La parola di questo 2017 finora è stata “Post-verità”. Un
concetto innovativo per un fenomeno fin troppo ordinario: la secondarietà dei
fatti rispetto al racconto che se ne fa. Da destra e da sinistra e da Grillo
hanno attaccato questo fenomeno, puntando il dito contro chi alimentava macchine
della disinformazione, quando in larga parte tutti ci basiamo su post-verità
nella costruzione dei nostri pensieri, perché effettivamente la macchina
sociale, al giorno d’oggi, occupa un ruolo di primaria importanza, che arriva a
superare di gran lunga la fattualità, ritenuta ormai un decoro del fatto
sociale.
“Una doppia verità” contestualizza in una situazione
particolare il concetto di post-verità. L’avvocato Richard Ramsay, interpretato
da Keanu Reeves, è incaricato di difendere il diciassettenne Mike Lassiter dall’accusa
di aver ucciso brutalmente il padre. Il ragazzo è stato trovato inginocchiato
accanto al corpo del padre e le sue impronte erano le uniche presenti sul
coltello conficcato nello sterno dell’uomo. Un caso giudiziario a senso unico,
eppure Ramsey, coadiuvato dalla giovane avvocatessa Janelle Brady, tenterà in
ogni modo di convincere la giuria dell’innocenza di Mike.
Attraverso una struttura lineare e solida, caratterizzata
da un’invidiabile coerenza narrativa e stilistica, il film ricostruisce gli
eventi che hanno portato alla morte di Boone Lassiter e lo fa delineando dei
profili ben precisi attraverso dei flashback che si ripresentano in diverse
versioni a seconda dell’individuo che sta testimoniando in quel momento. Non siamo
mai certi della caratterizzazione che ci viene mostrata perché essa è sempre
filtrata dagli occhi del teste. Eppure una di queste versioni dei fatti dovrà
essere accolta come verità da una giuria di uomini, predisposta a valutare l’essenza
della realtà dei fatti. Il film si sviluppa come un gioco di scatole cinesi in
cui dentro una verità c’è sempre il particolare che smonta la verità stessa e
il quadro definitivo non può che essere un frastagliato ritratto degli eventi,
nulla a che vedere con la realtà dei fatti. Eppure le verità sembrerebbero
molteplici. Ogni narrazione potrebbe assurgersi a verità, ma la giuria, in ogni
frangente, non ha mai abbastanza dati a disposizione da poter eliminare completamente
la componente soggettiva della valutazione.
La metafora giudiziaria è perfetta per dare una
rappresentazione della situazione odierna nell’ambito dell’informazione di
massa. La giuria rappresenta il nostro altarino personale, sul quale saliamo a
giudicare la realtà dei fatti e a scegliere la verità. I testimoni sono invece
le influenze che quotidianamente subiamo e che spingono perché noi abbracciamo
una determinata versione della realtà, indubbiamente condizionata da altri
fattori, tra cui spicca la protezione della faccia di ciascuno; elementi
certamente legati alla soggettività di qualcuno o di un gruppo. Interessante è anche
l’aspetto collettivo della giuria, che tende a generalizzare un concetto o una
scelta nell’ambito della post-verità per farne bandiera di un gruppo, al quale
spesso non appartiene nessuno, di cui però tutti sentono l’influenza. Nel nostro essere
animali sociali, non possiamo rifiutarci di scendere a patti con la post-verità,
che è ormai parte integrante del dibattito pubblico. L’elemento soggettivo di
partenza si smaterializza nella coesistenza sociale della giuria che abbiamo
formato per decretare la verità e ritorna solo successivamente, per confrontarsi
con la decisione assunta ormai come assoluta. Questo meccanismo, per certi
versi naturale, mostra la sua pericolosità quando anche le fondamenta della
scelta collettiva non rispecchiano una verità. In questi casi l’esito finale
non può che essere un artificio lontano da tutto ciò che è reale e storia. E quando
le verità comuni, poste a fondamento della società, crollano sotto i colpi dei
fatti, gli individui perdono il senso della loro produzione di idee collettive.
Non resta che la dimensione del sospetto a riempire le pieghe di un dialogo sterile che
ha perso la verità, e forse non l’ha mai avuta.
Nessun commento:
Posta un commento