mercoledì 23 maggio 2018

DOGMAN - L’ULTIMO CANARO DI GARRONE

L’ambientazione degradata di Dogman si situa vicino al litorale laziale, a pochi passi dal mare, eppure le crude immagini di Matteo Garrone non lanciano mai uno sguardo all’orizzonte, perché una cappa grigia occlude ogni via di fuga da una realtà violenta, egoista e nauseabonda nella quale i personaggi sono il prodotto di un ambiente malsano e l’ambiente è costantemente rinnovato nel suo squallore dalle azioni dei personaggi che lo abitano. In questa perfetta circolarità si colloca la mancanza di uno spiraglio che dia luce ad una fotografia occlusiva e respiro ad una trama serrata, a tratti claustrofobica.


Dogman non è la storia del “delitto del Canaro”, al quale il film si ispira, ma si tratta di uno spaccato di periferia che descrive la graduale perdita d’umanità di uno degli ultimi della società. Marcello è un uomo ricurvo e scavato, succube, complice suo malgrado di una piccola malavita locale. Divorziato, è proprietario di un negozio di tolettatura per cani. Sopravvive all’ombra di Simone, ex pugile cocainomane che vive di piccoli crimini e terrorizza i commerciati della zona con la sua forza bruta. In una vita priva di grandi soddisfazioni, sofferta, Marcello trova l’occasione di dimostrare la sua umanità nell’amore per i cani che accudisce, nell'affetto che lo lega ai negozianti del litorale e soprattutto nel rapporto con la figlia. Il personaggio che dà il titolo al film suscita nello spettatore un’empatia immediata, nonostante non si tatti di una macchietta tagliata ad hoc per spiccare positivamente sulla negatività generale. È anche lui inserito nel tessuto sociale di cui fa parte, ma più di ogni altro personaggio egli è vittima e non carnefice, anche se materialmente colpevole. Le vicende di Marcello toccano il cuore per il fondo di dolcezza che si scorge in fondo alle difficoltà e agli stenti di un’esistenza al limite della morte in vita. Il protagonista è ancora vivo per la posizione marginale e insignificante che in anni di sacrifici è riuscito a ritagliarsi tra gli ultimi; ma un evento legato all’ex pugile Simone innescherà  una serie di vicissitudini che lo porteranno a perdere ogni legame con il suo ruolo sociale e quindi con il fondo d’umanità che ancora lo tratteneva dall’abisso.


In un anno Marcello perde l’affetto e l’amicizia degli altri commercianti, perde la faccia, il nome e soprattutto la sacralità del rapporto con la figlia, che lo vede arrancare nella sua quotidianità. Una scena essenziale nella perdita d’umanità del protagonista è quella in cui un attacco di panico gli impedisce di accontentare i desideri della figlia. Quando il protagonista perde anche lo sfogo familiare di una solitudine subacquea, egli smarrisce l’ultima essenza umana che restava su un fondo di pietà e sconforto, e con essa viene meno anche la morale borderline che il contesto aveva permesso fino a quel momento. Qualcosa nello sguardo del protagonista cambia e, pur senza un piano preciso, senza la premeditazione dei peggiori criminali, egli non bada più a preservare qualcosa della sua vita, ma sarebbe disposto a tutto pur di riottenere la vitalità dell’essere presenti a se stessi e agli altri. Il fantasma di Marcello diventa prima un efferato omicida, poi supera la vergogna dell’atto compiuto per ritrovare un contatto con il passato e con se stesso, ma potrebbe essere tardi per riportare in vita Marcello dalla morte. La silenziosa spiaggia dell’ultima scena, la morte che non stona con lo sfondo annegato di pioggia e sangue. Lo sguardo di Marcello non lascia trasparire altro sentimento che un’immensa disperazione per non aver trovato nella vendetta la forza di tornare in vita.

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