L’esordio di questa stagione evento aveva colpito tutti
per la capacità di fondere lo stile visionario di Lynch con una concentrazione
importante di eventi realmente significativi per lo sviluppo della trama principale,
quella che ebbe origine con l’omicidio di Theresa Banks e che proseguì tra i silenziosi
boschi di Twin Peaks agli inizi degli anni ’90. Questo settimo episodio rincara
la dose del mistero e si accompagna con uno spostamento reale o figurato dei
personaggi. Le diverse situazioni mostrate in questo frammentato quadro
metafisico sembrano infatti cominciare a volgere in azione la carica ilare e
ideale accumulata fino a questo momento. Senza dimenticare di aggiornare
costantemente il catalogo dei dubbi che rappresenta il motore di un certo tipo
di narrazione criptica.
Le vicende riprendo esattamente da dove le avevamo
lasciate la scorsa settimana, con Hawk che mostra soddisfatto e confuso il
risultato della sua ricerca. La profezia del ceppo è compiuta, e il
commissariato di Twin Peaks è finalmente entrato in possesso delle pagine
mancanti del diario di Laura Palmer, che, oltre a confermare l’identità dell’entità
di Bob celata dietro le spoglie del padre, rende il nuovo sceriffo consapevole
di un errore temporale, descritto precedentemente solo nel film FWWM. Durante
una scena del film infatti Annie Blackburn appare come visione a Laura e le
chiede di scrivere nel diario che il Coop buono è rimasto imprigionato nella
loggia nera. Questo particolare conduce alla scena del dottor Hayward che ci
fornisce ulteriori elementi sui giorni successivi alla possessione definitiva
di Bob. Ed è altamente soddisfacente essere ripagati in questo modo dopo
venticinque anni di attesa. Fino ad ora Lynch ha saputo dosare alla perfezione
il fan service di cui un revival di questa portata sarebbe potuto essere
pregno. In questo settimo episodio ha saputo contestualizzare meravigliosamente
il premio che tutti noi stavamo aspettando. Eppure la faccenda non sembra
risolversi: delle quattro pagine mancanti del diario di Laura, solo tre sono
state ritrovate da Hawk dietro la porta del bagno. Per capire questo tassello
mancante, dobbiamo rifarci alla notte dell’uccisione di Laura Palmer, descritta
in parte in FWWM e in parte dalle ricostruzioni a posteriori. Una delle certezze,
relativamente a quella notte, è il ritrovamento di un pizzino, bruciato sui
bordi, che riportava la frase cardine “Fuoco cammina con me”. È probabile che
quel fogli fosse in origine la quarta pagina strappata del diario, che rivelava
ulteriori dettagli sulla possessione di Leland Palmer e sulla natura omicida
dello spirito di Bob. Un ultimo tassello che legherebbe definitivamente ogni
zona di questo dipinto, ma che non verrà probabilmente mai alla luce. Questa mancanza
tiene aperta la necessità di un lavoro dei personaggi di Twin Peaks per
accedere alla verità.
Altra questione fondamentale è quella relativa al
cadavere del maggiore Briggs, all’intero del quale è stato trovato la fede
nuziale di Dougie Jones e del quale non si trova ancora il capo. Ciò che più
colpisce però sono le incongruenze emerse dall’autopsia che lasciano non pochi
dubbi. Come sappiamo, la loggia può imprigionare delle anime umane al suo
interno, come è accaduto a Cooper, ma anche queste, seppur esistenti solo nella
loro forma spirituale, risentono del passare del tempo reale. Allo stesso modo
i loro corpi, legati quindi ad altri spiriti, si aggirano nel mondo umane
risentendo degli effetti del tempo. Per cui non è possibile che il corpo si
stato conservato vivo nella loggia o in un piano metafisico adiacente per poi
essere ucciso una volta uscito da questa zona d’ombra. Le ipotesi quindi sono
due: o Briggs è stato ucciso nel momento della scomparsa e il copro è stato
conservato alla perfezione nel corso di questi venticinque anni o si tratta di
una questione metafisica. Perché manca proprio la testa? Mi spiego meglio: all’inizio
del terzo episodio, nel momento in cui il vero Coop si ritrova in quella che
abbiamo definito l’anticamera temporale della loggia, quando la donna con gli
occhi cuciti lo conduce sul tetto dell’edificio e viene sbalzata giù da una
scarica elettrica, vediamo il volto ingigantito del maggiore fluttuare a mezz’aria
per pronunciare le parole “Blue rose”. E se quello non fosse stato il volto del
maggiore Briggs, ma la testa? Una piccola differenza che potrebbe condurci a
conclusioni ben diverse. Il maggiore potrebbe essere stato ucciso all’interno
di un piano metafisico e la sua testa potrebbe essere in qualche modo ancora
legata allo spirito del maggiore, che anche in questo stato non ha smesso di
portare avanti la sua indagine sulle entità della loggia. Lo dimostra il fatto
che sia comparso proprio lui a Cooper per ricordargli il dettaglio della rosa
blu, e non si è manifestato come entità fisica, come è avvenuto per i
doppleganger di Laura e Leland Palmer, ma proprio nella dimensione mancante sul
piano del reale. Solamente il tempo ci darà i motivi di una scelta così curiosa
e misteriosa, ma potrebbe trattarsi anche di uno di quei caso oltreumani così
profondi che non terminano in una spiegazione metalogica.
La trama legata alle indagini dell’FBI prosegue e finalmente
vediamo l’incontra tra il Cooper malvagio e Diane. In un dialogo carico di
tensione emotiva e nervosa, vengono fatti dei riferimenti agli avvenimenti di
una notte specifica, ma non sappiamo nulla di più. Poi Diane abbandona il
faccia a faccia e scoppia in lacrime per essersi trovata di fronte ad un’altra
persona. E quando le indagini sembravo virare verso una chiarezza globale, ecco
che Bob mette in atto un piano d’evasione studiato ben prima di finire in
prigione. Resta aperta la questione sulla notte a casa di Diane. Al di là di
speculazione immanentiste - in quanto Coop non era ancora entrato in contatto
con le entità della loggia - resta la certezza di un rapporto più profondo tra
il protagonista nelle sue vesti umane e Diane, prima che tutta la storia di
Twin Peaks avesse luogo.
Rivediamo dunque Dougie Cooper Jones alle prese con il
suo entusiasmante lavoro. Nonostante la situazione non sembra potersi risolvere
in tempi brevi, è importante focalizzare l’attenzione sulla scena dell’attentato
ad opera del nano senza punteruolo. Dougie ha uno scatto alla giovane Coop e
riesce a sventare l’azione omicida seguendo le indicazioni del piccolo albero
materializzatosi virtualmente sotto gli occhi del protagonista. Torniamo al
secondo episodio, in cui l’albero antropomorfo aveva spiegato all’anima di
Cooper alcune condizioni per recuperare il suo corpo. Ma al contempo l’avevamo
visto possibilmente contrariato nel momento della scomparsa di Coop dalla
loggia, e avevamo ipotizzato potesse essere legato all’essere comparso nella
scatola di vetro a New York poco dopo il protagonista. Detto questo, finora
avevamo visto Mike aiutare Coop a sopravvivere nel mondo reale in attesa di un’epifania,
e, considerando che l’albero è in realtà lo sviluppo autonomo del braccio del
corpo umano di Mike e che all’epoca della prima stagione esso era stato
definito simile a Bob, non ci stupivamo che l’albero potesse essere avverso all’azione
dell’agente dell’FBI. Ma in questo caso esso collabora attivamente a guidare
Coop verso la sopravvivenza al tentato omicidio del nano mandato da Bob, opponendosi
quindi al piano malefico della creatura più simile a lui. Le intenzioni reali
dell’albero restano ancora annebbiate, ma potrebbe valere anche per lui la
teoria del doppleganger all’intero della loggia, come suggerito dal collega
Marsha Bronson. In questo modo avremmo due alberi, uno positivo e uno negativo,
che agiscono per fini diametralmente opposti.
Torniamo quindi a Twin Peaks, precisamente al Great Northern hotel, in cui una collaboratrice della famiglia Horne non riesce a
trovare la fonte di un rumore sinistro in una delle stanze dell’edificio. I casi
plausibili possono essere due: potrebbe trattarsi di un individuo fisico
nascosto in uno dei corridoi segreti dietro le pareti - di quelli utilizzati da
Audrey nella serie originale, per intenderci - oppure il suono potrebbe essere
legato al personaggio di Josie, deceduta senza apparenti motivi venticinque anni
prima. Come sappiamo, e come ci è stato confermato da Pete Martell nell’ultimo
episodio della seconda stagione, qualcosa di Josie è rimasta nell’hotel al
momento della dipartita, qualcosa che ha lasciato alle sue spoglie mortali l’irrisorio
peso di 29 chili. Io propendo maggiormente per la seconda ipostesi che, oltre
ad essere sicuramente più suggestiva, meglio si sposa con la natura metafisico-mistica
del suono udito della collaboratrice. Anche se la reazione di Benjamin Horne,
quasi consapevole della natura del suone e senza dubbio meno preoccupato della
donna, potrebbe stare ad indicare la natura più terrena dell’evento. Nel caso
in cui Josie tornasse in questo modo dopo una scomparsa inspiegabile e poco
contestualizzata, Lynch andrebbe ulteriormente, infinitamente elogiato per
essere riuscito a connettere alla trama metafisica principale un altro personaggio
in origine totalmente slegato.
Attenzione ad Andy |
Ci sarebbe ancora molto di cui discutere, teorie da
proporre, voli pindarici da intraprendere, ma credo che con questo poche
riflessioni abbiamo toccato i cardini dell’episodio più ricco di eventi significativi
dell’intera terza stagione finora. Twin Peaks sta confermando la superiorità di
un’artista unico alla regia, senza dimenticare di portare aventi una narrazione
convincente, condita dai giusti riferimenti all’opera di partenza. In questo
settimo episodio tutto risulta bilanciato alla perfezione in un’atmosfera tra il
magico e il realistico, tra l’oscuro e il meraviglioso.
Piccola nota a margine:
Lynch stesso, nel personaggio di Gordon, ci dà un accenno
di spiegazione per la vicenda creazione e smaterializzazione dei finto Dougie
Jones nel terzo episodio. L’agente dell’FBI, in un dialogo pressoché fuori contesto
con l’agente Tammy, individua nell’anulare sinistro il dito spirituale. Questo è
meta-metacinema. Ed è poeticamente fantastico.
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