Ricapitoliamo alcuni eventi importanti degli ultimi
giorni, per i più distratti o semplicemente per rinfrescare la memoria:
5 luglio: Alton Sterling, afroamericano, dopo essere
stato immobilizzato, viene ucciso dalla polizia di Baton Rouge, in Lousiana.
6 luglio: Philando Castile, afroamericano, viene ucciso
dalla polizia mentre tira fuori dalla tasca il portafogli a Saint Paul, in
Minnesota; la moglie riprende la scena e pubblica il video su Facebook.
7 luglio: Micha Johnson, afroamericano, uccide cinque
agenti di polizia al termine di una manifestazione di protesta.
Senza entrare nel dettaglio di questi episodi, appare
chiaro che la situazione negli States è piuttosto tesa. E non è affatto
semplice per noi europei comprenderla appieno. Perché per quanto i recenti
fatti di cronaca nostrani siano altrettanto preoccupanti, mettono in luce due
tipologie di razzismo ben diverse. La comunità afroamericana è da generazioni
parte degli U.S.A., rappresenta più del 12% della popolazione e inoltre questi omicidi sono stati compiuti da forze dell’ordine e
avvengono in un paese in cui le armi le compri praticamente al supermercato. Forse
l’unico punto di contatto tra i due contesti è il rifiuto da parte di una
consistente fetta di popolazione, del “politicamente corretto”. Che di per sé
sarebbe anche un’idea comprensibile, se fosse portata avanti con cognizione: Ricky
Gervais e Vittorio Sgarbi sono politicamente scorretti, Trump e Salvini sono
razzisti. C’è una bella differenza.
Ma come dicevo, al di là di queste analogie, i due
fenomeni sembrano molto differenti e se già è complicato per un bianco
americano addentrarsi nella cultura afroamericana e nelle sue contraddizioni vere
e apparenti senza pregiudizi e senza ingenuità, è ancora più difficile per chi non
vive nel paese dell’aquila calva.
In nostro soccorso giunge come suo solito la musica, che
come spesso accade riflette la realtà più di quanto non facciano immagini e
discorsi. Da quando sono accaduti questi episodi c’è stato un proliferare di
canzoni sul tema pubblicate da artisti americani e non, afroamericani e non.
Quello che colpisce è la qualità sorprendente di queste registrazioni,
presumibilmente scritte, arrangiate e prodotte in pochi giorni se non ore.
Tutto ciò dimostra quanto grande sia il coinvolgimento emotivo di alcuni artisti,
in questo caso più che mai di alcune persone, in queste vicende. Emblematiche
sono state le lacrime di commozione versate da
Miguel durante un concerto di qualche giorno fa. Il cantante americano era
impegnato nel tour di promozione del suo ultimo album, Wildheart – uno dei
lavori più interessanti del 2015 nel panorama r&b che non ha ricevuto tutta
l’attenzione che meritava, recuperatelo se ve
lo siete perso – e ha colto l’occasione per dire la sua in un discorso
particolarmente sentito. Discorso che ha poi rimodellato nella forma di canzone in How Many. In realtà la versione che è
stata resa pubblica è How Many ruff 1, in
quanto il pezzo è ancora una demo e verrà aggiornato ogni settimana man mano
che il lavoro procede. Ma già in questa versione “grezza” promette di essere un
grande pezzo.
Come era prevedibile è proprio l’ambiente della musica
afroamericana, r&b, hip-hop e soul ad essere particolarmente attento alle
tematiche legate al razzismo, difatti molti dei pezzi pubblicati arrivano proprio
da queste scene. In queste situazioni diventa anche difficile per chi ascolta
distinguere tra artisti che scrivono spinti da un sentimento sincero e quelli
che cavalcano l’onda mediatica. Gli stessi artisti ne sono ben consci e
qualcuno ha tenuto a precisarlo. Tra questi Boogie, rapper della scena di
Compton, che ha pubblicato sul suo canale SoundCloud Hypocrite Freestyle, un freestyle appunto, che tra le altre cose campiona una
frase della moglie di una delle vittime dei recenti avvenimenti. In perfetta
coerenza con il modo di porsi degli artisti hip-hop, spesso controverso, il testo è decisamente più duro e si schiera senza tanti
giri di parole, attaccando quella parte della polizia responsabile delle azioni
violente ma anche la parte che rimane in silenzio di fronte ad esse. Canzoni
come questa sono un’ulteriore dimostrazione di quanto sia complesso avere una
visione d’insieme di questi fenomeni e contesti (fino ad ora l’analisi più
interessante ed esaustiva che ho trovato è quella fatta da David Foster Wallace
e Mark Costello in Signifying Rappers, Il rap
spiegato ai bianchi nella traduzione italiana, che è uno dei più bei libri di
musica che io abbia letto).
Ad avere un’idea il più possibile imparziale sono stati i
My Morning Jacket. Anche loro utilizzando SoundCloud hanno sorpreso il pubblico
condividendo una traccia inedita, Magic Bullet.
Il pezzo musicalmente non ha davvero nulla a che vedere con i loro ultimi
lavori in studio ma è molto orecchiabile nel suo incedere monotono ma non per
questo non coinvolgente. Il cuore della canzone è il testo, ben scritto, che
riesce ad esprimere concetti dati troppo spesso per scontati senza scadere nella
retorica e conservando quel tocco di poesia capace di renderlo memorabile.
Non sono stati ovviamente questi gli unici esempi di
artisti e che hanno voluto dire la loro con gli strumenti (letteralmente) a
loro disposizione: anche personaggi decisamente più celebri come Ariana Grande e Jay-Z si sono espressi tramite
canzoni o playlist create ad hoc. Quello che traspare da canzoni come queste o
da lavori più complessi pubblicati negli ultimi tempi come To Pimp A Butterfly non
è tanto la volontà di fare politica tramite la propria arte, nessuno di questi
artisti si illude che la musica possa avere un ruolo attivo nel cambiamento, ma
è il tentativo di raccontare le realtà, le persone e le emozioni, facendole
arrivare il più lontano possibile. E la musica è senza dubbio il modo migliore.
Marsha Bronson
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