venerdì 22 settembre 2017

CHESTER BENNINGTON E IL SUICIDIO DI KUTNER

È stato un colpo durissimo. Parlarne ora non vuol dire aver dimenticato di farlo prima, ma aver aspettato di maturare alcune idee costruttive, per quanto sia possibile ragionare a mente fredda sul suicidio. La chiave di lettura della vicenda, dal nostro punto di vista, nasce dalla convinzione errata di conoscere le persone celate dietro maschere dello show business. Crediamo di comprendere i sentimenti di un individuo sulla base di una sua produzione, di un suo atteggiamento, quando nella teatralità dei vari ambiti artistici essere se stessi diventa ogni giorno più complesso.



La notizia ci ha colpiti con violenza inaudita e subitamente ci siamo mossi per comprendere le cause del gesto. Abbiamo fornito le più disparate argomentazioni, che tendevano tutte a convergere verso uno stato di depressione diffuso e duraturo. È stato il divorzio con la seconda moglie a dargli il colpo di grazia. No, è stata la morte dell’amico Chris Cornell a spingerlo al suicidio. Neanche, sono sicuro siano stati gli stupri subiti in gioventù. Era segnato da tempo, non ha mai superato i drammi di un’infanzia tragica. Ecco la nostra risposta - o le nostre, a seconda dell’ipotesi a cui scegliete di credere. Credevamo di conoscerlo in vita e abbiamo mantenuto la stessa presunzione anche dopo la morte. Perché il cantante dei Linkin Park era nostro, di quelli che anni fa si passavano gli AMV di Dragon Ball con il bluetooth, di quelli che impararono per la prima volta un testo inglese a memoria con Numb, ma Chester Bennington era solamente di Chester Bennington e forse neanche suo.



Pochi giorni fa è uscito sul canale YouTube dei Linkin Park il video ufficiale del singolo che dà anche il nome all’ultimo album: “One more light”. Si tratta di un tributo al frontman scomparso, un video che lo vede protagonista tra passato recente e remoto, tra l’uomo che era e il ragazzo che era stato. Biondo come Justin Timberlake, poi rasato. Senza le fiamme sugli avambracci, poi con. Sorridente e scherzoso, emozionale, eppure malinconico. In alcune immagini gioioso, in altre pensieroso, come Kutner.
Lawrence Kunter è stato uno dei più atipici membri del team del Dr. House. Solare, energico, ingenuo, magnanimo. Eppure, nel ventesimo episodio della quinta stagione, viene ritrovato da Foreman e Tredici riverso sul pavimento del suo appartamento con un foro di proiettile in testa e una pistola in mano. House non riesce a capacitarsi del gesto del collega e spende la maggior parte del tempo in servizio a cercare una spiegazione alternativa che contempli l’omicidio, ma nessuna delle sue ipotesi riesce a stare in piedi per più di pochi secondi, nonostante le abilità deduttive del personaggio. House quindi comincia a scavare negli effetti privati di Kutner per dare un senso ad una perdita insensata, e solo infine, tra centinaia di immagini che lo ritraggono sorridente, riesce a trovare una foto in cui il ragazzo abbassa lo sguardo, pensando probabilmente di non essere notato. Non serve aggiungere altro: House intende di non essere stato in grado di comprendere l’oscurità celata dentro Kutner, un’oscurità che non nasce da un evento in particolare, ma che si sviluppa a partire da una vita e cresce al passo con essa. Non resta che ammettere il muro del senso che ci impedisce di arrivare fino in fondo ad una soggettività, che sia essa quella di Kutner, che sia la nostra.




A volte la depressione, il suicidio nascono da uno stato di cose, non da un evento che noi esterni possiamo catalogare per rendere più comprensibile la realtà. La logicità calcolatrice fredda e ingiuriosa di chi è spettatore lascia solo una fastidiosa scia di parole che non sono in grado di spiegare questa realtà. A volte bisogna accettare la propria limitatezza e non violentare la memoria collettiva per convincersi ancora di conoscere chi ormai non è più. Possiamo solo limitarci ad onorare una grande voce in un essere umano complesso.

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