C’era bisogno di una seconda stagione di Wayward Pines? No.
La conclusione frettolosa della prima stagione aveva un bisogno naturale di un
seguito che sviscerasse ulteriormente dinamiche sterili? No. Questa seconda
stagione merita una chance nonostante le premesse? Forse; bypassando però
virtualmente le falle che avevano caratterizzato il calante calare dell’anno
passato. I Dubbi erano maggiormente relativi alla maniera attraverso cui gli
sceneggiatori avrebbero collegato una narrazione moribonda ad una nuova e
presumibilmente accattivante. Ricordiamo infatti che la prima stagione si era
chiusa con Ben trasportato tre anni nel futuro, nella piena era della dittatura
schiavista della prima generazione, e suo padre appeso ad un palo come
deterrente verso le possibile rivolte della popolazione di Wayward Pines contro
il regime di Jason.
La seconda stagione si apre invece con un flashback
rispetto all’anno corrente in cui fa la sua comparsa come guest star anche
Terrence Howard. In questo frangente ci viene presentato quello che a tutti gli
effetti si propone come in nuovo protagonista della serie, ovvero Theo, medico
rapito e crioconservato per essere destinato al blocco C. da qui ha inizio la
nuova avventura nell’ultima roccaforte del pianeta nell’anno 4000.
Devo essere sincero: inizialmente avevo sopravvalutato la
produzione e credevo che avessero optato per una narrazione retrospettiva
rispetto alle sequenze conclusive della prima stagione, ovvero un racconto
riguardante gli anni in cui Ben è rimasto congelato e la prima generazione ha
preso il sopravvento sulla fazione dei ribelli, sugli Abby e sulla popolazione
di pecorelle smarrite dopo la dipartita del mentore e padre della nuova razza
umana Pilcher. Questa teoria avrebbe avuto più senso nell’ordine logico degli
avvenimenti, considerando il risveglio di Theo in un momento fatidico nel quale
la sorella di Pilcher, unica dottoressa della città, era passata a miglior vita
a causa delle divergenze progettuali di fondo. Nella versione poi portata su
schermo invece lo scongelamento di Theo sarebbe avvenuto solamente quattro anni
dopo la morte di Pilcher e dell’ultima dottoressa. In questo periodo però la
prima generazione avrebbe continuati ad impratichirsi nell’arte medica senza
alcun mentore o insegnante qualificato, ma fondandosi unicamente sulla fortuna
e sul numero di tentativi possibili (vista la possibilità di rimpiazzare le
persone con i surgelati Findus). Tornando quindi al nuovo protagonista, egli si
mostra in tutto e per tutto, fin da primissimo istante come una copia sputata
del primo protagonista, ovvero Ethan Burke, colui che aveva tentato di
sovvertire l’ordine sociale di una società succube del despota. Una somiglianza
tra personaggi forse troppo spiccata.
La nuova situazione che ci viene presentata nell’ormai
pienezza dell’operato della prima generazione è forse l’elemento più interessante
di tutti i primi due episodi. Ci si para dinnanzi uno spaccato postapocalittico
e futuristico, ma molto reale, di una situazione di conflitto in cui una delle
due fazioni ha soggiogato la popolazione con la forza delle armi e ha piegato
la volontà comune attraverso il terrore. Un regno dispotico che non prevede un
dialogo alla base della politica comune, ma richiede la sacra ubbidienza in
nome del padre fondatore dell’arca. In questo sistema vige severa la caccia all’uomo:
gli abitanti vengono spinti dalla paura, dalle circostanze e dall’indottrinamento
che ha luogo fin dalla tenera età a denunciare i propri vicini di casa perché possibili
rivoluzionari, perché appartenenti ad una nuova classe sociale diversa di
colore nell’anima. Questa situazione, davvero ben caratterizzata attraverso
sfumature di sguardi, silenzi ed episodi specifici fatti passare per
quotidianità, potrebbe ricordare da vicino la spasmodica ricerca di un
colpevole rosso durante la Guerra Fredda in Occidente o la condizione di
sfiducia alla quale erano costrette le popolazioni su cui si abbatté la furia
omicida di Hitler. Emerge qualcosa di storicamente plausibile da questa
ricostruzione totalitaria all’interno della quale l’asserzione volontaria
silenziosa è guidata da un’altra banalità del male, l’ennesima.
Se da un lato però le circostanze riescono a rendere
accattivante lo svolgimento dei trattati di guerra e pace all’interno della
città, dall’altro le vicende di quelli che furono i protagonisti della prima stagione
appaiono fin troppo abbozzate, esageratamente caricate di un pathos che non
sussiste e non resiste ai colpi della noia. Ben si presenta come il capo della
fazione rivoluzionaria per la sola dote innata di essere figlio del padre
valoroso che fu, ma ciò non basta a caratterizzare la nuova veste che dovrebbe
ricoprire e un attimo dopo lo si ritrova in piazza a costituirsi per salvare la
vita a tre militanti della congrega di rivoltosi, rendendo improponibile una
storia non detta in cui questi ragazzacci avrebbero tenuto in scacco l’intera
prima generazione e quindi l’intera città per poi arrendersi subitamente, senza
pretese di accordi. La stessa Kate, motivo immotivato dello scongelamento di
Theo, resta in scena per poche sequenze, prima di togliersi la vita perché “Questo
futuro non è il suo mondo”. Notevole l’attaccamento dei rivoltosi alla causa. Ma
il culmine dell’inutilità e della contro produttività in merito alle relazioni
tra la prima e la seconda stagione si ha nell’attimo esatto in cui Ben, giovane
leader dei rivoltosi, si arrende al regime e agli Abby, lasciandosi divorare in
malo modo e segnando definitivamente il solco tra le due stagioni, ch ora si
presentano davvero come due corpi estranei, rinnovati nel cast, ma non nelle
dinamiche. La paura è infatti una copia poco originale e con meno suspance
della prima stagione, con Theo il medico paladino della giustizia a sostituire
Ethan paladino della giustizia. Le variabili che potrebbero incrementare l’interesse
relativo a questo prodotto mediocre nella scrittura, ma passabile dal punto di
vista tecnico, si riducono ormai all’osso, lasciandoci prospettare una serie
pomeridiana, di quelle da guardare con la coda dell’occhio mentre ci si diletta
a svolgere attività più produttive, quali l’ozio. Dov’è finito il mistero di
Lynch?
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