In molti hanno criticato aspramente questa terza stagione
evento sulla base della presenza marginale della colonna sonora originale di
Angelo Badalamenti. In risposta a queste malelingue, il sedicesimo episodio
costruisce la sua grandezza proprio sulle musiche che fecero grande Twin Peaks.
Un uso maestoso della componente sonora, sfruttata per rivivere insieme il
passato e per ricollegarci direttamente ad un futuro definitivo e imminente,
con la consapevolezza di una terza stagione pregna di spunti, riflessioni e
rivelazioni a cui non abbiamo dato il giusto peso. All’alba del tramonto sono i
dettagli a ricompensare i più audaci. E le ricompense non fanno rimpiangere né
l’attesa di questi diciotto episodi, né tantomeno quella degli ultimi ventisei
anni.
L’episodio racconta quattro eventi principali, che
tendono a toccare per l’ultima volta quattro narrazioni separate, che saranno
presumibilmente riunite nel finale, tra le montagne di Twin Peaks.
Bob, seguito da Richard, verifica le coordinate che gli
sono state consegnate nel corso delle puntate. È in possesso di tre coordinate,
due delle quali combaciano, mentre una differisce. Ad avergli consegnato delle
coordinate sono stati: Ray, Phillip Jeffries e Diane, dopo averle scrutate sul
braccio di Ruth Davenport. Le due coordinate che combaciano sono in realtà una
trappola ordita contro Bob, di cui cade però vittima un ignaro Richard,
scomparendo in un’esplosione elettrica. Probabilmente le due coordinate
coincidenti erano quelle di Ray, la cui storia sul mandato di Phillip era vera,
e dello stesso Phillip, che ha mascherato dietro una maschera sprovveduta le
sue reali intenzioni, legate all’operazione di Mike. Restano quindi le
coordinate sul braccio di Ruth Davenport, che - ricordiamo - aveva comunicato
al maggiore Briggs prima di finire vittima dei taglialegna. Queste coordinate
potrebbero condurre alla loggia bianca, o almeno all’anticamera della stessa,
dato il luogo in cui poi Cooper ha ritrovato la testa del maggiore Briggs. Bob
potrebbe quindi essere sulla strada della loggia bianca per confrontarsi
definitivamente con il Fireman e distruggere la loggia bianca che da decenni
ostacola il suo progetto di puro male per il mondo. Non è ben chiaro dove tutti questi eventi siano
geograficamente collocati, ma immagino che l’ingresso della loggia bianca possa
essere a poca distanza da Twin Peaks, vista la presenza di Richard con Bob.
Tornando a Richard, il commiato impassibile di Bob tende
a confermare la teoria dello stupro in coma della malcapitata Audrey. Secondo quest’ipotesi,
l’incontro descritto dal dottor Hayward tra Audrey dopo l’esplosione nella
banca e Cooper posseduto da Bob, collocato cronologicamente pochi giorni dopo
la fine della seconda stagione, sarebbe culminato con una possessione carnale,
che avrebbe quindi generato Richard Horne. Stando a ciò, il comportamento del
rampollo Horne potrebbe quindi essere in parte giustificato, essendo egli
figlio del male.
Diane svela finalmente gli eventi della notte dell’ultimo
incontro con Cooper, che avevamo erroneamente collocato prima delle indagini
sull’omicidio di Laura Palmer, credendo si trattasse di una questione amorosa. Invece
la storia dimostra di avere tinte molto più oscure: si tratta di un altro stupro
per mano di Bob, stavolta subito da Diane. Accecato dalla fame di garmonbozia,
Bob avrebbe prima violentato Diane per poi condurla nel convenience store dei
taglialegna. Ma la Diane che arriva a raccontare questa storia con un pathos
incredibile si rivela essere una “Tulpa”, per dirla con le parole dell’agente
Tammy.
I casi plausibili sono due e un particolare potrebbe far
pendere l’ago della bilancia. Da un lato Bob sotto mentite spoglie avrebbe
potuto rapire Diane per condurla nel quartier generale mobile delle forze della
loggia nera, doppiarla e plagiare la mente del doppelganger per sfruttarla in
futuro. Secondo questa ipotesi Diane sarebbe stata l’originale prima dell’incontro
con Bob. Dall’altro lato, invece, Diane sarebbe potuta essere già una “Tulpa”
nel momento dello stupro e quindi Bob si sarebbe limitato a condizionare la
mente della donna fasulla con la violenza che gli è propria. Per comprendere
questa questione dobbiamo fare un passo indietro sulle modalità della loggia
nera e sulle sue possibilità. In questo stesso episodio abbiamo avuto una
conferma della procedura per la creazione di copie reali degli esseri umani: il
necessario si riduce ad un seme d’oro e ad un “pezzo” della persona che deve
essere duplicata, in questo caso specifico una ciocca di capelli. È Mike, dall’intero
della loggia ad avere la possibilità di creare una copia. Finora non abbiamo
avuto prove che questo procedimento possa essere portato a termine anche ad di
fuori della loggia nera, tanto che gli esseri ricreati con il seme d’oro, se
muniti dell’anello con il gufo, fanno ritorno nella loggia nera prima di
distruggersi. C’è un legame diretto quindi tra il processo e il luogo. Se immaginiamo
dunque che Bob non sia mai tornato nella loggia nera in questi venticinque anni
di libertà, perché si sarebbe scontrato con Mike, allora dobbiamo ammettere che
la possibilità che Diane fosse una copia prima dell’incontro con Bob si
rafforza considerevolmente.
In ogni caso abbiamo la conferma che Diane, la “Tulpa”
che abbiamo creduto reale per dieci episodi, non avesse cognizione della sua
realtà e che fosse soggiogata alla volontà di Bob. Proprio nel momento che
precede il suo ritorno nella loggia nera, sembra prendere coscienza della situazione
reale, affermando confusamente di essere “nella stazione di polizia”. Ovviamente
il riferimento è alla stazione di polizia di Twin Peaks, dove tendono a
confluire diverse storyline, ma queste parole sconnesse non fanno che gettare
altra sabbia nei nostri occhi. Chi sarebbe Diane, che possa essere connessa ad
uno dei personaggi presenti nella stazione di polizia? Magari a Naido, la donna
dagli occhi cuciti?
Audrey riesce finalmente a risolvere il suo dilemma
interiore e si dirige al Bang bang alla ricerca di Billy, ma qualcosa sembra
essere differente. una leggera sinfonia jazz ci riporta al 1990 e siamo di
nuovo incastrati in una scena a metà tra il reale e l’onirico, in pieno stile
David Lynch. Audrey balla la musica a
lei dedicata mentre tutti intorno la osservano. Sembra una scena fuori dal mondo,
fuori dal tempo, quasi irreale. E proprio quando l’incantesimo si spezza
vediamo Audrey in una camera bianca, risvegliatasi da un sogno, mentre si
specchia terrorizzata. È complicato destrutturare la scena alla ricerca di
dettagli utili, ci restano poche sfumature per ipotizzare che la donna sia in
realtà in una dimensione metafisica, dalla quale vive e rivive una vita forzata
(basti pensare all’impossibilità di muoversi liberamente in questo mondo) e
proprio la rottura di un obbligo, che in lei emerge come morale, squarcia anche il
velo di maya per svelare la finzione del dietro le quinte.
Quando è finita in
questa dimensione? Cosa resta di Audrey nel mondo reale? Potrebbe essere lo
stesso stupro di Bob ad averla rinchiusa in questa dimensione asettica e
paralizzante, o una parte di lei, quella più simile alla ragazza sfacciata
delle prime due stagioni,potrebbe essere stata rubata alla sua identità reale
per mantenerla in uno stato di dormiveglia. Il finale sarà chiarificatore.
Una settimana fa scrivevo:
“Il ritorno del vero Coop è
causa per me di una trepidazione maggiore rispetto a quella provata nell’attesa
dell’intera terza stagione”
Ebbene l’attesa non è essa stessa il piacere, perché quasi
mai una scena aveva suscitato in me emozioni così forti come quella del ritorno
di Cooper. Torna la sigla, tornano la classe, il carisma, la gentilezza, la sicurezza
di Dale Cooper. Un personaggio meraviglioso che ha fatto la storia della
televisione e al quale Lynch riserva il dovuto tributo. E la scena con Janey-E
e Sonny Jim riesce anche ad essere toccante, nel complesso delle emozioni
scatenate dal culmine di un percorso decennale. Nulla è stato lasciato al caso,
ogni personaggio sta trovando il suo scopo in questo puzzle infinito, dai
fratelli Mitchum a Bushnell. Per arrivare finalmente a scrivere la parola “fine”
che il mezzo televisivo impedì di mettere ventisei anni fa.
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