La seconda stagione di Wayward Pines viaggia spedita
verso un luogo sconosciuto, ma è il percorso sconnesso a preoccupare. Il terzo
episodio, tra alti e bassi, e con un ritmo rivedibile, a reinserito nel cast un
personaggio chiave della prima stagione, Pam Pilcher, che io davo erroneamente
per defunta, e che invece viveva ai margine della società per aver ucciso il
fratello durante l’insurrezione guidata da Ethan Burke. In realtà l’intera
narrazione trova una conclusione fine a se stessa nell’arco dei quarantacinque
minuti dell’episodio, facendo sembrare l’intera sottotrama del tutto non
indispensabile. La breve apparizione dell’ex infermiera vuole essere lo slancio
per narrare la storia del primo bambino nato a Wayward Pines e cresciuto con la
convinzione di essere il responsabile del futuro della razza umana. Quel bambino
era Jason e personalmente non ho disprezzato né la scelta di ampliare in questo
modo il personaggio, né la caratterizzazione data al nuovo reggente. Detto ciò
non posso esimermi dal rendere pubblici alcuni problemi evidenti: innanzitutto
la figura di Jason appare sempre più come sconnessa dallo stesso ambiente che
lui ha costruito sulle volontà del patrigno, poiché una caratterizzazione così
approfondita di un personaggio chiave non può essere anticipata da un’intera
stagione, la prima, in cui Jason sostanzialmente non esiste. Quasi a voler
confermare il fatto che l’idea di inserire questo personaggio sia nata dopo
alcuni avvenimenti della prima stagione, probabilmente addirittura dopo l’ultimo
episodio. Sembra che ogni sfumatura che viene data con vigore a questo
dispotico leader voglia in qualche modo rattoppare gli errori di sceneggiatura
compiuti nella prima stagione. Non ho apprezzato poi, in linea generale, l’uso
dei personaggi chiave della serie in questi primi episodi: finora tutti coloro
che erano sopravvissuti fortunosamente all’avvento della prima generazione stanno
malauguratamente morendo, chi suicidandosi, chi divorato dagli abby, chi
strangolato. Anche in questo caso, un personaggio tridimensionale, una colonna
portante dell’intera serie poteva essere trattata con più riguardo.
Sono rimasto contrariato anche dalla posizione assunta
da Yedlin nel caso dell’episodio di Pam. Non riesco ancora ad inquadrare dalla
giusta distanza il nuovo medico di Wayward Pines, ma in ogni caso il suo
comportamento nei confronti del regime sembrerebbe avere più di qualche
incongruenza: da una parte il sospetto e la volontà di rovesciare il sistema
autoritario, dall’altra un collaborazionismo silenzioso, nonostante il coltello
dalla parte del manico rappresentato dal fatto di essere l’unico medico
qualificato in città. Ethan Burke, che a questo punto possiamo definire più
acuto del suo alter ego Theo Yedlin, non avrebbe gettato al vento la
possibilità di indagare sulla misteriosa rivoluzione d’ottobre attraverso le
parole della testimone oculare Pam.
Ma, se nel complesso sono riuscito a godere della
costruzione gerarchica e delle attitudini reazionarie con cui sono stati
caratterizzati gli uomini d’ordine nel terzo episodio - facendo ancora
riferimenti espliciti all’epoca dei totalitarismi - non posso dire lo stesso
del quarto episodio. In questo caso il problema principale è stato la mancanza
di un protagonista. Finora abbiamo seguito le vicende da diversi punti di
vista, e il fatto che nessuno di essi sia ancora riuscito a prendere il sopravvento
porta inevitabilmente la serie ad un saliscendi si ritmi poco interessante,
piatto e soporifero. Si passa rapidamente dalla storia del sopravvissuto alle
spedizioni alla moglie di Theo alle prese con le bambine feconde. Tanti spunti,
poco pathos, nessuna struttura portante attorno alla quale costruire una
narrazione solida e innovativa. Lo spettatore salta di palo in frasca,
continuando perdere interesse per tutto
ciò che riguarda la civiltà del futuro. Se dovessi però indicare una trama, tra
le altre, che abbia attirato minimamente la mia attenzione, quella è l’evoluzione
e l’organizzazione degli abby. Appare evidente che dietro la migrazione delle
aberrazioni e dietro la frase enigmatica del sopravvissuto riguardante le
abitudini dell’altra linea evolutiva ci sia una sviluppo psicologico di quelle
che finora sembravano essere delle bestie, guidate unicamente dall’istinto
animale e dalla legge della natura. Ora, tralasciando le sottotrame che da qui
in poi si svilupperanno - momenti di televisione, aimè, sempre più bassi -
risulta interessante il discorso etico. E se, come pare, gli abby si
evolveranno in un futuro prossimo in una razza simile a quella che li ha
preceduti, se la mutazione degli abby fosse solo una deviazione nella linea
evolutiva e il futuro fosse ancora in mano ai nuovi umani, che senso avrebbe l’intera
impresa dell’arca? Pilcher potrebbe aver sbagliato i suoi calcoli, cancellando
così completamente la vita di migliaia di persone appartenenti per natura all’anno
2014. E se gli abitanti di Wayward Pines, indottrinati e non, scoprissero di
essere stati parte di un piano globale in parte inutile e in parte mortalmente
pericoloso, cosa sarebe dall’ultima roccaforte della vecchia umanità? Questi interrogativi,
insieme al destino di Ben, restano gli unici motivi per continuare a credere
nel progetto morente di Shyamalan.
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