giovedì 14 luglio 2016

TRAUMI INFANTILI - SAW E LE MARATONE HORROR

Eravamo rimasti a quella volta che tentammo di vedere il nostro primo horror al cinema e finimmo a guardare quella lacrima strappa storie di Twilight, ma badate bene: “il primo horror al cinema”. Perché all’epoca non ero nuovo al genere: tutte le estati infatti io e mio cugino (di ben cinque anni più grande, ma non li dimostra - fidatevi) eravamo soliti trovarci a casa sua per guardare anche tre o quattro film di genere dal dopocena fino a quando ci reggevano gli occhi. Spesso però ci si ritrovava a vedere teen slasher, film di serie b in cui il sangue sembra davvero succo di pomodoro (passato anche maluccio, con tutti i grumi e i semi) o classici che fondavano l’orrore sulla tensione piuttosto che sul gore-splatter. Quella notte però le cose andarono diversamente.


Eravamo sempre nella stessa location, casa sua, in periferia. Variabile variata della serata: i suoi genitori erano usciti a cenare fuori. Eravamo completamente soli, ma nonostante ciò, data l’elevata temperatura di quell’ennesima estate torrida meridionale, tutte le finestre e le portefinestre che davano sui balconi di quel quinto piano condominiale erano spalancante. Diversamente dal solito ci accampammo sul divano blu fuori dalla cucina. Un divano rivestito di cotone, invecchiato male. Portammo fuori il carrello con la televisioni e svariati dispositivi elettronici tra cui un nuovo lettore DVD e… guardammo “La Maschera di Cera”. Un film un po’ inguardabile che fonda tutta la sua appetibilità su Paris Hilton come protagonista indiscussa. E quando la parte migliore di un film è Paris Hilton immaginate il resto. Guardammo quindi quell’orrore (e non mi riferisco al genere) un po’ distratti, un po’ annoiati. Era ancora quel periodo florido in cui si stava meglio quando si stava peggio, e avevamo il Nokia 6630 con un paio di giochini, ma nulla più. E quando ci si sedeva a vedere un film ci si concentrava più facilmente sullo schermo, senza distrazioni di sorta che non fossero i pensieri, o il rumore del mare. Finito il primo film ci eravamo spaventati poco, e cos’è una serata horror senza stizza? Decidemmo quindi di scegliere dal mobile in soggiorno un altro film da vedere insieme, in attesa del ritorno dei miei zii. L’occhio ci cadde su una mano mozzata su inquietante sfondo bianco. Tre lettere: Saw. Ne avevamo sentito parlare molto, era uscito forse da un paio d’anni appena e quella copertina minimalista non prometteva nulla di buono.

“Che ne dici di questo?”
“Mmm, ma secondo te fa paura?”
“Boh, ma ci sta il sangue penso. Almeno quello”
“Eddai mettilo!”

Inserimmo il DVD nel lettore e l’atmosfera cambiò radicalmente. E con l’atmosfera il nostro spirito, che da disinteressato e annoiato si fece prima ansioso, poi spaventato, poi terrorizzato. Più il film proseguiva in quella lurida e candida camera, più nelle nostre menti il mondo cominciava ad assumere altra forma. Ciò che prima ci era familiare e consono ora ci inquietava, ci colpiva e ci asserragliava il respiro. Cominciammo a sentire brusii di fondo provenire dalle camere più lontane, cominciammo ad avvertire dei rumori inquietanti e sospetti che, nella nostra mente, potevano essere associati solo a dei passi leggeri di qualcuno che non conosce il luogo e vuole evitare di essere percepito. Il fruscio della corrente che scorreva da una parte all’altra della casa fece cadere qualcosa, e noi sobbalzammo in preda al panico. Per noi qualcuno si aggirava in casa indisturbato. Qualcuno che probabilmente era entrato da una finestra. Si era calato dal soffitto, si era arrampicato dal piano inferiore o aveva raggiunto il balcone che collegava le camere da letto con un balzo dalla finestra che dava sulle scale condominiali. Ciò che non sapevamo era il come, ma eravamo certi della presenza di un uomo, magari armato, magari armato di sega per mozzare. Il film intanto volgeva al termine, tra specchi e morti che rivivono; noi però eravamo ormai atterriti. I genitori di mio cugino non si vedevano ancora e l’unica cosa da fare per noi era andare a controllare e sperare che non fosse nulla, che fosse stato tutto frutto della nostra immaginazione. Dovevamo ricolonizzare quella parte di casa rimasta buia, abitata dall’uomo con la sega e da tutti quei rumori percepiti in lontananza. Dovevamo incamminarci e fare l’ultimo gesto che ci avrebbe consentito di rivivere quel posto: accendere tutte le luci. Dovevamo assolutamente, anche perché io dovevo andare urgentemente in bagno, il quale si trovava esattamente dall’altra parte della casa.


Ma chi sarebbe andato? Il cugino quindicenne padrone di casa o il bimbo ospite di appena dieci anni? Risposta esatta. Il bimbo. Fui io ad essere mandato un po’ a forza a salvare la casa dall’uomo e il mondo dalle forze del male. Mi avventurai, titubante. Con una gamba rivolta all’orizzonte ed una già caricata a molla per scattare nuovamente verso il balcone della cucina. Arrivai con passo felpato nei pressi del bagno quando vidi qualcosa muoversi nel vento, un movimento impercettibile ma reale. Corsi come un forsennato con la coda tra le gambe e il cuore a mille verso il balcone e ripresi ansimante la mia posizione, con lo sguardo verso il buio.

Eravamo spacciati. Attendevamo inesorabile una comparsa sull’uscio del balcone, quand’ecco un rumore, stavolta nitido: una chiave nella porta. Sono tornati a casa. È il momento di accendere la luce. E di andare in bagno.

Nessun commento: