Quattro stagioni in quasi sette anni lo dimostrano. I tempi dipendono in larga parte dagli impegni altri dei protagonisti e forse questa gestazione complessa non rappresenta tanto una debolezza quanto un punto di forza, visto il successo crescente che il programma ha ottenuto in questi anni. Detto questo, come già accennato nell’introduzione, tale Problema Finale, già a partire dal nome, si pone come chiusura di una serie di sottotrame aperte e lascia lo spettatore con un finale che potrebbe essere letto alla luce della serializzazione letteraria di Arthur Conan Doyle. Sembra che una ritrovata comunione tra i protagonisti possa aprire le porte ad una serie di avventure che noi non vedremo, ma che potremo immaginare. Non vedremo più Sherlock e John alle prese con intricati intrighi internazionali, ma sapremo sempre che essi vivono. Nella Londra metropolitana della serie loro continueranno a risolvere misteri insoluti, con la consueta dose di esagerazione. In perfetto stile Sherlock. E a me questo basta per dirmi felice di una degna conclusione.

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