martedì 27 ottobre 2015

COMMENTO AQUARIUS - EPISODI 2, 3 E 4

Queste sono le conseguenze di avere Sky on Demand: guardi un nuovo episodio, ti aggrada, lo commenti sul tuo blog e solo dopo scopri che in realtà ogni settimana ne vengono messi in onda due e quindi sei costretto a recuperare il terreno perduto con un articolo triplo. L’impresa è ardua. Sostenetemi.

Ricordate il domandone con cui avevo chiuso questo articolo? Mi domandavo come potesse reggere per tredici episodi una serie crime in cui il malfattore, mascalzone, ricercato principale, con la cui faccia hanno tappezzato ogni prodotto caseare, è ben noto ai detective che si occupano del caso fin dalla prima scena. Beh, ho ottenuto una risposta più che soddisfacente: il caso principale andrà ad intrecciarsi sistematicamente con altri casi minori e decisamente meno importanti che reggeranno il tempo di una puntata per poi essere risolti abilmente dal poco professionale ma funzionale Fox Mulder (che è sulla via del ritorno, non dimenticatelo). Questa decisione degli sceneggiatori pesa però terribilmente sulla natura dell’intera serie che quindi si conferma esattamente come un crossover, un ibrido tra CSI e True Detective ambientato nel 1967, poco prima che la rivoluzione hippie sconvolga il mondo. La scelta di diluire la trama principale potrebbe però, a lungo andare, ritorcersi contro gli stessi sceneggiatori che saranno costretti ad inventare sempre nuove soluzioni a nuovi casi per riuscire a non cadere nella banalità e nella ripetitività. Non commettere l’errore del Detective Conan insomma. Per ora la scelta sta pagando e la duplice struttura regge bene, seppur mostrando lievi scricchiolii nella parte iniziale delle puntate, quando i detective decidono deliberatamente di accantonare momentaneamente il caso principale per dedicarsi ad altro, nonostante la presenza di numerosi colleghi nel distretto.


Altro elemento emerso da  questo trittico di episodi è la caratterizzazione dei personaggi principali: David si mostra brutalmente superiore in ogni situazione lavorativo e ciò mina leggermente la credibilità del personaggio in una serie semifedele alla realtà dei fatti, ma nel privato toglie la maschera e lascia uscire la sua parte umana di uomo frustrato del divorzio e corrotto dall’alcool in passato. Un quadro generale tutto sommato non originale, nel senso stretto della parola, ma in ogni caso interessante da approfondire. Il coprotagonista invece risulta meno caratterizzato e a tratti piatto, se non fosse per la sua personale sottotrama legata al fatto di avere una bambina con una donna nera negli anni ’60 (comportamento visto non proprio benissimo dalla società civile). L’agente infiltrata nelle fila di Manson invece continua a rimanere un’enorme incognita. Sulla carta avrebbe le potenzialità per spiccare sugli altri ma finora è stata relegata ad un ruolo decisamente secondario. Indubbiamente però molto dedita al mestiere. Non capisco poi se gli autori hanno voluto lasciar intendere che ci sia del tenero tra lei e l’agente Shafe, tecnicamente sentimentalmente impegnato, o sono io che guardo le serie tv con i cuoricini al posto degli occhi, manco fosse la Stagione dell’Amore.


Lo sviluppo della trama principale legata a Charles Manson invece mi è parso abbastanza lineare e scorrevole, anche se la logica del criminale musicista sembra spesso essere confusa e contorta. Prima convince giovani ragazze a seguirlo, poi abusa di loro, poi le usa come merce di scambio o le convince a commettere piccoli furti per mantenersi e mantenerlo, ma ad un certo punto si scopre che il suo vero scopo è (o dovrebbe essere) quello di incidere un demo per sfondare nel mondo della musica folk. In quest’ottica non si comprende appieno il rapporto con il padre della ragazza rapita e il passato del malvivente. Ogni sua azione sembra inconcludente e fine a sé stessa; come se fossero tanti eventi messi in fila, e quindi facilmente comprensibili singolarmente, ma isolati tra loro. Un personaggio interessante e accattivante ma ancora difficilmente inquadrabile nello scacchiere della serie.
Un personaggio il cui sviluppo non mi è affatto piaciuto è invece quello di Emma: in sole quattro puntate è passata dall’innocenza di una dolce diciassettenne all’impudicizia più sfrenata. Ladra per il guru, prostituta per passione (!) e chi più ne ha più ne metta. Poco credibile il voltagabbana della ragazza nei confronti di una madre sì apprensiva e pedante, ma non tirannica. Qualche dubbio in più potrei nutrirlo per la controversa figura del padre, ma in ogni caso la scrittura del personaggio rimane poco convincente.



Una serie insomma che ha sfruttato finora solo alcune delle potenziali che ha dimostrato di avere. Indubbiamente non un prodotto di primissimo livello, nonostante un comporto tecnico invidiabile e degno di plausi. Il problema fondamentale è una scrittura ancora ancorata a modelli ormai superati dalle innovazioni introdotte dalla sopracitata Investigatori Veri e da Fargo (avete visto la seconda puntata? Presto il commento). Fosse uscita dieci anni fa sarebbe diventata in breve tempo un piccolo capolavoro, ma il tempo fa il suo corso e i modelli di riferimento cambiano. Tutto ciò per invogliarvi a scoprire con me se gli sceneggiatori saranno in grado di fare il definitivo salto di qualità sfruttando in particolar modo quel veterano di David Duchovny.

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