Perché voi non pensiate che io abbia una vita sociale
attiva al di fuori del blog, dello studio e delle serie di cui abitualmente vi
parlo, ho deciso di parlarvi anche delle serie che ho visto in questi mesi e
delle quali non vi ho ancora parlato. Che Dio ti maledica, Netflix!
Leggendo sul web di questa serie inglese, ormai datata
2013, mi ero imbattuto in recensioni entusiaste e pareri non richiesti di
anonimi utenti che paragonavano Broadchurch a Twin Peaks. Così mi si è accesa
una lampadina, come la scintilla che ti prende quando senti il nome di una
persona cara che non vedi da tempo e vieni pervaso subito da una voglia
irrefrenabile di riscoprire quella relazione. Ma la gente cambia e non torna
mai alla stessa maniera. Complice l’uscita su Netflix della serie e vista la
breve durata di due stagioni da otto episodi ciascuna, ho deciso quindi di
fiondarmi a capofitto su Broadchurch e di cercare il mio Lynch nei sorrisi
degli altri che non sorridono mai come te. Ebbene, quanto c’è dei Picchi
Gemelli in questa serie? Poco, quasi nulla. Qualche similitudine per quanto
riguarda l’incipit incentrato sulla figura del bambino ritrovato sulla spiaggia
e poso altro. Niente FBI, niente Logge, niente gufi, né giganti, né nani. Niente
di tutto quell’apparato metafisico che faceva di Twin Peaks l’opera lynchana
per eccellenza. Non ho quindi trovato ciò che mi aspettavo, ma mi sono
imbattuto in una grandissima produzione, una perla degli anni duemiladieci (si
dice così, no?). La struttura semplice viene man mano ampliata andando a
scavare nelle vite dei personaggi che risultano essere indagati nel merito dell’operato
di Hardy e Miller, in particolare ho empatizzato molto con Gazza di Hogworts,
vittima indiretta degli eventi.
Ciò che colpisce di questa serie è la precisione con cui
si incastrano gli eventi, la cura con cui i dialoghi dipingono i personaggi e
le relazioni che intercorrono tra essi in maniera impeccabile. A tenere in
piedi tutto il complesso di sospetti, indizi e false pisce costruite ad hoc ci
sono i due protagonisti, interpretati da David Tennant e Olivia Colman,
perfetti in ogni frangente, dall’odio iniziale, alla collaborazione forzata all’amicizia
più sincera.
La prima stagione si sviluppa su una linea retta,
lasciando al passato ciò che ribolle dal passato e concentrandosi sugli eventi
mirati alla scoperta dell’assassino. In questa struttura viene sapientemente
introdotto l’effetto Scream, ossia viene lasciata allo spettatore la possibilità
di speculare sugli eventi mostrati e di formulare tesi alternative. Come l’opera
cardine della serie di Wes Craven, anche Broadchurch pretende e ottiene che gli
spettatori costruiscano una mappa investigativa nella loro mente, tengano un
block notes virtuale degli eventi, degli indizi e dei sospetti. Proprio in
questo senso, il duo di sospettati che emergerà circa a metà della prima
stagione saprà rimescolare le carte in tavola per sbaragliare ogni aspirante detective
nella conclusione finale. Questa scelta dinamica degli sceneggiatori porta lo
spettatore ad entrare fisicamente nella cittadina costiera di Broadchurch per
ottenere informazioni di prima mano e giungere al nome dell’assassino del
piccolo Denny Latimer prima dei protagonisti, prima che sia troppo tardi, come
fu per un altro caso.
La seconda stagione invece non si fossilizza sullo schema
che aveva fatto le fortune della prima, ma riesce ad estrarre qualcosa di
totalmente nuovo dal cilindro: ciò che è stato ritorna, e ciò che poteva essere
non sarà, per ciò che nel passato ci è sfuggito di mano. In questo caso la
situazione si sviluppa su due frangenti differenti, entrambi molto lontani
dalla quieta ma angusta composizione della prima stagione. Da una parte abbiamo
il processo all’assassino di Danny, i nuovi indimenticabili personaggi legati
al processo e gli sviluppi di una sentenza non scontata, mentre dall’altro i
nostri protagonisti tornano ad investigare sul caso che aveva quasi distrutto
la carriera di Hardy mesi prima che egli venisse spedito in punizione a
Broadchurch. I fili si ricollegano e chi pensavano che fosse la vittima si
rivela il carnefice di un duplice scempio che ha lasciato solchi indelebili
sulle fronti corrugate di molti. Il nuovo modello adottato dalla serie
abbandona l’indagine interattiva per aumentare la qualità dei colpi di scena e
il ritmo di un’indagine frenetica, spezzato solamente dalle sequenza ambientate
in tribunale. Un’altra stagione perfettamente riuscita, coinvolgente e
impeccabile.
Si prospetta ora la possibilità di una terza stagione,
dopo il flop del remake statunitense. Sinceramente, dopo le belle parole spese
ad elogiare i primi due atti di quest’opera riuscitissima, devo dissentire;
spero infatti che Broadchurch si limiti a ciò che ha mostrato finora, tra
moltissimi picchi e bassi trascurabili. Mi auguro, nel caso in cui venga
prodotta una terza stagione, che gli sceneggiatori sappiano trovare un’altra
struttura, ancora nuova e differente dalle precedenti, per dare ancora una
volta un tocco di personalità, un elemento di unicità al terzo atto di un
piccolo gioiello. Una serie già cult.
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