Igor non aspettava nessuno, aspettava qualcuno. Ma quel
giorno si presentò nessuno.
Era una casupola accogliente, quella in cui Igor aveva
passato gli ultimi anni della sua vita. Prima era stata la casa dei genitori
dell’uomo, e prima ancora una rimessa per gli attrezzi appartenuta ad un
lontano parente. La famiglia di Igor aveva ereditato un locale dismesso e
l’aveva trasformato in una sorta di abitazione vivibile. I lavori erano costati
tempo e denaro per l’anziana coppia; tempo prezioso, visto il tempo rimasto.
Avevano associato a quell’abitazione un complesso di sentimenti e sacrifici al
punto da considerare quelle mura come loro progenie.
Curavano le rifiniture con amore. Non lasciavano passare dieci minuti prima di
sostituire una lampadina fulminata. Credevano, complice anche la vecchiaia
galoppante, che quella casa avesse un’anima, e che spettasse a loro curarsi
della materialità per curarsi della spiritualità.
Igor aveva vissuto con i genitori fino ai trent’anni
circa, e quel pomeriggio aspettava qualcuno. Era nato in casa, un appartamento
poco luminoso in viale Samsa, poi la famiglia si era trasferita in città per
trovare un impiego stabile e il piccolo Igor aveva dovuto lasciare i suoi
giocattoli in quell’appartamento poco luminoso. Fu difficile ritrovare
l’equilibrio, ma i Kums ci riuscirono: Il padre di Igor, Victor, fu subitamente
assunto in un ufficio contabile. Non era certamente il lavoro della sua vita,
ma per garantire la sicurezza economica al figlio e alla moglie questo ed
altro. La porta dell’ufficio di Victor Kums cambiava ogni giorno. Un giorno era
troppo bassa, un giorno sembrava essere stata ruotata di novanta gradi. Ogni
giorno Victor entrava con una posa differente e rimaneva in quella posizione
per molte ore. Come lui, anche gli altri dipendenti dell’ufficio erano
costretti ad entrare in modo alternativo, ma tutti nella stessa maniera. E ogni
sera le mogli dei dipendenti dello studio cercavano di lenire le pene delle
schiene dei loro mariti con massaggi, oli e pomate profumate. Avevano tanti
odori differenti questi prodotti, ma nessuno riusciva a togliere quella cattiva
postura, sempre diversa, ma sempre la stessa.
Così i Kums ritrovarono una stabilità economica e la
tranquillità di un alloggio duraturo. Poi scoppiò la guerra tra fazioni: da una
parte i rossi Kumachi, dall’altra i seguaci del Santo col Fioretto. I Kums
ripartirono alla ricerca di fortuna. Stavolta Igor dovette lasciare i ricordi,
quelli che aveva avidamente custodito e nei quali vivevano ancora i giocattoli
abbandonati nel primo appartamento poco luminoso. Passarono gli anni e le
abitazioni. In ogni luogo Igor lasciava qualcosa di sé: una volta la
bicicletta, una volta il sorriso. Aveva però sempre in mente l’idea di
ripercorrere un giorno a ritroso quel percorso per riacciuffare gli averi
perduti e tornare in sé.
Un giorno lasciò il nido familiare, perché sentiva di
poter continuare da solo. E anche in quell’occasione lasciò qualcosa di sé ai
genitori, così che lo ricordassero anche quando fosse stato lontano. Si
trasferì a diverse centinaia di miglia da casa, in un condominio buio, con la
muffa nera alle pareti e le pareti scricchiolanti. Qui cominciò a vivere,
lontano dalle perdite che aveva seminato nel tempo. Si costruì una famiglia,
rattoppò le tende alle finestre, tinteggiò le pareti e riempì di luci il suo
appartamento nel condominio pensando di allontanare le ombre. Ma un giorno una
tempesta estiva spazzò via le tende, allagò la casa e l’umidità riaffiorò dal
bianco sporco. Così i genitori si spensero a breve distanza l’uno dall’altro e
Igor non fece in tempo a tornare nell’appartamento buio che dovette assistere
ad un altro funerale. Il matrimonio finì, senza figli a farne le spese, senza
animali domestici, senza sfuriate violente, ma non senza rimpianti cocenti. E
Igor tornò a casa, quella casupola accogliente dove la storia ha avuto inizio,
per cominciare quel giro a ritroso verso se stesso, ma si fermò alla prima
tappa. Non cambiò le lampadine e rimase al buio, ad aspettare qualcuno. Ma nessuno
era alla porta. Nessuno bussò e Igor non si stupì. Nessuno entrò, nessuno si
sedette con Igor al freddo di una casa spenta. Nessuno portò ciò che Igor stava
aspettando da troppo tempo, ma non chi lui davvero attendeva da sempre. Ricordò
dove aveva lasciato i giochi, sorrise un’altra volta, nessuno lo vide
sorridere. Ricordò ancora quella casa con la muffa alle pareti e la bici, le
giornate interminabili seduto dietro la porta ad aspettare il padre che tornava
dal lavoro malconcio e acciaccato, piegato per lui. Ricordò l’appartamento poco
luminoso da cui scopriva il mondo. Stanco si versò l’ultimo goccio di whiskey e
andò alla finestra. Nel riflesso Igor vedeva una lacrima solcare il suo viso e un sorriso arginare la lacrima. Nessuno era entrato, nessuno era uscito. Nessuno andava con
passo lento per la deserta campagna d'inverno.
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