Stranger Things, creatura figlia di Spielberg e delle
tenebre, comincia a stabilizzarsi su un ritmo ben preciso che affascina e
lascia col fiato sospeso ogni due/tre scene. I twist narrativi sono molto
ravvicinati e non lasciano allo spettatore il tempo di ragionare, di
introiettare e di speculare autonomamente. È tutto un forsennato coinvolgimento
in uno schema che sembra infittirsi, come una buia radura, piuttosto che
diradarsi. Arrivati ormai a metà di questa sorprendente prima stagione, notiamo
l’apertura di un altro fronte rispetto ai tre presentati nel primo commento,
ovvero quello formato dalla strana coppia Nancy-Jonathan, accomunata dalla
necessità di fare luce sulla questione aliena per ritrovare Barb e Will. Come detto
in precedenza, è nell’incastro la forza di Stranger Things: la folle teoria
delle luci, sostenuta ostinatamente dal personaggio di Winona Ryder, viene
confermata agli occhi del figlio Jonathan da un personaggio che, da quanto
ricordi, non ha mai avuto un contatto diretto con la stessa madre di Will. Una precisione
notevole nella tessitura di una trama complessa e misteriosa. La teoria delle
luci, forse il più grande mistero di questo doppio episodio. In che modo le
luci sono collegato alla sparizione di Will, e come può questo riuscire a
comunicare con la madre? Ma facciamo un passo indietro: alla luce di quanto visto
nel quarto episodio, che legame fisico sussiste tra il nostro mondo e gli
alieni? Attraverso gli esperimenti del team governativo gestito da Modine
veniamo a conoscenza della natura dell’escrescenza organica sul muro del laboratorio. Essa
è una sorta di portale tra due differenti dimensioni, probabilmente due piani
irregolari, secanti in differenti punti, che sono poi quei luoghi sinistri in
cui li alieni riescono ad evadere dalla loro dimensione, o il punto nel muro da
cui Will riesce a rivedere la madre. Le dinamiche di questa doppia dimensione
attraverso cui gli alieni riuscirebbero a spiegare anche la particolare
atmosfera che si respirava nella scena del rapimento di Will, come se il mondo
fosse lo stesso ma non fosse il suo, quello conosciuto, come se fosse un
negativo della realtà dato da un ingresso alternativo. Le luci dunque
rappresenterebbero un canale di comunicazione interdimensionale a cui ricorre
il piccolo Will, ma, al contempo, le fonti luminose subiscono delle anomalie
anche nel momento in cui i cosiddetti “alieni” si palesano agli umani o sono in
procinto di farlo, come è successo per Will nel primo episodio e per Barb nel
secondo.
A questo punto però sorge spontanea una domanda: assodato
che Barb sia stata uccisa da questi esseri senza volto nelle bellissima
sequenza d’apertura del terzo episodio, per quale motivo Will dovrebbe essere
stato risparmiato? Come avrebbe potuto sfuggire ad una razza del genere solo
con le sue forze per poi ritrovarsi a nascondersi per sfuggire a morte certa? Perché
gli alieni dovrebbero rapire gli esseri umani? Non so dare una risposta a quest’ultima
domanda, ma credo che un indizio per risolvere le prime due, simili questioni,
debba essere ricercato nell’organizzazione dei “Bad” e nel loro forsennato tentativo
di insabbiare la scomparsa di Will inscenandone una morte fittizia. Dalla sequenza
in cui viene mandato un ragazzo ad esplorare l’altra dimensione, personaggio
poi drammaticamente strappato dal suo cavo di salvataggio, scopriamo che l’organizzazione
statale ha interesse nella ricerca su ciò che si situa all’interno del portale
semovente. Essi allora potrebbero avere in Will una sorgente di informazioni dall’altra
dimensione, un elemento di continuità tra due mondi utile alle loro ricerche. Altra
ipotesi rivaluterebbe in parte la figura del dottor Brenner: e se invece essi
stessero cercando di recuperare il piccolo Will con missioni quasi suicida? In questo
modo la spedizione del ragazzo a cui abbiamo accennato sopra avrebbe un nuovo
senso, ma tutto ciò striderebbe parzialmente con la volontà di nascondere le
prove e di allontanare Hopper dal caso. Una situazione complessa che rivela il
vero tassello mancante della serie finora, ossia i collegamenti. Se da una
parte infatti abbiamo molti pezzi del puzzle, molte personalità differenti,
schieramenti abbastanza delineati, quello che manca sono i legami tra i vari
personaggi e le differenti situazioni in cui sono implicati. Una mancanza che
amplifica la suspance e lascia libera l’immaginazione.
Come previsto, l’episodio delle foto compromettenti
scattate da Jonathan ha portato a due situazioni decisamente interessanti: in primo luogo la scoperta delle figure degli alieni e quindi la conferma, come detto,
delle teorie di Joyce agli occhi del figlio più grande, in secondo luogo l’avvicinamento
di due personaggi differenti, che fino a quel momento di erano sfiorati solo in
occasione delle parole di conforto di Nancy. Continuo a rimanere dell’opinione
che l’evento alla base di questi sviluppi della trama non sia stato
giustificato a dovere e che quindi questa collaborazione tra il ragazzo e la
ragazza nasca con premesse tutt’altro che credibili. Nonostante si tratti di
una serie incentrata sui rapimenti alieni e sugli esperimenti governativi,
credo debba essere sempre mantenuta una credibilità logica. Che si traduce
nella necessità che i protagonisti operino seguendo le indicazioni generate
dalla domanda “Cosa farei io in quella situazione?”.
Nonostante in questo doppio capitolo non ci sia stato
spazio di discussione per l’argomento specifico, perché quando si opta per un
doppio commento, inevitabilmente qualcosa si perde nel prosieguo della trama,
va fatto un plauso enorme alla gestione del colpo di scena conclusivo del terzo
episodio. Esso arriva in un momento inaspettato, quando io personalmente mi
sarei atteso il copro di Barb. Una sequenza toccante, emozionante, profonda,
che si sposa alla perfezione con la cover di Heroes di Bowie scelta per la
sequenza. Un pathos crescente che produce indubbiamente uno dei momenti più
alti della televisione degli ultimi anni. Al livello della conclusione delle
peripezie di John Tackery al Knick, ma ancora un gradino sotto rispetto al
finale della terza stagione di Lost. “Not Penny’s Boat”. Charlie, ancora ti
pensiamo.
Nessun commento:
Posta un commento