Ci eravamo lasciati la scorsa settimana con il momento
morto continuo che ancora cammina. Non si può dire che la tendenza sia stata
invertita in toto, ma indubbiamente questo sesto capitolo spicca sul livello
medio della seconda stagione per coerenza narrativa e capacità di costruire una
storia su una serie di non detti. Fondamentalmente si tratta di ciò che finora
era mancato alla serie: la capacità di intrigare lo spettatore e di fargli
credere di avere qualcosa da dire prima della fine. ora qualcosa da dire
potrebbe esserci; non intendo sbilanciarmi ma potremmo essere di fronte ad un
finale in crescendo.
Il problema della costruzione frammentata è stato
parzialmente ridotto attraverso i tagli ad alcune linee ben precise, come
quella dei due ragazzi, fratello e sorella, invischiati nei loro problemi
sessuali. In questo frangente gli sceneggiatori anno saputo concentrare le loro
forze sull’attacco degli Abby, e tutte le sottotrame portate avanti in questo
sesto episodio hanno saputo collegarsi in maniera accettabile con il filone principale.
Il problema del protagonista invece continua a rappresentare uno dei maggiori
punti a sfavore dell’intera seconda stagione. Rispetto alla prima, in cui era
Ethan Burke a fare da mattatore, qui non riusciamo ad empatizzare appieno con
qualcuno dei protagonisti, sia per questioni di scrittura che, soprattutto, per
questioni di tempo. Non seguiamo nessuno nello specifico e non arriviamo ad
immedesimarci nelle situazioni vissute da Theo Yedlin, sostituto ideale del
compianto Ethan.
Ancora una volta la serie ha peccato nelle scelte
relative ai rapporti tra le due stagione, ancora una volta la morte di un
personaggio cardine della prima stagione è stata trattata come un momento di
poco peo, andando ulteriormente a sfaldare la struttura portante della serie. Non
è possibile costruire un progetto su basi solide e poi liquidare queste basi su
due piedi. Era necessaria una scrittura più ragionata, più attenta alle
risposte del pubblico al termine del primo atto. Ancora una volta la serie ha
dimostrato di smarrirsi facilmente senza la guida diretta dei romanzi di Crouch.
Ricreare e ricamare sopra un tessuto usato non è cosa da tutti.
Wayward Pines si è decisa a lasciare aperte delle porte
per rinnovare l’interesse del pubblico. Il mistero principale è indubbiamente quello di Margareth, unico
Abby femmina che, dai test effettuati, ha dimostrato di possedere un’intelligenza
superiore a quella umana. D’altro canto però non possiamo affermare che questi
nuovi Abby organizzati siano un’evoluzione repentina della razza dominatrice,
quanto più che, parafrasando le parole di CJ, essi imitino gli atteggiamenti
umani in un brevissimo periodo. Ma cosa si cela dietro l’aberrazione dell’aberrazione?
Cosa nascondono i segni in rilievo sulla mano dell’unica donna? A mio parere
potrebbe essere nel gene femminile la soluzione all’aberrazione e quindi lo
sviluppo della razza degenerata verso la civiltà, oppure potrebbero essere le
Abby femmine a comandare gli spostamenti e le azioni di quelli maschi, meno
evoluti per una questione naturale.
Altro grande interrogativo è relativo al ruolo di Rebecca
e ai suoi rapporti con il gruppo dei rivoltosi che ha tenuto in scacco la città
per anni. Credo che prima della fine sia plausibile vedere un revival del
finale della prima stagione, con scontri aperti in città tra prima generazione,
ribelli e aberrazioni. In ogni caso la sensazione, rispetto al calare della
prima stagione, è che sé una verità esiste, essa è là fuori, oltre le divisioni
politiche e i dissapori tra coniugi. Le basi per un finale passabile sono state
poste, speriamo che Wayward Pines riesca ad accendere una scintilla nel buio
prima della fine.
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