venerdì 5 agosto 2016

DOWN - PRIMO GIORNO

Anf.. anf… La gamba è il mio primo pensiero. Mi duole terribilmente; un dolore lancinante, un migliaio di insetti famelici che divorano avidamente l’osso e il muscolo che lo circonda. Fa male, deve essere rotta, credo. La luce è accecante. Il caldo umido si sente sulla pelle e sulle labbra: in che mese siamo? Luglio, ma non ne sono sicuro. Non sono sicuro di nulla. Provo a ricordare, la testa mi fa male, forse una botta, un gonfiore, smetto di pensare. Svengo.



Mi risveglio. Devono essere passate delle ore perché il sole è fuggito, ora una luce biancastra mitiga il buio di una notte senza stelle. Poggio le mani, è friabile. Terra, tocco la terra nuda, calda, tocco la terra arida. Il solo tocco del terreno mi riporta alla mente un’estate che non fu più, quelle emozioni mai riprovate. Torno in me, il mal di testa si è affievolito. Apro gli occhi.
Ciò che mi si para davanti dopo un primo momento di cecità passeggera è una parete di terra. Sono circondato dalla terra. Uno spazio circolare, uno spazio circolare mi circonda. Un cerchio perfetto rinchiude la mia anima tre o quattro metri sotto terra. Sono in una buca, sono in trappola. Mi agito, un senso di claustrofobia mi impedisce di prendere aria, smetto di respirare per qualche secondo, mi sento venire meno, la testa torna a pulsare violentemente, il cuore mi scoppia in petto. Poi un dolore improvviso mi distrae e impedisce al mio cervello di controllare il mio corpo e l’ansia cala leggermente. Respiro. Il dolore era la gamba, devo averla mossa inavvertitamente. La guardo. Le mie paure trovano terribile conferma. Circa dieci centimetri sotto la rotula la gamba ha assunto una colorazione violastra, una piega strana. Sembra che possa compiere lo stesso movimento del ginocchio anche in quel punto. Tibia e perone mi hanno salutato da un pezzo. È uno spettacolo orribile, raccapricciante, rivoltante. Sale un conato di vomito, non riesco a trattenerlo. Mi pulisco come posso, le mani si sporcano.
Raccolgo le idee. Mi trovo in una buca circolare scavata a diversi metri di profondità. La precisione con cui è definito il perimetro dell’angusto cerchio nel quale sono costretto suggerisce una mano umana dietro tale progetto. Qualcuno ha scavato questa fossa, ho paura. Comincio a tremare senza un preciso motivo, la paura irrazionale mi assale. Non voglio assolutamente cedere alla mia stessa paura, ma una parte di me mi dice che morirò qui. La paura mi travolge. Chiudo gli occhi. Raccolgo tutto me stesso, tutta la mia paura e la scarico in un grido. Un grido lungo, spontaneo. Lo sento, è il mio grido. Un grido di paura. La paura echeggia nel cielo della notte. TumTum. TumTum. TumTum
Scaricata la tensione provo a concentrarmi. Ho appena gridato alla Luna, se c’è qualcuno in questo posto sconosciuto mi avrà certamente udito. Cerco di rallentare il battito del mio cuore che mi impedisce di sentire al di fuori di me. Ci riesco. Rimango in ascolto di qualcuno o qualcosa che possa avermi sentito e che sta giungendo in prossimità della buca in mio soccorso. Passano i minuti, non sento altro che uno scorrere lento. Probabilmente un fiume. Non sento altro. Devo essere lontano dalla civiltà, lontano dal mondo. Il cuore riparte, il dolore mi assale.

Come sono finito qui? Chi mi ha portato qui? Non riesco a ricordare, non riesco a pensare ad altro se non alla gamba martoriata e alla paura. Sento una mano fredda sfiorare la mia spalla. È scheletrica, trasmette tristezza. La mano della morte mi sfiora, la fine non è mai stata così vicina. Un moto di sopravvivenza mi allontana della falce. Ricordo una macchina. Una macchina scura. Non faccio in tempo a creare un’immagine definita nella mia testa che il sonno mi assale, Morfeo vuole le mie spoglie. Sudato e sfinito cado in un sonno profondo.

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