mercoledì 4 luglio 2018

SONO ANDATO AL CONCERTO DI COEZ, MA NON VOLEVO. GIURO

Questa storia parte da lontano. A gennaio mio fratello è tornato dal freddo islandese con qualche dollaro in più. Anche io in quel periodo godevo di buona salute economica, perché sono del sud e al sud natale fa rima con rifornimento di soldi. Era anche il periodo in cui Coez andava ancora, il suo tour invernale era andato tutto sold out e Renzi faceva i video in cui cantava “La musica non c’è”. Nella frenesia del vil denaro, nel pacchetto di quattro o cinque biglietti acquistati convulsivamente in pochi minuti, ci sono capitati anche due ingressi per una data di Coez a un’ora e mezza da casa. Comodità.



E il problema non si è posto fino ad una settimana prima del concerto, quando ci siamo ricordati di aver comprato i biglietti, ci siamo resi conto che di andare a sentire Silvano Coez non ne avevamo assolutamente voglia, che noi si conosce due canzoni o tre, e abbiamo cercato disperatamente di cedere i nostri ingressi. Non ci siamo riusciti.



Concerto alle 21 secondo ticketone, alle 22 secondo facebook.
Alle 19 partiamo da casa.
Alle 20:20 parcheggiamo nel posto adibito a parcheggio, poi una lunga camminata fino al luogo del concerto. Cosa c’entra la passeggiata col resto? Lo scoprirete dopo.
Alle 20.40 siamo dentro.
Alle 20:45 ci sediamo a 20 metri dal palco.
Alle 21 un ragazzo si alza per sgranchirsi le gambe e tutta la gente seduta pensa sia il momento di alzarsi per non perdere il posto. Ci alziamo anche noi, veniamo schiacciati verso il palco. Ci aspetta un’ora e mezza di dolore alla schiena e sudore altrui. Bene così.
Comincia a muoversi qualcosa sul palco e i fonici mettono in loop alcuni pezzi, ovviamente non di Coez, che da una parte è positivo, dall’altra avremmo potuto imparare qualche canzone per il concerto. E invece no.
Il mix scelto per scaldare il pubblico sembra una playlist personale di spotify. Completamente random. Talmente random che ad un certo punto parte la sigla di Stranger Things e un po’ mi emoziono.
Io e mio fratello cominciamo a guardarci un po’ attorno, per quello che possiamo, perché siamo schiacciati da ogni lato. E nel guardarci attorno ci accorgiamo che la fauna silvana è così composta:

- 50% ragazzin* adolescenti della zona che potrebbero aver raggiunto il posto del concerto anche in bici
- 30% coppie mal assortite di cui lei conosce tutte le canzoni a memoria. Lui l’abbraccia da dietro per non farle scoprire che non sa manco “Faccio un casino”.
- 15% bambine in età preadolescenziale accompagnate dai padri che se li guardi in faccia puoi capire le bestemmie che stanno pensando dentro.
- 5% gente come noi, che è capitata lì e non sa neanche come.

Una ragazza alla nostra sinistra scruta il palco con sguardo corrucciato. Probabilmente è il suo sguardo classico, ma a me e a mio fratello piace pensare stia disapprovando il concerto. Che poi in realtà è quello che stiamo facendo noi, dentro.
A destra invece un padre tiene la figliola sulle spalle. La figliola di dieci anni. Io ne ho quasi 23. Vedrò ancora del pogo, ma non oggi.
Intanto si sono fatte le 22 e direi che il concerto non era alle 21. E direi anche che non ci sarà nessuno ad aprire Coez.


Alle 22:15 si spengono le luci. Gridiamo. Guardiamo con desiderio carnale il palco. E poi lieve dalle casse parte “Africa” dei Toto. E dapprima confuso, il pubblico così eterogeneo inizia a cantare “Africa” e ci abbracciamo in un turbinio di sentimenti e nostalgia. E le ragazze dietro di noi sbiascicano parole che se non sai manco il ritornello di “Africa” dei Toto ti meriti Coez Ebbasta.
Alle 22:30, dopo un’ora e mezza di dolori o odori, dopo tre ore e mezza da quando abbiamo lasciato i nostri alloggi, finalmente arriva Coez sul palco, col cappellino, con gli occhiali da sole, con le sue canzoni così nazionalpopolari.

Canta “Siamo morti insieme”, non la sappiamo. Speriamo nella seconda.
Canta “Forever Alone” (che il mood ormai è proprio da suicidio), non la sappiamo. Ci avviamo verso l’uscita.
E invece canta “Le luci della città”. Torniamo al nostro posto.

Dopo tre canzoni Silvano saluta il pubblico che lo acclama e io e mio fratello ci rendiamo conto di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’atmosfera è simpatica, fresca, estiva. Ma stiamo assistendo ad uno spettacolo per regazzini. Questo è certo. E anche gli intermezzi parlati sembrano rivolti ad un pubblico adolescente.
“Chi vi piace di più, Banana o Passerotto (due membri della band, ndr)?”
“A chi volete più bene, a mamma o a papà?”

Banana che cucina per Coez

E la serata va avanti così finché non mi viene in mente di spoilerarmi la scaletta per prepararmi meglio alle poche canzoni che so e che ho voglia di cantare. Verso la fine scorgo una “Barceloneta”.
(Ora, dovete sapere che io e mio fratello abbiamo gusti musicali molto differenti e un nostro passatempo è insultare l’altro per quello che ascolta sotto la doccia. Ma su Franco e Carlo siamo d’accordo. Non è che siamo proprio fan. Non è che abbiamo imparato le canzoni a memoria. È proprio che quando siamo in macchina ci facciamo i duetti. Lui fa Carl Brave, che si è comprato pure le camice uguali. Io, per esclusione, Franco 126, che è un po’ quello meno dotato del duo. Ci doppiamo pure, facciamo pure “Eh eeh”. È tutto molto imbarazzante.)

Ci mettiamo allora ad aspettare impazienti la canzone con il duo romano, ma quando è il momento Coez la salta a piè pari. E questo ci rattrista molto. Se aveva bisogno di due voci per sostituire Carl e Franco potevamo salire noi sul palco.

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Poi i pezzi quelli più famosi, un paio di bis e il concerto termina a mezzanotte. Io e mio fratello ci affrettiamo verso l’uscita . Nell’impeto inforco una borsetta poggiata a terra col piede e me la trascino per qualche metro. Tutto normale.
Dall’uscita seguiamo la folla che dovrebbe dirigersi verso il nostro stesso, enorme parcheggio. Ma inaspettatamente ci mettiamo la metà del tempo impiegato all’andata. Arrivati al parcheggio ci dirigiamo dove ricordiamo di aver lasciato la macchina, ma non riusciamo a trovarla. E intanto la folla che abbiamo lasciato indietro ci ha quasi recuperati.
Qualcosa non quadra: le macchine sono tutte girate di 90°.


“Simò, qua due sono le cose: o qualcuno ha girato tutte le macchine o abbiamo sbagliato parcheggio.”
“E che ci sono due parcheggi ugualidentici?”
Io rido, lui perde una goccia di sudore freddo dalla fronte.
Lui: “Mo fermo uno con la pettorina e gli chiedo se c’è un altro parcheggio così”
Intanto le macchine hanno cominciato a muoversi e ci troviamo nel caos più totale.
Sempre lui: “Aspé, ma  noi da che parte siamo entrati?”
“Eh, non abbiamo fatto tutta la strada dell’andata”
“Quello è l’ingresso del parcheggio. Noi siamo andati di là prima. Quindi la macchina deve essere là”.
E girandoci di 90°, effettivamente il parcheggio torna ad essere quello di cinque ore prima. Camminiamo un altro po’ tra la confusione e infine arriviamo alla mia santa Punto rossa.
Saliamo in macchina, riusciamo ad uscire con un po’ di fatica. Prendiamo l’autostrada per tornare a casa e mettiamo “Barceloneta”.
Non ti preoccupare Silvano, noi ci sappiamo arrangiare. La tua parte la cantiamo insieme io e mio fratello. Grazie lo stesso.


Da sinistra a destra: io, Simone e l'amico Silvano. Eh eeh

P.S. ma le ragazze che cantano la strofa de "La musica non c'è" nell'orecchio del ragazzo proprio mentre Coez la sta intonando sul palco a tutto volume, che problemi hanno in realtà? C'è ancora speranza per loro?

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