mercoledì 30 agosto 2017

TWIN PEAKS 3 - EPISODIO 16

In molti hanno criticato aspramente questa terza stagione evento sulla base della presenza marginale della colonna sonora originale di Angelo Badalamenti. In risposta a queste malelingue, il sedicesimo episodio costruisce la sua grandezza proprio sulle musiche che fecero grande Twin Peaks. Un uso maestoso della componente sonora, sfruttata per rivivere insieme il passato e per ricollegarci direttamente ad un futuro definitivo e imminente, con la consapevolezza di una terza stagione pregna di spunti, riflessioni e rivelazioni a cui non abbiamo dato il giusto peso. All’alba del tramonto sono i dettagli a ricompensare i più audaci. E le ricompense non fanno rimpiangere né l’attesa di questi diciotto episodi, né tantomeno quella degli ultimi ventisei anni.


L’episodio racconta quattro eventi principali, che tendono a toccare per l’ultima volta quattro narrazioni separate, che saranno presumibilmente riunite nel finale, tra le montagne di Twin Peaks.
Bob, seguito da Richard, verifica le coordinate che gli sono state consegnate nel corso delle puntate. È in possesso di tre coordinate, due delle quali combaciano, mentre una differisce. Ad avergli consegnato delle coordinate sono stati: Ray, Phillip Jeffries e Diane, dopo averle scrutate sul braccio di Ruth Davenport. Le due coordinate che combaciano sono in realtà una trappola ordita contro Bob, di cui cade però vittima un ignaro Richard, scomparendo in un’esplosione elettrica. Probabilmente le due coordinate coincidenti erano quelle di Ray, la cui storia sul mandato di Phillip era vera, e dello stesso Phillip, che ha mascherato dietro una maschera sprovveduta le sue reali intenzioni, legate all’operazione di Mike. Restano quindi le coordinate sul braccio di Ruth Davenport, che - ricordiamo - aveva comunicato al maggiore Briggs prima di finire vittima dei taglialegna. Queste coordinate potrebbero condurre alla loggia bianca, o almeno all’anticamera della stessa, dato il luogo in cui poi Cooper ha ritrovato la testa del maggiore Briggs. Bob potrebbe quindi essere sulla strada della loggia bianca per confrontarsi definitivamente con il Fireman e distruggere la loggia bianca che da decenni ostacola il suo progetto di puro male per il mondo.  Non è ben chiaro dove tutti questi eventi siano geograficamente collocati, ma immagino che l’ingresso della loggia bianca possa essere a poca distanza da Twin Peaks, vista la presenza di Richard con Bob.
Tornando a Richard, il commiato impassibile di Bob tende a confermare la teoria dello stupro in coma della malcapitata Audrey. Secondo quest’ipotesi, l’incontro descritto dal dottor Hayward tra Audrey dopo l’esplosione nella banca e Cooper posseduto da Bob, collocato cronologicamente pochi giorni dopo la fine della seconda stagione, sarebbe culminato con una possessione carnale, che avrebbe quindi generato Richard Horne. Stando a ciò, il comportamento del rampollo Horne potrebbe quindi essere in parte giustificato, essendo egli figlio del male.


Diane svela finalmente gli eventi della notte dell’ultimo incontro con Cooper, che avevamo erroneamente collocato prima delle indagini sull’omicidio di Laura Palmer, credendo si trattasse di una questione amorosa. Invece la storia dimostra di avere tinte molto più oscure: si tratta di un altro stupro per mano di Bob, stavolta subito da Diane. Accecato dalla fame di garmonbozia, Bob avrebbe prima violentato Diane per poi condurla nel convenience store dei taglialegna. Ma la Diane che arriva a raccontare questa storia con un pathos incredibile si rivela essere una “Tulpa”, per dirla con le parole dell’agente Tammy.
I casi plausibili sono due e un particolare potrebbe far pendere l’ago della bilancia. Da un lato Bob sotto mentite spoglie avrebbe potuto rapire Diane per condurla nel quartier generale mobile delle forze della loggia nera, doppiarla e plagiare la mente del doppelganger per sfruttarla in futuro. Secondo questa ipotesi Diane sarebbe stata l’originale prima dell’incontro con Bob. Dall’altro lato, invece, Diane sarebbe potuta essere già una “Tulpa” nel momento dello stupro e quindi Bob si sarebbe limitato a condizionare la mente della donna fasulla con la violenza che gli è propria. Per comprendere questa questione dobbiamo fare un passo indietro sulle modalità della loggia nera e sulle sue possibilità. In questo stesso episodio abbiamo avuto una conferma della procedura per la creazione di copie reali degli esseri umani: il necessario si riduce ad un seme d’oro e ad un “pezzo” della persona che deve essere duplicata, in questo caso specifico una ciocca di capelli. È Mike, dall’intero della loggia ad avere la possibilità di creare una copia. Finora non abbiamo avuto prove che questo procedimento possa essere portato a termine anche ad di fuori della loggia nera, tanto che gli esseri ricreati con il seme d’oro, se muniti dell’anello con il gufo, fanno ritorno nella loggia nera prima di distruggersi. C’è un legame diretto quindi tra il processo e il luogo. Se immaginiamo dunque che Bob non sia mai tornato nella loggia nera in questi venticinque anni di libertà, perché si sarebbe scontrato con Mike, allora dobbiamo ammettere che la possibilità che Diane fosse una copia prima dell’incontro con Bob si rafforza considerevolmente.


In ogni caso abbiamo la conferma che Diane, la “Tulpa” che abbiamo creduto reale per dieci episodi, non avesse cognizione della sua realtà e che fosse soggiogata alla volontà di Bob. Proprio nel momento che precede il suo ritorno nella loggia nera, sembra prendere coscienza della situazione reale, affermando confusamente di essere “nella stazione di polizia”. Ovviamente il riferimento è alla stazione di polizia di Twin Peaks, dove tendono a confluire diverse storyline, ma queste parole sconnesse non fanno che gettare altra sabbia nei nostri occhi. Chi sarebbe Diane, che possa essere connessa ad uno dei personaggi presenti nella stazione di polizia? Magari a Naido, la donna dagli occhi cuciti?


Audrey riesce finalmente a risolvere il suo dilemma interiore e si dirige al Bang bang alla ricerca di Billy, ma qualcosa sembra essere differente. una leggera sinfonia jazz ci riporta al 1990 e siamo di nuovo incastrati in una scena a metà tra il reale e l’onirico, in pieno stile David Lynch. Audrey balla la  musica a lei dedicata mentre tutti intorno la osservano. Sembra una scena fuori dal mondo, fuori dal tempo, quasi irreale. E proprio quando l’incantesimo si spezza vediamo Audrey in una camera bianca, risvegliatasi da un sogno, mentre si specchia terrorizzata. È complicato destrutturare la scena alla ricerca di dettagli utili, ci restano poche sfumature per ipotizzare che la donna sia in realtà in una dimensione metafisica, dalla quale vive e rivive una vita forzata (basti pensare all’impossibilità di muoversi liberamente in questo mondo) e proprio la rottura di un obbligo, che in lei emerge come morale, squarcia anche il velo di maya per svelare la finzione del dietro le quinte. 


Quando è finita in questa dimensione? Cosa resta di Audrey nel mondo reale? Potrebbe essere lo stesso stupro di Bob ad averla rinchiusa in questa dimensione asettica e paralizzante, o una parte di lei, quella più simile alla ragazza sfacciata delle prime due stagioni,potrebbe essere stata rubata alla sua identità reale per mantenerla in uno stato di dormiveglia. Il finale sarà chiarificatore.


Una settimana fa scrivevo:

Il ritorno del vero Coop è causa per me di una trepidazione maggiore rispetto a quella provata nell’attesa dell’intera terza stagione”


Ebbene l’attesa non è essa stessa il piacere, perché quasi mai una scena aveva suscitato in me emozioni così forti come quella del ritorno di Cooper. Torna la sigla, tornano la classe, il carisma, la gentilezza, la sicurezza di Dale Cooper. Un personaggio meraviglioso che ha fatto la storia della televisione e al quale Lynch riserva il dovuto tributo. E la scena con Janey-E e Sonny Jim riesce anche ad essere toccante, nel complesso delle emozioni scatenate dal culmine di un percorso decennale. Nulla è stato lasciato al caso, ogni personaggio sta trovando il suo scopo in questo puzzle infinito, dai fratelli Mitchum a Bushnell. Per arrivare finalmente a scrivere la parola “fine” che il mezzo televisivo impedì di mettere ventisei anni fa.

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