mercoledì 16 maggio 2018

BERLUSCONI BY SORRENTINO


Il dato di fatto da cui partire è il malcontento generale, la mancanza di appagamento che questa doppia opera del regista premio oscar ha lasciato nel pubblico italiano. Loro non è stato il capolavoro di Sorrentino, né un film spartiacque sulla rappresentazione del politico più influente della Seconda Repubblica; ma entriamo nel merito della delusione popolare e cerchiamo di intercettare il momento in cui Loro (1+2) ha infranto le aspettative che gravavano sul suo capo.


Innanzitutto l’approccio al personaggio che, nella sequela di festini a base di donne svestite mostrati nei vari trailer, si presentava come il presupposto adatto per la rappresentazione lirica propria di Sorrentino da La grande bellezza a questa parte. L’autore ha invece scelto la via del materialismo estremo mescolata ad una preponderante componente ironica che ha ridotto di molto la portata della critica sociale che si sarebbe potuto poggiare sulle spalle della narrazione di “Loro”, costruita sulla messa in scena. Ma, d’altra parte, nelle varie interviste rilasciate negli ultimi mesi, l’autore ha sempre sottolineato l'uso universale che Loro fa della figura di Berlusconi, elevando la relazione con gli Italiani al gioco storico del potere, la vicenda con Veronica Lario a storia d’amore per antonomasia. Allora emerge forte una contraddizione tra una resa terrena, molto vicina alla realtà della politica e della società italiana tra il 2006 e il 2009, e la volontà di parlare dell’umanità attraverso il singolo. Si percepisce la spinta centrifuga ed estendere le questioni personali, ma quel Tony Servillo che pare di gomma, con un accento che trascende l’imitazione verso l’interpretazione, incarna la figura per eccellenza della politica, dell’imprenditoria, dello sport e dello spettacolo italiano, e questo fa sì che le pretese di universalità vengano fagocitate sullo schermo da una figura troppo ingombrante. E lentamente, dalla venuta di Silvio in poi, l’impianto dell’opera va via via focalizzandosi sulle imprese terrene dell’ex primo ministro, tradendo le premesse e la volontà esplicitata dall’autore. È indubbiamente una grande epopea, ma è l'epopea di Silvio Berlusconi e forse di nessun altro.


Fondamentale nell’analisi di quest’opera è il passaggio necessario attraverso The Young Pope. Checché se ne dica, nonostante Netflix tenti di continuo di limare le distanze, c’è uno scarto ancora palese tra la scrittura televisiva e quella cinematografica. Sorrentino è riuscito egregiamente a superare le difficoltà del passaggio dal grande al piccolo schermo - avendo oltretutto fatto esperienza di fiction italiana prima di approdare al cinema nel 2001 - ma il ritorno dalla serie con Jude Law sembra aver lasciato delle scorie e, dietro il tentativo dichiarato di riprodurre la frammentaria quotidianità dell’ex cavaliere, si cela una scrittura dei personaggi tipica dei racconti gestiti in uno spazio maggiore. Cosa ne è dei caratteristi della prima parte? Quasi tutta la costruzione dell’attesa di Loro 1 viene accantonata per fare posto a quello che a tratti sembra un altro film, un’altra puntata di una serie antologica. E alcuni momenti tendono davvero ad imitare i tempi e le modalità della televisione, con  personaggi abbozzati che sarebbero certamente stati più utili e tridimensionali in uno sviluppo seriale a 8/10 ore. Vedi Morra, Kira, Santino Recchia, Cupa, Riccardo Pasta e molti altri.


Tornando alla struttura episodica della doppia opera, ciò che davvero è mancato e ha fatto sì che tutto l’impianto tendesse a precipitare su se stesso è una trama orizzontale degna di un’opera da 200 minuti sulla vita di Berlusconi e dell’Italia nell’ultima età dell’oro prima della crisi economica. Per fare un esempio restando nella filmografia dell’autore: anche This must be the place - opera passata in sordina che io reputo il vero capolavoro di Sorrentino - era strutturato per eventi sconnessi in un road movie sui generis, ma ogni momenti criptico era legato all’altro dalla volontà del protagonista di arrivare in fondo ad un viaggio simbolico e fisico per vendicare il padre e ridare senso ad una vita perduta. E voi potrete obiettare che la vita, il tema principale di Loro secondo il suo autore, non ha una trama. Su questo devo darvi ragione, e il tentativo di avvicinarsi ad una frammentarietà del genere è interessante, ma ciò non toglie che il risultato scada spesso nella confusione e nella dispersione più totale. Per cui non basta l’intento a fare del cinema arte.


Il registro utilizzato rappresenta un altro punto a sfavore: l’alternanza di scene romantiche, scene drammatiche, momenti d’ilarità e ricostruzione storia tende a produrre una sfumatura schizofrenica di un parlato comune, un impostato teatrale, espressioni semplici, allusioni velate e un numero notevole di frasi ad effetto che stonano terribilmente con l’interno del film, soprattutto rispetto alla cornice che lo stesso regista aveva delineato con il lungo preambolo della prima parte dell’opera. Forse l’ironia è l’unica chiave di lettura attraverso cui sorvolare sull’eclettismo di una pellicola che, nella sua universalità, ha perso anche la sua linea stilistica definitiva.


Ma facciamo un accenno all’interpretazione della seconda parte dell’opera dopo aver approfondito la prima poche settimane fa. Nonostante la seconda parte, nel suo materialismo, tende a lasciare meno spazio all’interpretazione, sono rimasto incollato alla poltrona del cinema quando ai titoli di coda e alla scritta “Loro” si sono sovrapposte delle meravigliose immagini di ipotetici italiani sfollati dopo il sisma dell’Aquila del 2009. Nulla mi potrà far cambiare idea sul fatto che questi Loro, questo pronome che avevamo prima attribuito ad una classe alta di emuli, poi ad una casta, ricada infine su di noi, che guardiamo ora ad un ventennio dai colori ingialliti, ma che è tornato vivo nelle feste di Sorrentino proprio per il fatto di non essere mai ingiallito davvero. Noi che tentiamo di dare un’immagine razionale di un periodo idilliaco e vitale che ci ha avuti, nel bene e nel male. Noi che ora restiamo seduti tra le macerie di una cultura storica, mentre la storia del circo italiano prosegue incessantemente e ha costruito le sue fondamenta ipocrite proprio tra le macerie dell’Aquila e dell’Italia. Noi che abbiamo perorato da sempre la causa dell’antiberlusconismo e una volta al giorno ci ritroviamo a vestire i suoi panni, o almeno vorremo farlo, nel silenzio del nostro dissenso. E proprio a quel punto ho ricevuto la più grande delusione da Loro e da Sorrentino, perché le prospettive di una grande opera politica e universale c’erano tutte, ma la figura di Berlusconi ha fagocitato pure quelle.

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