Dopo un esordio spettacolare con Daredevil, la qualità
dei prodotti Marvel Netflix è andata via via calando. “The Defenders”,
corrispettivo televisivo del team up più famoso, poteva essere il punto di
svolta per l’intero progetto, ma così non è stato.
Vediamo insieme i cinque motivi per cui “The Defenders”
non è stata in grado di mantenere le aspettative.
4 - 3 = Un protagonista
La serie si proponeva come una summa delle storie
precedenti, che avevano lasciato in sospeso alcuni particolari per confluire
poi verso un’unica conclusione. Quattro personaggi, una storia. L’obiettivo era
probabilmente quello di livellari i diversi gradi d’interesse dovuti alla scrittura
altalenante delle singole serie per generare un nuovo trasporto comune verso il
gruppo di vigilanti. La realtà dei fatti racconta invece di un Matt Murdock
ancora esageratamente superiore agli altri. Daredevil riesce a dare un altro
tono alle scene in cui è presente per una profondità, uno spessore e un carisma
a cui gli altri tre “difensori” non si avvicinano minimamente. La scelta di
terminare la battaglia finale in quel modo poi non fa che avvalorare la tesi di
una finta serie corale, molto più simile ad una terza stagione del diavolo di
Hell’s Kitchen.
“È stata una settimana molto dura”
Quanto tempo passa dalla scarcerazione di Luke Cage alla
conclusione dell’intera storia? Mi sono posto questa domanda diverse volte
durante la visione. Alla fine è Jessica Jones a rispondere: meno di una
settimana. Nell’ottica di un tempo così breve, quasi aristotelico, si perde il
senso di uno sviluppo morale dei protagonisti e la loro interazione,
ridicolmente esplicitata da Daredevil prima dello scontro finale, si riduce ad
una collaborazione improvvisata. Manca la maturazione dei personaggi, aggiunta
forzatamente verso il finale attraverso quello che dovrebbe essere Il colpo di
scena. Ma è giusto interrogarsi su di esso: cosa sarebbe rimasto dell’esperienza
dei Defenders senza il telefonato twist conclusivo?
War never changes
Lo scontro con la mano ci viene presentato come il
culmine di un conflitto secolare tra i traditori di K’un lun e i casti. Lo stato
delle cose è costantemente descritto in termini militari. Guerra, guerra e
ancora guerra.
“Chi vincerà la guerra?”
“Questa è la fine della guerra”
“Questa non è la fine della guerra”
Queste ultime due frasi magari pronunciate dallo stesso
personaggio a distanza di pochi minuti.
E il rimando immediato è alla vera guerra, quella in
grado di annientare intere popolazioni, quella che non si placa con quattro
colpi di karate in un ufficio bianco. Eppure la minaccia rappresentata dalla Mano non è mai tangibile: non ci sono attentati, non ci sono duelli decisivi,
non ci sono punti di non ritorno. Quella che i protagonisti chiamano guerra è
la schermaglia di qualche scagnozzo e un manipolo di vigilanti per evitare che
un’organizzazione secolare possa ottenere la chiave della vittoria della
guerra, che poi si rivelerà essere un elemento tutt’altro che decisivo. Il pericolo
non è mai realmente vicino, né per i protagonisti né per la popolazione di New
York. E allora stona incredibilmente il tono epico degli ultimi due episodi, soprattutto
considerando che “The Defenders” si colloca all’interno del MCU, e a due passi
dal Midland circle ci sarebbe un certo Tony Stark.
La sagra dei clichè
Daredevil aveva rivoluzionato la dimensione del supereroe
con una narrazione più intima, profonda che aveva contribuito a rendere più
imprevedibili le storie del Diavolo di Hell’s Kitchen.
Da questo punto di vista “The Defeneders” rappresenta un
enorme passo indietro. Con uno sviluppo minimo in profondità della narrazione,
i prodotti Marvel Netflix tornano a posizionarsi a livello della loro
controparte cinematografica, e chiunque abbia visto almeno un paio di
cinecomics sarà immediatamente in grado di predire lo svolgersi degli eventi. Mancano
reali colpi di scena inaspettati - ad eccezione di quello che spezza l’unità del
gruppo verso la metà della serie - e questo, unito alla mancanza di una minaccia
reale, spegne il trasporto emotivo per una serie a tratti piatta.
E quindi?
Con l’ultima scena prima dei titoli di coda viene
addolcito anche l’amaro finale. Cosa resta dell’esperienza dei Defenders dopo
la “guerra” con la mano? Valutiamo la domanda da due punti di vista. Da una
parte, per l’universo della serie, il team up ha avvicinato quattro eroi già contigui, bruciando in otto puntate
decine di personaggi validi per futuri sviluppi, sacrificati sull’altare della
spettacolarità delle coreografie. Si tratta banalmente di una storia periferica
che conclude una narrazione confusa e frammentata senza particolari guizzi.
Dall’altra ci siamo noi spettatori, che abbiamo assistito
alla conclusione della “prima fase” di questo sottouniverso dei cinecomic. La serie
scorre e si lascia guardare, considerando anche il fatto che si svolga in
pochissime ore, si ride a denti stretti in alcuni momenti e si riesce anche a
godere delle interazioni tra i protagonisti, ma non rimane nulla più di una
copia sbiadita del modello MCU. Manca completamente la peculiarità televisiva
che era stata di Matt Murdock prima e di Jessica Jones poi. Manca l’anima dei
progetti Netflix, soppiantata dallo spirito Marvel.
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