Anf.. anf… La gamba è il mio primo pensiero. Mi duole
terribilmente; un dolore lancinante, un migliaio di insetti famelici che
divorano avidamente l’osso e il muscolo che lo circonda. Fa male, deve essere
rotta, credo. La luce è accecante. Il caldo umido si sente sulla pelle e sulle
labbra: in che mese siamo? Luglio, ma non ne sono sicuro. Non sono sicuro di
nulla. Provo a ricordare, la testa mi fa male, forse una botta, un gonfiore,
smetto di pensare. Svengo.
Mi risveglio. Devono essere passate delle ore perché il
sole è fuggito, ora una luce biancastra mitiga il buio di una notte senza
stelle. Poggio le mani, è friabile. Terra, tocco la terra nuda, calda, tocco la
terra arida. Il solo tocco del terreno mi riporta alla mente un’estate che non
fu più, quelle emozioni mai riprovate. Torno in me, il mal di testa si è
affievolito. Apro gli occhi.
Ciò che mi si para davanti dopo un primo momento di
cecità passeggera è una parete di terra. Sono circondato dalla terra. Uno
spazio circolare, uno spazio circolare mi circonda. Un cerchio perfetto
rinchiude la mia anima tre o quattro metri sotto terra. Sono in una buca, sono
in trappola. Mi agito, un senso di claustrofobia mi impedisce di prendere aria,
smetto di respirare per qualche secondo, mi sento venire meno, la testa torna a
pulsare violentemente, il cuore mi scoppia in petto. Poi un dolore improvviso
mi distrae e impedisce al mio cervello di controllare il mio corpo e l’ansia
cala leggermente. Respiro. Il dolore era la gamba, devo averla mossa
inavvertitamente. La guardo. Le mie paure trovano terribile conferma. Circa
dieci centimetri sotto la rotula la gamba ha assunto una colorazione violastra,
una piega strana. Sembra che possa compiere lo stesso movimento del ginocchio
anche in quel punto. Tibia e perone mi hanno salutato da un pezzo. È uno
spettacolo orribile, raccapricciante, rivoltante. Sale un conato di vomito, non
riesco a trattenerlo. Mi pulisco come posso, le mani si sporcano.
Raccolgo le idee. Mi trovo in una buca circolare scavata
a diversi metri di profondità. La precisione con cui è definito il perimetro
dell’angusto cerchio nel quale sono costretto suggerisce una mano umana dietro
tale progetto. Qualcuno ha scavato questa fossa, ho paura. Comincio a tremare
senza un preciso motivo, la paura irrazionale mi assale. Non voglio
assolutamente cedere alla mia stessa paura, ma una parte di me mi dice che
morirò qui. La paura mi travolge. Chiudo gli occhi. Raccolgo tutto me stesso,
tutta la mia paura e la scarico in un grido. Un grido lungo, spontaneo. Lo
sento, è il mio grido. Un grido di paura. La paura echeggia nel cielo della
notte. TumTum. TumTum. TumTum
Scaricata la tensione provo a concentrarmi. Ho appena gridato
alla Luna, se c’è qualcuno in questo posto sconosciuto mi avrà certamente
udito. Cerco di rallentare il battito del mio cuore che mi impedisce di sentire
al di fuori di me. Ci riesco. Rimango in ascolto di qualcuno o qualcosa che
possa avermi sentito e che sta giungendo in prossimità della buca in mio
soccorso. Passano i minuti, non sento altro che uno scorrere lento.
Probabilmente un fiume. Non sento altro. Devo essere lontano dalla civiltà,
lontano dal mondo. Il cuore riparte, il dolore mi assale.
Come sono finito qui? Chi mi ha portato qui? Non riesco a
ricordare, non riesco a pensare ad altro se non alla gamba martoriata e alla
paura. Sento una mano fredda sfiorare la mia spalla. È scheletrica, trasmette
tristezza. La mano della morte mi sfiora, la fine non è mai stata così vicina.
Un moto di sopravvivenza mi allontana della falce. Ricordo una macchina. Una
macchina scura. Non faccio in tempo a creare un’immagine definita nella mia
testa che il sonno mi assale, Morfeo vuole le mie spoglie. Sudato e sfinito
cado in un sonno profondo.
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