sabato 16 luglio 2016

ATTENTATI, TRENI, OPERE E OMISSIONI

Ogni tanto mi interrogo sul mio ruolo. Sono giovane, ho ancora diversi anni di studio davanti e un blog, piccolo. Ogni tanto mi interrogo sull’utilità di ciò che scrivo, sulle modalità e sulla profondità possibile delle analisi che cerco di proporre. Mi hanno detto scherzosamente che sarei un blogger perché scrivo sul mio blog; rimango un ragazzo giovane con ancora diversi anno di studio davanti. Però, interessandomi al mondo della cultura popolare, alla scrittura e alle modalità d’espressione di questo paese, credo di aver compreso una distinzione fondamentale tra diversi livelli di evento, o meglio diversi modi in cui noi accadiamo nell’evento. Esistono infatti realtà e situazioni con cui ci rapportiamo in maniera differente non tanto per la nostra capacità di giudizio, quanto per la portata dei fatti. Esistono realtà che comprendiamo appieno perché le viviamo in prima persona o perché non necessita di un completamento immaginativo e situazioni altre che presentano invece delle falle contenutistiche o formali, ma esse sono per loro natura aperte al confronto e alla possibilità dell’individuo di intervenire attivamente aggiungendo del proprio. A questa seconda tipologia ho associato il mio lavoro di scrittura critica sul blog: gli argomenti che tratto spesso si sposano perfettamente con la necessità che l’individuo elabori l’oggetto e, contemporaneamente di riflesso, che l’oggetto venga parzialmente rielaborato da un individuo, andando a creare un connubio che potremmo banalmente definire “interpretazione”. Esistono però altri eventi ancora che ci sfuggono quasi totalmente , che non riusciamo a comprendere perché non possiamo, perché sono troppo imponenti rispetto alla nostra mole. Sono momenti complessi, enormi e distanti dalla nostra limitatezza naturale. Limitatezza che emerge in relazione alla posizione che assumiamo e manteniamo all’interno della nostra struttura societaria. In questi casi una forma di interpretazione immaginativa è più che mai deleteria.



Nonostante ciò, gli ultimi complessi giorni sono stati un recipiente senza fondo di ideologie basse applicate a forza a circostanze lontane dalla realtà che tocchiamo con mano. Questo recipiente è stato ed è tuttora facebook, che ha dato la possibilità a tutti di esprimere opinioni su eventi che non necessitavano affatto della parola di elementi esterni per essere nella loro compiutezza, ma che spesso si nutrono dell’irragionevolezza dell’ignoranza che vuole riempire le falle delle realtà individuali con la violenza dell’opinione. La questione della libertà di pensiero è deragliata da tempo, rovesciando l’ordine del reale, manipolando la distinzione di cui parlavo poc'anzi e ponendo ingiustamente al centro il singolo individuo, che apre la bocca per parlare, la richiude e scrive. In nome della libertà di pensiero ci siamo convinti della veridicità di tutto ciò che crediamo vero. E in questo marasma di banali soluzioni ad incompresi problemi, abbiamo perso di vista l’importanza del fatto nella sua forma e nel suo rapporto mancato con l’individuo che vive la periferia della politica mondiale.

Questa nuova frontiera della disinformazione individuale e nuclearizzata è però estendibile anche ad una tipologia di politici che tenta instancabilmente di fronteggiare l’altra parte fondandosi sulla libertà di pensiero e sforando le conoscenze oggettive del momento. Un esempio recente di questa tendenza (appartenente già alla vecchia scuola, ma evolutasi col l’avvento della tecnologia, rimanendo al passo coi tempi) è lo sciacallaggio politico venutosi a creare in seguito all’incidente mortale avvenuto il tredici luglio scorso in Puglia. Incidente che è costato la vita a ventisette persone. In questo caso il MoVimento 5 Stelle non ha perso l’occasione di attribuire le responsabilità dell’incidente a Renzi, al ministro Delrio e all’attuale governo tutto con un esplicito post sulla pagina facebook del partito. In tal modo il movimento di Grillo ha approfittato delle falle di un evento complesso per saltare a piè pari l’iter naturale della disgrazia, per giungere repentinamente alla caccia al colpevole. Perché abbiamo sempre bisogno di un colpevole. Riempire le mancanze di informazioni tragiche con dati economici e speculazioni tendenzialmente faziosi per cavalcare l’onda del fenomeno mediatico è una pratica becera e deplorevole, specialmente quando messa in atto da un aggregazione che dovrebbe spingersi al di là delle limitazioni dei singoli in virtù della differente qualità delle informazioni pervenute e della posizione occupata nella macchina statale.
Se questa mossa politica bassa, fondata sulla libertà d’espressione, ha avuto però un senso, seppur maleodorante, volto ad attaccare l’elettorato di centrosinistra per convertirlo alla causa grillina, ben più esemplificativa è stata la risposta della comunità virtuale alla strage di Nizza. Migliaia di comizi deserti, tutti simili, tutti rabbiosi, imbruttiti e propensi a soluzioni drastiche. Tutti violenti verso una realtà sfuggevole che ci colpisce e scappa. In questo il terrorismo si differenzia da problematiche che sentiamo in toto lontane dai nostri lidi: nel caso degli attentati percepiamo di essere sì coinvolti in prima persona, vista la vicinanza geografica e culturale dei luoghi colpiti, ma allo stesso tempo qualcosa manca nel nostro puzzle mentale per riuscire ad avere una visione chiara e distinta della situazione attuale. Questa opacizzazione della vicinanza, questa sorta di astigmatismo dell’informazione, non scoraggia però i più, sempre pronti ad aggiungere, a ribellarsi nelle parole di un post per debellare definitivamente l’annosa piaga del terrorismo. Sempre pronti a dire "basta" per qualcosa che non comprendono e di cui hanno enormemente paura. Pronti ad assalire verbalmente un credo religioso, pronti a proporre soluzioni drastiche per annientare completamente una civiltà, pronti a cacciarli via tutti in nome della pace e del futuro, pronti alle bombe. Sempre pronti a tirare in ballo la mistica Fallaci, che aveva ragione su tutto.



In un'intervista pubblicata su The New Yorker nel maggio 2006, la Fallaci si dichiarò indignata per la costruzione di una moschea Colle Val d'Elsa dichiarando: «Se sarò ancora viva andrò dai miei amici di Carrara, la città dei marmi. Lì sono tutti anarchici; con loro prendo gli esplosivi e lo faccio saltare per aria. Non voglio vedere un minareto di 24 metri nel paesaggio di Giotto, quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia. Quindi, lo faccio saltare per aria!».

“Quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia”. È questo rabbioso livellamento verso il basso della chiusura che accomuna gli individui incapaci di fronteggiare la realtà superiore senza invadere i vuoti che inevitabilmente si vengono a creare.
Qual è dunque la soluzione a tutto ciò, ai conflitti, al mondo di ingiustizie, alle morti innocenti che continuiamo ad esperire? Non lo so, non me la invento. Non posso saperla. Non sono neanche un blogger, pur avendo un blog, come potrei avere una soluzione da questa posizione defilata? Accetto la mia limitatezza conoscitiva, riconosco le falle di questo mondo, ma non le riempio e fortifico con giudizio violento. Le lascio essere vuoti. Cosa possiamo fare allora noi, periferia della democrazia? Dobbiamo continuare ad indignarci, a prendere a cuore le situazioni critiche del mondo senza voltarci, lasciare che questi giorni lascino il calco e pensare che le bombe intelligenti che un giorno cadranno sulla terra arida del Medio Oriente e sulle scuole non saranno mai la fine, solo la morte, con la quale l’ideologia vive. E continuare a sperare, che la speranza, nell’indignazione e nel tetro disappunto, è l’ultima cosa che ci resta prima del baratro dell’odio. E quando sentirete ancora l’impulso irrefrenabile di scrivere nel nuovo parlamento dell’agorà di facebook che il corano incita alla guerra, che l’Islam è una religione da fronteggiare, che dovremmo bombardare il mondo per portare la pace, ricordatevi di non sapere. Che non potete sapere. Non lasciatevi trasportare dai castelli erranti d’odio eretti dai personaggi che popolano la scena aperta del nuovo millennio, ma rimanete in silenzio. Ricordando, sempre.

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