La via che porta verso casa dopo un interminabile esilio
durato venticinque anni potrà essere ripida, sconnessa, ma avrà sempre
quell’odore caratteristico, lo stesso che ci aveva fatto innamorare dei luoghi
natii. Per Lynch l’odore è quello dell’olio bruciato, il luogo natio la loggia
nera.
Twin Peaks torna ad imporsi come prodotto reale della
mente visionaria del suo autore, stavolta non costretto dal gusto comune e da
logiche di produzione, ma libero semplicemente di esprimere la sua visione
metafisica attraverso una forma oltretelevisiva. Il ritorno è dolce quanto
amaro, segnato dalla tragica conclusione della seconda stagione che vedeva il
corpo dell’agente Cooper posseduto dallo spirito malvagio di Bob. La narrazione
riprende venticinque anni dopo, con l’escamotage di una lieve retrodatazione,
per muoversi in maniera del tutto contraria al senso comune. Se altri revival
famosi in questi ultimi anni hanno riaperto un capitolo chiuso con il classico
espediente della presentazione delle storie presenti, Lynch sceglie di alterare
il corso temporale e di presentare anticipatamente una galleria di personaggi e
situazioni nuove, indubbiamente distanti dalla conclusione della seconda
stagione. Il tempo ha cambiato anche i luoghi, i modi, i volti, ma non i tempi dell’azione,
attraverso i quali Lynch ricostruisce un cordone ombelicale con la ricerca
della loggia nera e chiude, al termine del secondo episodio, un cerchio di
visioni che apre finalmente le porte al ritorno fisico dei protagonisti di Twin
Peaks (fan service della scena al Bang Bang Bar). Con questa scelta narrativa, Lynch allarga a dismisura la sua
narrazione, fortifica la trama e fonda delle basi solidissime per costruire una
serie profonda, stratificata.
La serie si apre con l’immancabile gigante, a colloquio
con Dale Cooper in una cupa atmosfera grigia. L’entità, come suo solito, si
esprime attraverso tre indovinelli - celebri quelli del primo episodio della
seconda stagione. I nuovi, che ci terranno svegli per notti, sono:
Remember 4-3-0
Richard and Linda
Two birds with one stone
Gli ultimi due in realtà potrebbero far parte del
medesimo inciso (“Richard and Linda, Two birds with on estone”). Se il terzo
indizio del gigante al momento lascia poco spazio alla speculazione, i primi
due potrebbero già trovare una spiegazione.
Remember 4-3-0. Tre numeri, di sui due già comparsi nel
corso delle prime due stagioni. Si tratta di due numeri legati al personaggio
di Hawk, rappresentato spesso con una tessera del domino in mano, prima
raffigurante tre punti, successivamente quattro. Inizialmente i fan avevano
cercato di spiegare il cambiamento di numero legandolo alle uccisioni
dell’agente di polizia, in quanto, effettivamente, il cambio coincide con
un’uccisione compiuta dal personaggio. Non è chiaro però il riferimento allo
zero, ma credo sia indubbio il legame tra questo indizio e Hawk,
successivamente centrale in un paio di frangenti in questi primi episodi.
Richard and Linda potrebbero invece essere due personaggi
all’interno della serie, o il riferimento voluto di Lynch a due artisti del
folk internazionale, i quali divennero famosi negli anni ’70 per alcuni
successi che richiamavano il tema delle luci: “I want to see the bright lights
tonight”, “Shoot out the lights”. Il riferimento potrebbe essere calzante, alla
luce dell’attenzione particolare che Lynch dimostra di avere per il
posizionamento e per l’effettiva funzionalità delle fonti luminose, come ad
esempio nella scena ormai classica dei fari dell’auto che illuminano il
percorso o nelle sequenze ambientate a New York.
Se le prime due stagioni di Twin Peaks avevano subito con
il tempo un effetto albero, andando così a sviluppare sottotrame sempre più
lontane tra loro, questa terza stagione sembra più orientata verso il modello
ad imbuto, che vede differenti narrazioni ritrovare dei punti di contatto per
poi effettivamente ricostruire un quadro unico, coerente e definito. In
particolare spiccano tre filoni narrativi principali: l’omicidio della
bibliotecaria di Buckhorne, il risveglio di Cooper nella loggia nera e la
scatola di vetro. Se le ultime due sottotrame scoprono un legame profondo verso
la fine del secondo episodio, l’omicidio di Ruth Davenport sembra seguire una
tematica più immanente, sulla scia dello stile di Fargo, ma è anche il pretesto
per portare sullo schermo il personaggio del Doppelganger di Dale Cooper,
uscito dalla loggia nera nell’ultimo episodio della seconda stagione e
probabilmente guidato ancora dallo spirito di Bob. Per venticinque anni Bob si sarebbe
quindi aggirato tra gli umani con le sembianze dell’agente dell’FBI, ma qualcosa
viene a reclamare il conto: è la loggia nera che chiede indietro il suo figlio
più violento. Questo è probabilmente il motivo della presa di coscienza dello
spirito di Coop, ancora rinchiuso nella loggia nera, che, aiutato da alcuni
personaggi storici presenti come spiriti all’interno della loggia, tenta di
sfuggire al piano metafisico prima che Bob vi faccia ritorno. Non è chiaro se
lo sviluppo contorto della sua vicenda sia effettivamente il decorso naturale
della scadenza dei venticinque anni o se la mediazione degli spiriti abbai
contribuito ad infrangere le norme della loggia. Io propendo più per la seconda
ipotesi e successivamente vi spiegherò le mie motivazioni, ma per farlo è
necessario introdurre la scatola di vetro. Probabilmente l’elemento più enigmatico
di questi primi due episodi, della teca in questione sappiamo che è uno
strumento voluto da un magnate misterioso, che alcuni ragazzi sono stati
assoldati per osservarla incessantemente e che uno di loro, prima di lasciare
l’impiego, ha visto qualcosa entrare dall’oblò sulla città di New York. Al di
là di una realizzazione tecnica degli interni meravigliosa, lo strumento assume
un significato in seguito all’ultima sequenza riguardante il ritorno
dell’originale Dale Cooper, il quale precipita nel pavimento della loggia e si
ritrova a fluttuare al di fuori dell’oblò, per poi entrare nella teca e subire
una serie di mutamenti meccanici prima di scomparire nuovamente. E su quello
che accade dopo che vorrei concentrarmi, ossia sulla comparsa dello spirito
nero che uccide brutalmente i due amanti. Una somiglianza anatomica con il
“volto” dell’albero potrebbe legare l’essere alla loggia e quindi spiegare la
natura dell’uscita di Coop dal piano metafisico. In questa teoria sperimentale,
l’agente Cooper avrebbe infranto l’ordine della loggia riuscendo ad evadere e
l’albero avrebbe assunto delle sembianze umanoidi per poter inseguire la
pecorella smarrita. L’essere oscuro che appare nella teca potrebbe essere una
personificazione reale dell’albero, concepita allo scopo di eliminare coloro
che infrangono la legge della loggia. L’albero, come escrescenza autonoma del
braccio di Mike, potrebbe essere puro male, una delle entità più influenti
all’interno della loggia nera, in contrasto con Bob per la supremazia all’interno
del piano metafisico o in combutta con più noto spirito maligno. In ogni caso
avrebbe molte ragioni per inseguire il vero Dale Cooper, perché solo se Bob
rientra nella loggia nera Dale può tornare alla realtà.
All’esterno del trittico narrativo sul quale si fondano
queste due puntate, vengono presentate diverse situazioni apparentemente
autonome, che nascondono dei collegamenti diretti con la trama principale che
sembra essere quella legata al ritorno di Bob nella loggia nera. Tra le
sottotrame più interessanti ricordiamo l’opera di Hawk, che potrebbe essere
entrato nella loggia in salvaguardia della sua eredità.
Twin Peaks è tornato, Lynch è tornato e lo ha fatto con
arte pura a servizio di una magnifica narrazione. Il momento nostalgico del
ritorno dei protagonisti delle prime due stagioni c’è stato, ma è stato
intelligentemente diluito nel corso dei primi due episodi per sfociare
nell’ultima meravigliosa sequenza sulle note di “Shadows”.
“James is still cool,
He’s always been cool.”
Quello che gli autori hanno promesso di realizzare,
quello che avevano da sempre rivendicato contro una chiusura anticipata si sta
effettivamente concretizzando. E questa serie, oltre la dimensione televisiva
che la lega alle due precedenti stagioni, si pone come summa definitiva
dell’opera filosofica-artistica del maestro David Lynch. Se queste prime due
puntate fossero un film, staremmo parlando della rivelazione cinematografica
dell’anno, della mano più posata del cinema. Allora riconosciamo a Lynch la
superiorità palese che ogni sua inquadratura esprime. Non tutti potranno
seguirlo, in pochi potranno capirlo, nessuno potrà scalfirlo.
Note sparse a margine:
Da un dialogo tra il doppelganger di Dale Cooper e la moglie del preside di Buckhorne veniamo a sapere che quest'ultima è stata guidata da uno spirito per un periodo indefinito. Lo spirito in questione potrebbe essere quello completamente nero che si intravede per pochi secondi nella cella accanto a quella del preside.
In ogni caso possiamo affermare che se muore il corpo che ospita uno spirito mentre questo vi alloggia, anche lo spirito subisce la stessa sorte.
Le entità che abitano la loggia sotto le sembianze di personaggi reali delle prime due stagioni (Laura e Leland Palmer) hanno probabilmente mantenuto una forma umana all'interno del piano metafisico, ma non possono esistere al di fuori di esso. La mancanza di un tempo causerebbe l'impossibilità della dipartita delle anime. La scena in cui Laura si mostra confusa sulla sua identità e successivamente svela la sua vera natura mistica togliendosi il volto mostra l'essenza globale a cui le anime appartengono quando vengono rinchiuse nella loggia e successivamente perdono i loro corpi umani. Un'entità unica che si manifesta con le forme degli spiriti rimasti rinchiusi nella loggia.
Catherine E. Coulson, l'attrice che interpreta la signora ceppo, è venuta a mancare nel settembre 2015 dopo una lunga malattia. La scene che la vedono protagonista in queste due puntate sono state girate proprio nel 2015, poco prima che morisse, prima ancora che Lynch iniziasse a girare la terza stagione. Lo stato di salute del personaggio era, all'epoca, probabilmente lo stato di salute della donna, ma la malattia non ha arginato la voglia di essere parte di questo storico progetto, e l'amicizia decennale con il regista ha fatto il resto. Questa storia mi ha convinto di due cose: Lynch ha sempre avuto in mente la sua creatura, non aveva bisogno d'altro che dei mezzi per realizzare la sua arte, e Twin Peaks vale più di cento Black Mirror.
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