Addio Fottuti Musi Verdi, il film dei Jackal, un altro “Film del web”.
Difficile scrollarsi di dosso questo appellativo quando anche la critica
specializzata antepone il dettaglio dell’origine del gruppo di creativi
all’effettivo progetto. I precedenti hanno inevitabilmente condizionato le
aspettative verso l’opera prima di Francesco Ebbasta. Anni di Fuga di cervelli, Game Therapy e il meno
disprezzabile film dei Pills hanno già condizionato un’opinione pubblica
schizofrenica tra la voglia di novità e l’astio verso la bellezza
dell’ingenuità. Mi ero ripromesso di mantenere basse le aspettative prima di
entrare in sala, ma, dopo le varie proiezioni in anteprima sparse per tutto il
paese, e dopo aver riscontrato nel pubblico un’accoglienza positiva, a tratti
entusiasta, mi sono lasciato trascinare dalla curiosità e sono entrato in sala
con una forte voglia di essere sorpreso.
Il progetto AFMV presentava delle difficoltà fin dalla
sua ideazione. I Jackal hanno dovuto tradurre un linguaggio in un medium
differente e adattare i tempi comici al grande schermo. Due elementi che
insieme fanno la differenza tra la nuova comicità seriale in pillole e il
cinema. Alla luce del risultato finale è possibile dire con certezza che il
cinema, la settima arte, è in parte presente nel primo film dei Jackal, ma la
traslitterazione mediatica ha lasciato indietro troppi elementi significativi
perché il progetto possa dirsi riuscito.
I problemi risiedono in larga parte nelle scelte, non nei
mezzi. Tecnicamente infatti il film raggiunge un livello invidiabile e la tanto
osannata computer grafica rappresenta solo la ciliegina sulla torta della
realizzazione complessiva. I difetti di uno script borderline però
controbilanciano in negativo i picchi qualitativi. Dopo un esordio
scoppiettante, lo sviluppo dell’intreccio va naufragando verso un livello
alquanto mediocre, sia nella scrittura dei personaggi e delle loro relazioni
che nel dipanarsi della trama principale. Il problema fondamentale del film è la
profondità mancante, lo spessore promesso che non raggiunge, per fermarsi prima, nella
terra di mezzo tra una riuscita commedia grottesca e un rivedibile film
demenziale che lascia il tempo che trova. Il villain sui generis - interpretato
dall’eccentrico Roberto Zibetti - risulta inoltre scritto male, pensato per una
comicità che non rispecchia il target di riferimento del film, e mal calibrato
nel corso dello sviluppo della trama. Questa disparità tra una realizzazione
tecnica impeccabile e le succitate difficoltà nell’identificazione di una linea
definita da seguire in fase di scrittura lascia l’amaro in bocca, perché per
larghi tratti il film diverte e intrattiene, ma mai fino in fondo, perché è
l’intero progetto a non spingersi fino in fondo nelle diverse strade tastate con
quest’opera prima.
Oltre alcune mancanze, l’errore: il modello è indubbiamente
la trilogia del cornetto di Edgar Wright, ma, a differenza di questa, AFMV
subisce passivamente troppi salti da un registro comico all’altro. Si passa in
pochi secondi dal demenziale alla satira sociale, dal nonsense alla parodia;
gli ambiti toccati sono molti e le differenze tra le trovate più originali e
quelle meno riuscite è eccessiva. La caratterizzazione di Ciro ad esempio è
surreale, ma reale, credibile, vera. Brandon invece è finto, sopra le righe,
terribilmente forzato. Le risate arrivano spesso di gusto, ma non si entra mai
appieno nel clima e nel ritmo della battuta, perché cambia di continuo il
contesto e una scena successiva arriva a smorzare l'ilarità di quella precedente. In questa costruzione psichedelica più che nello sviluppo di una
trama lineare si nota il punto di partenza degli autori.
Parlare di cinema è però già un enorme passo avanti
nell’ambito della creatività multimediale. AFMV nasce da una grande idea -
quella del ragazzo italiano costretto ad emigrare nello spazio per trovare
lavoro -, ottiene il suo sviluppo attraverso alcune buone trovate ed altre
rivedibili, ma non punge come dovrebbe, come i Jackal sono in grado di fare. Ma, nonostante ciò, la colonizzazione del grande schermo da parte di Ciro e
compagni risulta incredibilmente credibile e un’analisi come questa,
cinematografica e metacinematografica, ne è la riprova. Il progetto nel suo
complesso è da sposare, sostenere e promuovere, anche se, nello specifico di
AFMV, i Jackal passano l’esame cinematografico con alcune, forse troppe
riserve. Eppure il collettivo di Napoli merita l’esame di riparazione con il
seguito di quest’opera prima, un film annunciato e atteso per colmare alcune
lacune e confermare la nuova era di questo nostro vecchio cinema. Io aspetto
con la stessa voglia che mi aveva preso prima di entrare in sala a vedere AFMV,
la voglia di essere stupito.
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