Gli esami stanno volgendo al termine. Gli esami di
quest’anno, di questa sessione, di questa maturità. Ricordo la mia maturità
come fossero passati appena due anni, e invece ne sono passati appena due: era
l’estate del 2014 e fu un’esperienza totale, un segno che resta. Resta così
forte che ogni anno mi interesso nuovamente all’ambiente scolastico durante il
periodo degli esami per sentire ancora quell’odore familiare, rivedere quelle
facce tese, quelle teste calde, riprovare quelle emozioni che un esamino facile
facile come Filosofia Teoretica B non dà. Potrebbe essere un discorso retorico,
di quelli alla “Si stava meglio quando si stava peggio”, ma l’età che avanza,
gli acciacchi del tempo mi portano sempre più spesso a fare questi pensieri
nostalgici e malinconici che mi scende la lacrimuccia ogni volta.
Ogni anno quindi ricapito in mezzo a giovani ragazzi e
ragazze nel pieno del loro esame di maturità. Li osservo, mentre gridano, si
strappano i capelli, organizzano viaggi della maturità che forse faranno come
premio, forse come via di fuga dalle ire dei genitori. Che sono sempre irosi in
questo periodo, sarà il caldo. Li osservo e mi chiedo: “Com’ero io, com’eravamo
noi in quel momento della nostra vita?”
Ci hanno sempre detto che un tempo che fu i giovani erano
più maturi, interessati alla politica, impegnati nel sociale. Ci hanno ripetuto
che loro sì che erano pronti ad “entrare” in società, ad entrare nel mondo del
lavoro, a produrre e ad essere il loro prodotto. Erano in procinto di
diventare, delinearsi ed essere. E per certi versi questo discorso si sposa
coerentemente con lo “slittamento dell’età” a cui abbiamo assistito in questi
ultimi decenni, in seguito alle innovazioni tecnologiche e ai progressi in
campo medico che hanno alzato notevolmente l’età media della popolazione. Tutto
filerebbe liscio, tutto potrebbe essere specchio di una trasformazione sociale
e generazionale imponente; tutto perfetto, se non fosse per un leggerissimo e insignificante
particolare personale: quando ricapito a guardare un esame di maturità mi sento
sempre meno maturo del candidato, nonostante siano passati due anni dal mio
momento. Credo di essere meno maturo ora rispetto a loro, nonostante qualche
anno di differenza, e credo che il mio io di due anni fa sia lontanissimo dallo
standard di maturità dei maturandi contemporanei. E quindi perdo sempre, sia da un lato che dall'altro. Vuoi vedere che alla fine sono io il punto più basso
della curva?
Si dice che l'età sia solo un numero, e che non esiste più la mezza stagione - no aspetta, l'ultima non c'entra. Ma forse non è l’età, non è il tempo, la cronologia che
viviamo e i traumi che ci segnano, ma un’interpretazione dell’età. Forse tutto
dipende da come noi crediamo di vivere un determinato momento della nostra
vita. Il peso che gli attribuiamo, le responsabilità che crediamo esso abbia
nel tempo perduto. E forse allo stesso modo qualcun altro avrà scorto in me una
maturità inaspettata in un gesto meccanico che faceva parte del momento,
inquadrato nell’immagine di una prova di umanità cresciuta. Ma tutti tendono a
viversi dando meno tempo al tempo, pesando diversamente la prossima esperienza,
continuando a fingersi neonati dentro per mentire ad uno specchio e al mondo
che gira inesorabile, per contrastare i granelli fini che riflettono la luce
della luna nella fine del nostro istante di eternità. Ci vediamo immaturi per
darci il tempo di realizzare la finitezza della vita e delle possibilità che ci
investono, ci passano, ci sorpassano e non ci aspettano mai; e credere di
essere ancora in tempo ci dà l’illusione che quelle occasioni ripasseranno, che
tornerà il tempo nell’eterno ritorno. Ma ogni esperienza ci raggiunge diversa
in sé e in noi, e ogni granello di quella clessidra dorata mostra nuova facce,
nuovi spigoli, calamità.
Non tutto si traduce, però, in una disfatta tremenda dell’uomo: l’immaturità dell’eternità, contemporaneamente alla chiusura di un mondo
differente da quello in cui siamo cresciuti, mantiene aperte le porte di una
diversa sensibilità, di un diverso approccio illuso alla vita. Che un giorno si
frammenterà sotto i colpi del giorno, ma intanto tiene il cuore in ascolto del cuore
chiuso degli altri. e forse questa perdita di tempo vitale vale più di mille
impegni, comizi, credenze distratte.
Non siamo forse maturi fin quando non vogliamo affrontare
la realtà della limitatezza temporale dei nostri giorni, finchè non ci
accorgiamo di avere la necessità di lasciare qualcosa di noi in questo mondo e
mettiamo da parte le forme del pensiero per essere davvero. Ma quel giorno, il
giorno in cui si cresce, qualcosa del sogno muore con la nostra infanzia
perduta, che non stava al tempo e non si preoccupava di starci. Che quella
maturità alla fine la presi, ma non è che la volessi poi tanto. Che restare
immaturi è motivo di vanto.
E non è avere vent’anni
E non è avere gli esami
Fidati è qualcosa in più
Fidati è qualcosa in più
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