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Passarono alcuni giorni prima che potei tornare alla mia attività di esploratore. Mia madre mi mise in punizione e fui costretto a passare eterni pomeriggi a leggere libri sgualciti e sfogliare giornali ammuffiti sul vecchio divano che avevamo in salotto. Mark era riuscito a scampare alla sua punizione per aver nascosto il mio coltellino oltre la linea dei covoni e lo vedevo scorrazzare fuori dalla finestra con altri ragazzi più grandi, che abitavano verso il centro del paese. Ero invidioso e arrabbiato, ma morivo anche dalla voglia di raccontagli per filo e per segno la mia avventura nel campo di grano nero.
Passarono alcuni giorni prima che potei tornare alla mia attività di esploratore. Mia madre mi mise in punizione e fui costretto a passare eterni pomeriggi a leggere libri sgualciti e sfogliare giornali ammuffiti sul vecchio divano che avevamo in salotto. Mark era riuscito a scampare alla sua punizione per aver nascosto il mio coltellino oltre la linea dei covoni e lo vedevo scorrazzare fuori dalla finestra con altri ragazzi più grandi, che abitavano verso il centro del paese. Ero invidioso e arrabbiato, ma morivo anche dalla voglia di raccontagli per filo e per segno la mia avventura nel campo di grano nero.
Una settimana dopo l’accaduto fui libero di tornare alla
libertà. Mio fratello era già uscito coni suoi nuovi amici. Andai quindi a
cercarlo per riprendere da dove eravamo stati interrotti. Uscì di casa dalla
porta principale e mi incamminai verso il municipio. Passai appena la vecchia
locanda quando un bracciò mi tirò per un vicolo lercio, umido.
Mark mi mise la mano davanti alla bocca perché non
stillassi e la tolse solo quando mi fui calmato.
“Ti sei divertito con i vecchi giornali di papà, eh Kev?”
Non risposi. Sapeva perfettamente come farmi irritare.
“Mentre eri impegnato non sono rimasto con le mani in
mano. Avevi balbettato qualcosa su un campo di grano nero, giusto?”
Annuì.
“Ecco, i ragazzi che ho conosciuto in città sapevano
qualcosa. Ero sicuro che lo sapessero, ma prima che mi raccontassero qualcosa
mi sono dovuto guadagnare il loro rispetto. Da quello che mi hanno detto, in
passato questa città ha vissuto momenti bui. Molti anni fa vi fu un periodo di
carestia e i contadini si spinsero oltre i loro confini. Arrivarono a coltivare
anche i campi verso nord, quelli aridi dove ho nascosto il coltellino di papà”.
Imbronciato lo corressi: “Il mio coltellino”.
“Sì sì, il “tuo” coltellino, come vuoi. Inizialmente,
dicevo, il grano crebbe alto e la carestia fu superata, ma contemporaneamente
si verificarono alcuni incidenti: un bambino finì in fondo ad un pozzo
senz’acqua e lì morì pochi giorni dopo, un altro inciampò in un attrezzo e morì
di tetano. Una bambina invece fu trovata senza vita nel suo letto, strangolata
dal suo stesso foulard. E a questi si aggiunsero molti altri casi, di cui i
ragazzi neanche ricordano i dettagli. Si sa solo che in un anno morirono in
circostanze misteriose diciotto bambini, tutti figli di contadini che avevano
contribuito a coltivare la nuova terra”.
Mentre ero così preso dal racconto di mio fratello, non
mi ero accorto di avere una scarpa quasi completamente immersa nel fango putrido
del retro della locanda, che emanava un odore acre. Mark mi tirò per la maglia
e ci spostammo verso la strada principale.
“Cominciò a diffondersi l’idea di una maledizione legata
ai campi a nord. Alcuni bambini parlarono ai loro genitori di una casa dalle
finestre nere, ma nessuno fu in grado di trovare un luogo del genere, finché un
giorno, superata la carestia, gli stessi contadini che si erano spinti a nord
non decisero di dare tutto alle fiamme. Bruciarono ettari ed ettari di terreno
per evitare che la maledizione della casa nera colpisse altre bambini
innocenti. Alcune versioni della storia affermano anche che, durante l’incendio,
si potessero udire chiaramente grida femminili provenire dalle fiamme più
lontane.”
“Io ho sentito una voce” dissi senza pensarci.
Mio fratello mi squadrò per alcuni secondi, poi riprese.
“Da quel giorno in molti, soprattutto ragazzi, hanno
cercato invano la casa con le finestre nere. Poi con il tempo l’interesse è
scemato e la gente ha smesso di addentrarsi nei campi a nord, fermandosi alla
linea dei covoni”.
“Ma io l’ho vista!”
“Io ti credo. Gli altri ragazzi invece hanno riso di me
quando ho cercato di spiegargli cosa ti era accaduto. Mi hanno dato del
bugiardo, dicendo che mi ero inventato tutto per far colpo su di loro. Ma io ti
credo”.
Non avevo mai visto Mark così convinto. Nei suoi occhi
ardeva uno spirito d’avventura travolgente.
“Non puoi esserti inventato tutto - continuò - la casa
nera, il grano bruciato, la voce. Deve esserci davvero qualcosa oltre quei
covoni.”
La mattina seguente andammo alla ricerca di ulteriori
informazioni che potessero svelarci il mistero che aleggiava sulla città. Qualcosa
di cui tutti sapevano, ma di cui nessuno osava mettere bocca. Chiedemmo prima
alla locanda, ma fummo malamente cacciati dal proprietario, poi decidemmo di
percorrere la strada sterrata verso i covoni per intervistare gli abitanti più
vicini ai campi aridi. Dopo circa dieci minuti di cammino ci fermammo davanti
al cancello della signora Lathimer. Mark mi disse di aspettarlo lì, poi
scavalcò la staccionata secca e arrivo fino alla porta di casa. Busso prima
piano, poi con più veemenza, ma non ci fu risposta. Passammo quindi alla
fattoria degli Smith, che non vollero sapere più nulla dopo che Mark ebbe
nominato la casa dalle finestre nere. Sconsolati e senza uno stralcio di
informazione, ci stavamo incamminando verso caso, quando scorgemmo la signora
Lathimer in lontananza, che sembrava in attesa di qualcosa o di qualcuno.
“Aspettavo voi”.
Entrammo nella casa in legno e lamiera. Ogni oggetto,
custodito come il più prezioso cimelio di un museo, emanava l’odore tipico
delle case vissute da generazioni. La signora, una piccola donnina ricurva, ci
fece accomodare nel salotto, su delle poltrone stranamente immacolate,
preservate da vari strati di cellophan.
“Vedo nei vostri occhi la ricerca” esordì cripticamente.
Io e Mark ci guardammo in faccia, non sicuri di aver
capito. E lei, senza scrutarci, incalzò:
“So che siete alla ricerca della casa. Avrete sicuramente
sentito molte storie su quel luogo maledetto. Sui pargoli scomparsi”. Fece una
pausa.
La signora Lathimer era dotata di una flemma ipnotica; io
e Mark eravamo affascinati dalle sue parole, sia per la musicalità del suo
racconto, sia perché potevamo essere vicini alla verità tanto agognata.
“Ebbene potrei esservi d’aiuto, nonostante la mia età e
la vista. Avrete sentito parlare dei bambini che denunciarono per primi la casa
nera in mezzo ai campi a nord. Devo confessarvi che fui io, ormai molti anni
fa, la bambina sopravvissuta alla casa, la prima che parlò ai contadini del
mistero dietro le diciotto morti”.
Continua
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