E il problema non si è posto fino ad una settimana prima
del concerto, quando ci siamo ricordati di aver comprato i biglietti, ci siamo
resi conto che di andare a sentire Silvano Coez non ne avevamo assolutamente
voglia, che noi si conosce due canzoni o tre, e abbiamo cercato disperatamente
di cedere i nostri ingressi. Non ci siamo riusciti.
Concerto alle 21 secondo ticketone, alle 22 secondo
facebook.
Alle 19 partiamo da casa.
Alle 20:20 parcheggiamo nel posto adibito a parcheggio,
poi una lunga camminata fino al luogo del concerto. Cosa c’entra la passeggiata
col resto? Lo scoprirete dopo.
Alle 20.40 siamo dentro.
Alle 20:45 ci sediamo a 20 metri dal palco.
Alle 21 un ragazzo si alza per sgranchirsi le gambe e
tutta la gente seduta pensa sia il momento di alzarsi per non perdere il posto.
Ci alziamo anche noi, veniamo schiacciati verso il palco. Ci aspetta un’ora e
mezza di dolore alla schiena e sudore altrui. Bene così.
Comincia a muoversi qualcosa sul palco e i fonici mettono
in loop alcuni pezzi, ovviamente non di Coez, che da una parte è positivo, dall’altra
avremmo potuto imparare qualche canzone per il concerto. E invece no.
Il mix scelto per scaldare il pubblico sembra una playlist
personale di spotify. Completamente random. Talmente random che ad un certo
punto parte la sigla di Stranger Things e un po’ mi emoziono.
Io e mio fratello cominciamo a guardarci un po’ attorno,
per quello che possiamo, perché siamo schiacciati da ogni lato. E nel guardarci
attorno ci accorgiamo che la fauna silvana è così composta:
- 50% ragazzin* adolescenti della zona che potrebbero
aver raggiunto il posto del concerto anche in bici
- 30% coppie mal assortite di cui lei conosce tutte le
canzoni a memoria. Lui l’abbraccia da dietro per non farle scoprire che non sa
manco “Faccio un casino”.
- 15% bambine in età preadolescenziale accompagnate dai padri
che se li guardi in faccia puoi capire le bestemmie che stanno pensando dentro.
- 5% gente come noi, che è capitata lì e non sa neanche
come.
Una ragazza alla nostra sinistra scruta il palco con
sguardo corrucciato. Probabilmente è il suo sguardo classico, ma a me e a mio
fratello piace pensare stia disapprovando il concerto. Che poi in realtà è
quello che stiamo facendo noi, dentro.
A destra invece un padre tiene la figliola sulle spalle. La
figliola di dieci anni. Io ne ho quasi 23. Vedrò ancora del pogo, ma non oggi.
Intanto si sono fatte le 22 e direi che il concerto non
era alle 21. E direi anche che non ci sarà nessuno ad aprire Coez.
Alle 22:15 si spengono le luci. Gridiamo. Guardiamo con
desiderio carnale il palco. E poi lieve dalle casse parte “Africa” dei Toto. E dapprima
confuso, il pubblico così eterogeneo inizia a cantare “Africa” e ci abbracciamo
in un turbinio di sentimenti e nostalgia. E le ragazze dietro di noi
sbiascicano parole che se non sai manco il ritornello di “Africa” dei Toto ti
meriti Coez Ebbasta.
Alle 22:30, dopo un’ora e mezza di dolori o odori, dopo
tre ore e mezza da quando abbiamo lasciato i nostri alloggi, finalmente arriva
Coez sul palco, col cappellino, con gli occhiali da sole, con le sue canzoni
così nazionalpopolari.
Canta “Siamo morti insieme”, non la sappiamo. Speriamo nella
seconda.
Canta “Forever Alone” (che il mood ormai è proprio da
suicidio), non la sappiamo. Ci avviamo verso l’uscita.
E invece canta “Le luci della città”. Torniamo al nostro
posto.
Dopo tre canzoni Silvano saluta il pubblico che lo
acclama e io e mio fratello ci rendiamo conto di essere nel posto sbagliato al
momento sbagliato. L’atmosfera è simpatica, fresca, estiva. Ma stiamo
assistendo ad uno spettacolo per regazzini. Questo è certo. E anche gli
intermezzi parlati sembrano rivolti ad un pubblico adolescente.
“Chi vi piace di più, Banana o Passerotto (due membri
della band, ndr)?”
“A chi volete più bene, a mamma o a papà?”
Banana che cucina per Coez |
E la serata va avanti così finché non mi viene in mente
di spoilerarmi la scaletta per prepararmi meglio alle poche canzoni che so e
che ho voglia di cantare. Verso la fine scorgo una “Barceloneta”.
(Ora, dovete sapere che io e mio fratello abbiamo gusti
musicali molto differenti e un nostro passatempo è insultare l’altro per quello
che ascolta sotto la doccia. Ma su Franco e Carlo siamo d’accordo. Non è che
siamo proprio fan. Non è che abbiamo imparato le canzoni a memoria. È proprio
che quando siamo in macchina ci facciamo i duetti. Lui fa Carl Brave, che si è
comprato pure le camice uguali. Io, per esclusione, Franco 126, che è un po’
quello meno dotato del duo. Ci doppiamo pure, facciamo pure “Eh eeh”. È tutto
molto imbarazzante.)
Ci mettiamo allora ad aspettare impazienti la canzone con
il duo romano, ma quando è il momento Coez la salta a piè pari. E questo ci
rattrista molto. Se aveva bisogno di due voci per sostituire Carl e Franco
potevamo salire noi sul palco.
Poi i pezzi quelli più famosi, un paio di bis e il
concerto termina a mezzanotte. Io e mio fratello ci affrettiamo verso l’uscita .
Nell’impeto inforco una borsetta poggiata a terra col piede e me la trascino
per qualche metro. Tutto normale.
Dall’uscita seguiamo la folla che dovrebbe dirigersi
verso il nostro stesso, enorme parcheggio. Ma inaspettatamente ci mettiamo la
metà del tempo impiegato all’andata. Arrivati al parcheggio ci dirigiamo dove
ricordiamo di aver lasciato la macchina, ma non riusciamo a trovarla. E intanto
la folla che abbiamo lasciato indietro ci ha quasi recuperati.
Qualcosa non quadra: le macchine sono tutte girate di
90°.
“Simò, qua due sono le cose: o qualcuno ha girato tutte
le macchine o abbiamo sbagliato parcheggio.”
“E che ci sono due parcheggi ugualidentici?”
Io rido, lui perde una goccia di sudore freddo dalla
fronte.
Lui: “Mo fermo uno con la pettorina e gli chiedo se c’è
un altro parcheggio così”
Intanto le macchine hanno cominciato a muoversi e ci
troviamo nel caos più totale.
Sempre lui: “Aspé, ma noi da che parte siamo entrati?”
“Eh, non abbiamo fatto tutta la strada dell’andata”
“Quello è l’ingresso del parcheggio. Noi siamo andati di
là prima. Quindi la macchina deve essere là”.
E girandoci di 90°, effettivamente il parcheggio torna ad
essere quello di cinque ore prima. Camminiamo un altro po’ tra la confusione e
infine arriviamo alla mia santa Punto rossa.
Saliamo in macchina, riusciamo ad uscire con un po’ di
fatica. Prendiamo l’autostrada per tornare a casa e mettiamo “Barceloneta”.
Non ti preoccupare Silvano, noi ci sappiamo arrangiare. La
tua parte la cantiamo insieme io e mio fratello. Grazie lo stesso.
Da sinistra a destra: io, Simone e l'amico Silvano. Eh eeh |
P.S. ma le ragazze che cantano la strofa de "La musica non c'è" nell'orecchio del ragazzo proprio mentre Coez la sta intonando sul palco a tutto volume, che problemi hanno in realtà? C'è ancora speranza per loro?
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