domenica 3 luglio 2016

IL TEMPO DELLA MATURITÀ

Gli esami stanno volgendo al termine. Gli esami di quest’anno, di questa sessione, di questa maturità. Ricordo la mia maturità come fossero passati appena due anni, e invece ne sono passati appena due: era l’estate del 2014 e fu un’esperienza totale, un segno che resta. Resta così forte che ogni anno mi interesso nuovamente all’ambiente scolastico durante il periodo degli esami per sentire ancora quell’odore familiare, rivedere quelle facce tese, quelle teste calde, riprovare quelle emozioni che un esamino facile facile come Filosofia Teoretica B non dà. Potrebbe essere un discorso retorico, di quelli alla “Si stava meglio quando si stava peggio”, ma l’età che avanza, gli acciacchi del tempo mi portano sempre più spesso a fare questi pensieri nostalgici e malinconici che mi scende la lacrimuccia ogni volta.


Ogni anno quindi ricapito in mezzo a giovani ragazzi e ragazze nel pieno del loro esame di maturità. Li osservo, mentre gridano, si strappano i capelli, organizzano viaggi della maturità che forse faranno come premio, forse come via di fuga dalle ire dei genitori. Che sono sempre irosi in questo periodo, sarà il caldo. Li osservo e mi chiedo: “Com’ero io, com’eravamo noi in quel momento della nostra vita?
Ci hanno sempre detto che un tempo che fu i giovani erano più maturi, interessati alla politica, impegnati nel sociale. Ci hanno ripetuto che loro sì che erano pronti ad “entrare” in società, ad entrare nel mondo del lavoro, a produrre e ad essere il loro prodotto. Erano in procinto di diventare, delinearsi ed essere. E per certi versi questo discorso si sposa coerentemente con lo “slittamento dell’età” a cui abbiamo assistito in questi ultimi decenni, in seguito alle innovazioni tecnologiche e ai progressi in campo medico che hanno alzato notevolmente l’età media della popolazione. Tutto filerebbe liscio, tutto potrebbe essere specchio di una trasformazione sociale e generazionale imponente; tutto perfetto, se non fosse per un leggerissimo e insignificante particolare personale: quando ricapito a guardare un esame di maturità mi sento sempre meno maturo del candidato, nonostante siano passati due anni dal mio momento. Credo di essere meno maturo ora rispetto a loro, nonostante qualche anno di differenza, e credo che il mio io di due anni fa sia lontanissimo dallo standard di maturità dei maturandi contemporanei. E quindi perdo sempre, sia da un lato che dall'altro. Vuoi vedere che alla fine sono io il punto più basso della curva?


Si dice che l'età sia solo un numero, e che non esiste più la mezza stagione - no aspetta, l'ultima non c'entra. Ma forse non è l’età, non è il tempo, la cronologia che viviamo e i traumi che ci segnano, ma un’interpretazione dell’età. Forse tutto dipende da come noi crediamo di vivere un determinato momento della nostra vita. Il peso che gli attribuiamo, le responsabilità che crediamo esso abbia nel tempo perduto. E forse allo stesso modo qualcun altro avrà scorto in me una maturità inaspettata in un gesto meccanico che faceva parte del momento, inquadrato nell’immagine di una prova di umanità cresciuta. Ma tutti tendono a viversi dando meno tempo al tempo, pesando diversamente la prossima esperienza, continuando a fingersi neonati dentro per mentire ad uno specchio e al mondo che gira inesorabile, per contrastare i granelli fini che riflettono la luce della luna nella fine del nostro istante di eternità. Ci vediamo immaturi per darci il tempo di realizzare la finitezza della vita e delle possibilità che ci investono, ci passano, ci sorpassano e non ci aspettano mai; e credere di essere ancora in tempo ci dà l’illusione che quelle occasioni ripasseranno, che tornerà il tempo nell’eterno ritorno. Ma ogni esperienza ci raggiunge diversa in sé e in noi, e ogni granello di quella clessidra dorata mostra nuova facce, nuovi spigoli, calamità.
Non tutto si traduce, però, in una disfatta tremenda dell’uomo: l’immaturità dell’eternità, contemporaneamente alla chiusura di un mondo differente da quello in cui siamo cresciuti, mantiene aperte le porte di una diversa sensibilità, di un diverso approccio illuso alla vita. Che un giorno si frammenterà sotto i colpi del giorno, ma intanto tiene il cuore in ascolto del cuore chiuso degli altri. e forse questa perdita di tempo vitale vale più di mille impegni, comizi, credenze distratte.
Non siamo forse maturi fin quando non vogliamo affrontare la realtà della limitatezza temporale dei nostri giorni, finchè non ci accorgiamo di avere la necessità di lasciare qualcosa di noi in questo mondo e mettiamo da parte le forme del pensiero per essere davvero. Ma quel giorno, il giorno in cui si cresce, qualcosa del sogno muore con la nostra infanzia perduta, che non stava al tempo e non si preoccupava di starci. Che quella maturità alla fine la presi, ma non è che la volessi poi tanto. Che restare immaturi è motivo di vanto.

E non è avere vent’anni
E non è avere gli esami
Fidati è qualcosa in più
Fidati è qualcosa in più

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