Finalmente arriviamo a parlare di Twin Peaks, dopo due
anni di blog, dopo decine e decine di articoli che rimandavano dalla madre
delle serie tv. Perché molto spesso è impossibile parlare di intrattenimento
televisivo senza tirare in ballo la madre delle serie tv. E finalmente
arriviamo a parlarne in concomitanza con l’uscita della terza stagione evento,
a distanza di ventisei anni dall’interruzione forzata dell’opera di Lynch e
Frost. Nel ’91 infatti la serie venne chiusa in seguito ad un clamoroso calo d’ascolti,
dovuto certamente all’imposizione della CBS di alcuni paletti narrativi ai due
showrunner, i quali furono costretti a rivelare l’identità dell’assassino di
Laura Palmer.
Lynch rimase particolarmente deluso dall’epilogo della sua
creatura e in più occasioni, sia durante la messa in onda degli ultimi episodi
della seconda stagione che a distanza di anni, ribadì che nella sua mente Twin
Peaks si sarebbe dovuto arrampicare sempre attorno ad un ceppo forte come il mistero
della morte di Laura. La CBS però non volle sentire ragioni e, forte del potere
contrattuale, spinse Lynch a svelare il mistero dei misteri nel primo terzo
della seconda stagione. Alla rivelazione seguì un pesante calo dell’intensità
emotiva e narrativa della serie, che si trascino per alcuni episodi attraverso
sottotrame slegate dagli eventi principali, talvolta al limite del ridicolo,
fino all’arrivo del secondo grande filone, quello legato alla figura dello
psicopatico Windom Earle. Attraverso l’introduzione di questo indimenticabile
personaggio, Lynch riprese le fila del discorso metafisico che fin dall’inizio
aveva sviluppato attraverso sogni, delitti e camere con le tende rosse alle
pareti. fino ad arrivare all’epilogo della serie, perché a nulla era valsa una
manciata di episodi di livello per far ricredere tutti coloro che avevano
abbandonato la visione dopo il calo qualitativo. E quando fu comunicato ai due
creatori che avrebbero dovuto chiudere lo show nel giro di pochi episodi, Lynch
scelse di esagerare, di rincarare la dose e di mostrare finalmente la chiave
del mistero, la loggia nera. In un finale onirico e meravigliosamente concluso,
Lynch sfruttò anni di meditazione trascendentale per portare lo spettatore al
cospetto del suo mondo, l’ideale che lo spinge da decenni a raccontare una
realtà complessa, ancora incomprensibile ai più. E la serie si concluse con il
più terribile dei cliffanger, l’agente Dale Cooper posseduto dallo spirito di
Bob che ripete con una voce stridula: “Come sta Annie?” (“How’s Annie?”).
Si chiudeva così,tra la tristezza e lo spiazzamento, l’esperienza
televisiva più alta di sempre fino a quel momento. Perché Twin Peaks era stata
una rivoluzione senza eguali, perché Lynch aveva cambiato per sempre i canoni
dell’intrattenimento televisivo. Prima di Coop, gli episodi delle serie tv
erano autoconclusivi, raramente tentavano di sviluppare una solida narrazione
orizzontale. Prima di Bob e Mike il cinema risiedeva altrove e la serialità era
riempita di espedienti semplici per momenti semplici. È solo grazie a Lynch se
abbiamo potuto ammirare tutti i capolavori che la televisione ci ha proposto
dal ’91 ad oggi: da X-Files a Lost, da Alias a Breaking Bad. Tutto il nostro
sistema televisivo odierno ebbe origine nel 1990, nella cittadina di Twin
Peaks. Ma, riviste al giorno d’oggi, le prime due stagioni del capolavoro di
Lynch e Frost necessitano di essere contestualizzate perché, se la loro
esperienza ha aperto le porte al futuro, il loro presente era ancora un ponte
di collegamento tra un passato di serie B e un futuro radioso.
Le basi delle
prime due stagioni di Twin Peaks sono le stesse da cui le serie successive
hanno avuto la capacità di distaccarsi. Per questo l’opera di Lynch è spesso
catalogata sotto molti generi, dalla commedia all’horror, dal dramma al
grottesco, per arrivare alla telenovela. Era un’altra televisione, un altro
intrattenimento. E allora i creatori non mancarono di aggiungere gli elementi
del giallo classico, gli intrecci amorosi e i rapporti di potere oltre la
novità del sovrannaturale. Ed è proprio questa complessità a rappresentare il più
grande punto interrogativo in attesa della terza stagione. Perché la
televisione ha fatto passi da gigante in questi ventisei anni e Lynch si trova
ora nella difficile posizione di mediatore tra una brusca attualizzazione delle
modalità della sua creatura e l’improponibile riproposizione delle medesime
dinamiche del ’91, che all’epoca avevano fatto la fortuna della serie, ne erano
state il tratto distintivo. Ci saranno caratteri da trasportare e altri da
abbandonare, ci sarà da rivoluzionare un format passato senza scontentare i fan
storici della serie cult per eccellenza.
E oltre a tutto ciò, Lynch sarà anche chiamato a dare una
risposta agli infiniti quesiti lasciati in sospeso con la conclusione affrettata
della seconda stagione, per arrivare finalmente a fare luce sulla natura delle
logge, sulla modalità delle possessioni e forse anche sulla sua visione del
mondo. O forse no. Forse non è questo che vogliamo, forse è proprio il mistero
alimentato in questi ventisei anni ad aver innalzato ulteriormente la serie da
capolavoro ad essere mitologico della televisione. Forse qualcosa sarà svelato,
ma tra altri ventisei anni parleremo ancora di ciò che il maestro non ci avrà
detto, di quello che avrà tenuto per sé, anche nell’ultimo tassello di un
puzzle irripetibile.
Twin Peaks, here we go again!
Approfitto dell’occasione per ricordarvi che da martedì
23 inizia la serie di commenti di Twin Peaks episodio per episodio, cercando di
analizzare insieme i simboli in cui ci imbatteremo, tentando di arrivare alla
conclusione di tutto prima dello stesso Lynch. Per approfondire il mito, in
acque profonde.
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