Eravamo rimasti a quella volta che tentammo di vedere il
nostro primo horror al cinema e finimmo a guardare quella lacrima strappa
storie di Twilight, ma badate bene: “il primo horror al cinema”. Perché all’epoca
non ero nuovo al genere: tutte le estati infatti io e mio cugino (di ben cinque
anni più grande, ma non li dimostra - fidatevi) eravamo soliti trovarci a casa
sua per guardare anche tre o quattro film di genere dal dopocena fino a quando
ci reggevano gli occhi. Spesso però ci si ritrovava a vedere teen slasher, film
di serie b in cui il sangue sembra davvero succo di pomodoro (passato anche
maluccio, con tutti i grumi e i semi) o classici che fondavano l’orrore sulla
tensione piuttosto che sul gore-splatter. Quella notte però le cose
andarono diversamente.
Eravamo sempre nella stessa location, casa sua, in
periferia. Variabile variata della serata: i suoi genitori erano usciti a
cenare fuori. Eravamo completamente soli, ma nonostante ciò, data l’elevata
temperatura di quell’ennesima estate torrida meridionale, tutte le finestre e
le portefinestre che davano sui balconi di quel quinto piano condominiale erano
spalancante. Diversamente dal solito ci accampammo sul divano blu fuori dalla
cucina. Un divano rivestito di cotone, invecchiato male. Portammo fuori il
carrello con la televisioni e svariati dispositivi elettronici tra cui un nuovo
lettore DVD e… guardammo “La Maschera di Cera”. Un film un po’ inguardabile che
fonda tutta la sua appetibilità su Paris Hilton come protagonista indiscussa. E
quando la parte migliore di un film è Paris Hilton immaginate il resto. Guardammo
quindi quell’orrore (e non mi riferisco al genere) un po’ distratti, un po’
annoiati. Era ancora quel periodo florido in cui si stava meglio quando si stava
peggio, e avevamo il Nokia 6630 con un paio di giochini, ma nulla più. E quando
ci si sedeva a vedere un film ci si concentrava più facilmente sullo schermo,
senza distrazioni di sorta che non fossero i pensieri, o il rumore del mare. Finito
il primo film ci eravamo spaventati poco, e cos’è una serata horror senza
stizza? Decidemmo quindi di scegliere dal mobile in soggiorno un altro film da
vedere insieme, in attesa del ritorno dei miei zii. L’occhio ci cadde su una
mano mozzata su inquietante sfondo bianco. Tre lettere: Saw. Ne avevamo sentito
parlare molto, era uscito forse da un paio d’anni appena e quella copertina
minimalista non prometteva nulla di buono.
“Che ne dici di questo?”
“Mmm, ma secondo te fa paura?”
“Mmm, ma secondo te fa paura?”
“Boh, ma ci sta il sangue penso. Almeno quello”
“Eddai mettilo!”
“Eddai mettilo!”
Inserimmo il DVD nel lettore e l’atmosfera cambiò
radicalmente. E con l’atmosfera il nostro spirito, che da disinteressato e
annoiato si fece prima ansioso, poi spaventato, poi terrorizzato. Più il film
proseguiva in quella lurida e candida camera, più nelle nostre menti il mondo
cominciava ad assumere altra forma. Ciò che prima ci era familiare e consono
ora ci inquietava, ci colpiva e ci asserragliava il respiro. Cominciammo a
sentire brusii di fondo provenire dalle camere più lontane, cominciammo ad
avvertire dei rumori inquietanti e sospetti che, nella nostra mente, potevano
essere associati solo a dei passi leggeri di qualcuno che non conosce il luogo
e vuole evitare di essere percepito. Il fruscio della corrente che scorreva da
una parte all’altra della casa fece cadere qualcosa, e noi sobbalzammo in preda
al panico. Per noi qualcuno si aggirava in casa indisturbato. Qualcuno che
probabilmente era entrato da una finestra. Si era calato dal soffitto, si era
arrampicato dal piano inferiore o aveva raggiunto il balcone che collegava le
camere da letto con un balzo dalla finestra che dava sulle scale condominiali. Ciò
che non sapevamo era il come, ma eravamo certi della presenza di un uomo,
magari armato, magari armato di sega per mozzare. Il film intanto volgeva al
termine, tra specchi e morti che rivivono; noi però eravamo ormai atterriti. I genitori
di mio cugino non si vedevano ancora e l’unica cosa da fare per noi era andare
a controllare e sperare che non fosse nulla, che fosse stato tutto frutto della
nostra immaginazione. Dovevamo ricolonizzare quella parte di casa rimasta buia,
abitata dall’uomo con la sega e da tutti quei rumori percepiti in lontananza. Dovevamo
incamminarci e fare l’ultimo gesto che ci avrebbe consentito di rivivere quel
posto: accendere tutte le luci. Dovevamo assolutamente, anche perché io dovevo
andare urgentemente in bagno, il quale si trovava esattamente dall’altra parte
della casa.
Ma chi sarebbe andato? Il cugino quindicenne padrone di
casa o il bimbo ospite di appena dieci anni? Risposta esatta. Il bimbo. Fui io
ad essere mandato un po’ a forza a salvare la casa dall’uomo e il mondo dalle
forze del male. Mi avventurai, titubante. Con una gamba rivolta all’orizzonte
ed una già caricata a molla per scattare nuovamente verso il balcone della
cucina. Arrivai con passo felpato nei pressi del bagno quando vidi qualcosa muoversi
nel vento, un movimento impercettibile ma reale. Corsi come un forsennato con
la coda tra le gambe e il cuore a mille verso il balcone e ripresi ansimante la
mia posizione, con lo sguardo verso il buio.
Eravamo spacciati. Attendevamo inesorabile una comparsa
sull’uscio del balcone, quand’ecco un rumore, stavolta nitido: una chiave nella
porta. Sono tornati a casa. È il momento di accendere la luce. E di andare in
bagno.
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