La seconda stagione dell’opera di Aziz Ansari e Alan Yang
si colloca in un contesto saturo di idee e modi, eppure riesce a ritagliarsi
uno spazio di originalità, una cifra stilistica che, combinata con intenti
lontani dal gusto del genere, fonda le basi di un prodotto unico, inimitabile.
L’amore e il nichilismo sono i due poli che delimitano lo
sviluppo della storia di Dev. Nel mezzo la vita, la quotidianità, i traguardi
lavorativi, il razzismo americano. Se la prima stagione si poneva come
obiettivo quello di scavare a fonde nella vita di uno statunitense di origini
indiane, in questa seconda la discriminazione viene allargata e al contempo
ridimensionata nel più ampio respiro della serie. Si percepisce la volontà di
farne un filo conduttore della narrazione - come ad esempio nell’episodio “New
York, I love you” - ma la portata del peso dei luoghi comuni viene ridotta
dalla grandezza della trama principale. Quasi a voler normalizzare la
discriminazione quotidiana. E forse proprio questa tendenza amplifica il rumore
del grido muto delle minoranze, in un’America che va verso il disprezzo.
L’amore è quello che Dev cerca per superare il trauma
della fine dell’idillio di Rachel, è quello che il protagonista ricerca invano
per intere puntate per poi accorgersi di dover tornare al punto di partenza, al
primo meraviglioso episodio in un nostrano bianco e nero per ritrovare
Francesca, la tenera ragazza italiana alla ricerca di una via di fuga da un
futuro già scritto. Il nichilismo è il peso che ogni puntata porta con sé e
talvolta cerca di nascondere dietro una maschera di comicità. È la mancanza di
un senso che spinge i protagonisti prima
correre senza una meta, poi a rallentare, infine a fermarsi per cercare di ridare
una direzione al loro essere. Il nichilismo pervade ogni momento in cui la
telecamera si posa sullo sguardo affranto di Dev, ogni volta che una silenziosa
solitudine rompe la dialettica del protagonista, ogni vuoto che queste immagini
mostrano. Master of None si costruisce sulle parole, sugli sguardi e sulle
situazioni, ma anche e soprattutto sulle mancanze che spiccano al di sopra
delle certezze, e quando queste certezze vengono a crollare, sia in campo
lavorativo che privato, allora non resta che il vuoto di una vita che si
alimenta di troppe finzioni, a partire dal rapporto d’amicizia tra Dev e
Francesca, a partire dalla risposta che il protagonista offre a Rachel nell’ultimo
episodio. Il nichilismo è il nulla che si apre alla fine di un percorso che ci
mostra i frutti putrescenti di una storia all’apparenza lineare. Il nulla di
Master of None è quello della nostra società vuota di certezza, che tenta di
aggrapparsi ad un’idealizzata immagine del passato per costruire un futuro di
menzogne, che manca di basi per essere all’altezza della aspettative di cui ci
siamo convinti. E un giorno ci ritroveremo a fare i conti con il tempo e le
finzioni che abbiamo costruito perché non ci pesasse il mondo.
Il realismo dell’opera di Ansari e Yang non manca di
colpire allo stomaco lo spettatore con un finale opposto al gusto delle
commedie romantiche, costruito in un doppio episodio della durata complessiva
di un film. Due episodi dal titolo italiano mantenuto anche in originale: “Amarsi
un po’” e “Buona notte”. La tristezza sale verso un finale che viene
tinteggiato di grigio a partire dal momento della rivelazione, per andare a
rincarare la dose dello sconforto in un realismo che non è come vorremmo. Ma
quando sembra non restare nulla, ecco un cliffhanger che anticipa una terza
stagione non meno malinconica, non meno problematica. Basta uno sguardo a riaccenderla
fiamma.
Una serie che nasce con l’intento di far sorridere lo
spettatore sullo sfondo di tematiche sociali significative è maturata fino a
toccare l’abisso dell’animo umano. Quando ciò accade è impossibile non
riconoscere i meriti di una produzione impeccabile, in primis Aziz Ansari, vero
cuore di un piccolo capolavoro. L’intera seconda stagione inoltre è
caratterizzata da un forte impianto cinematografico che fa dei vari episodi una
sorta di mediometraggi prestati al mondo della televisione. Le luci accarezzano
gli attori, le inquadrature gettano lo spettatore direttamente negli interni
della serie, New York innevata è qualcosa di magico. Il tutto al servizio di
uno spaccato drammatico della nuova vita che ci siamo creati, in cui tutto
sembra sotto il nostro controllo, il futuro, eppure non siamo maestri di nulla.
We are what we are, Masters of None.
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